Eccomi di nuovo qua, pronta per una nuova recensione!
*abbraccia forte*
Non hai idea di quanto mi sia mancato tutto questo, sento una forza pazzesca scorrermi nelle mani ad ogni frase in più che scrivo.
Ho tantissimo da recuperare, ma finchè ci sarà l’entusiasmo, non ho nulla da temere.
Giusto?
Allora
*si sfrega le mani*
Posso notare che nell’ultimo periodo hai partecipato ad un sacco di Contest, eh?
Ti sei data un bel daffare ^^ *patpatta* e brava la mia piccola Soushi.
Sono così orgogliosa!
E qui hai trattato un personaggio davvero singolare, considerato pochissimo.
Quella che io chiamo “mamma Endou”, in maniera affettuosa.
Nell’anime la si vede qualche volta, ma nessuno tende a prenderla in considerazione.
È sempre così premurosa e dolce – proprio come una mamma dovrebbe essere nel nostro ideale – nessuno pensa che anche lei possa covare qualche risentimento per quel… quel… per Daisuke Endou, oh. Diciamo che il caro vecchietto si meriterebbe una tirata d’orecchi colossale, per quello che ha fatto patire a sua figlia.
L’anime si concentra su quel pulmino che non è mai arrivato allo stadio, ma nessuno si è mai soffermato su cosa dovesse aver provato Atsuko, sapendo la notizia.
Beh, tu l’hai fatto. Sei proprio andata a cercare questo personaggio con il lanternino, eh? Sono così fiera di te ^^ sai bene quanto apprezzi la shot originali.
Mi piace moltissimo l’alternarsi tra il presente – quello in cui lei spolvera la casa (forse la vecchia stanza di Daisuke?) – e il ricordo di quel terribile giorno misto ai pensieri di lei.
Crea una specie di portale ( ;) If you know what I mean…) in cui possiamo vedere come andarono le cose dal suo punto di vista e quali sentimenti ha fatto nascere.
È terribilmente interessante, l’ho apprezzato.
Hai reso magnificamente i pensieri e l’innocenza di una bambina che aspetta suo padre allo stadio.
È vero, da piccoli si tende a pensare che nulla di grave possa accadere a noi e alla nostra famiglia – nulla di più grave di un ginocchio sbucciato.
È per questo che i bambini che vivono delle tragedie ne rimangono così profondamente colpiti e scossi.
Ed è per questo che a volte si rimpiange quella beata ingenuità, quando ti ritrovi a tenere in conto – tra le altre cose – anche la possibilità di simili disgrazie.
Fa male al cuore anche solo supporle.
Il tono con cui lei mostra tutto il suo odio per il calcio è deciso e non lascia spazio ad equivoci, ma è al tempo stesso pacato, calmo. Controllato.
Non mostra momenti di rabbia, furia, urla. È solo… calmo. Neanche freddo. Solo tranquillo ma presente, proprio come la polvere. (eh si, è proprio il fulcro della storia)
E’ l’odio e la diffidenza di una donna stanca, che vuole solo proteggere suo figlio dagli errori e dal destino di suo padre.
(Lei è l’anello di congiunzione tra le due generazioni, tra nonno e nipote.)
[Odiavo e tutt’ora odio il calcio perché è per lui che quella mattina sei salito su quel pullman.
Perché è alla partita che stavi pensando, e non a me, quando il veicolo si è schiantato.
Perché molto probabilmente non ti sei neanche accorto che te ne sei andato senza salutarmi, perché io dovevo ancora svegliarmi, da quanto eri agitato per la partita.
La partita l’hai persa papà. E con essa, qualcosa di ancora più importante e prezioso…]
Questo è il punto che più mi ha colpito, che mi ha un po’ scossa come solo i rimpianti e le occasioni perdute sanno fare – ne so qualcosa, ho scritto un’intera shot su quello!
Insomma, per farla breve, hai fatto davvero un ottimo lavoro.
Mi hai fatto riscoprire questo personaggio semi dimenticato.
Sei un’ottima scrittrice, ma questa non è una novità.
Ti mando un grosso bacio e passo alla prossima storia.
Kiss
Rae |