Ho scelto questa storia perché è ambientata in un fandom che conosco a sufficienza per potermi rilassare, staccare la spina e lasciare a te i comandi.
E l’ho trovata davvero, davvero carina.
Confesso che leggendo questa storia il mio cervello non sovrapponeva le immagini degli attori del reboot, ma quelli della serie classica (abbi pazienza, un’infanzia passata con questi figuri che sbucavano dal televisore ti segna. E poi, per quanto io adori Zachary Quinto, di Spock ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno), ma non ho fatto alcuna fatica ad immaginarmi Nichelle Nichols col fazzoletto malandato e le lacrime che le rigavano le guance.
Ad ogni modo.
Scotty, che è buono come una pecora fino a quando non gli tocchi la sua bambina, quel mostro chiamato Enterprise, ha scelto la ragazza sbagliata di cui innamorarsi. Perché lei è di un altro, e quell’altro gioca in un altro campionato, se mi passi la metafora. Voglio dire, il Secondo Ufficiale non è esattamente un Guardiamarina; ha fascino, carisma, successo, potere. Se poi codesto Secondo ufficiale è il signor Spock, la partita è persa prima ancora di iniziarla.
L’uso della seconda persona si sposa alla perfezione alla vicenda, scelta azzeccata: siamo vicini a Scotty per essere partecipi delle sue pene amorose e dei suoi dubbi quanto basta (“Posso confidarmi con questi due?”, “Non è che andranno a vuotare il sacco subito?”), ma alla giusta distanza per gustarci la vicenda e ridacchiare maligne. Perché lui – Scotty – non sa che noi sappiamo come stanno le cose; ma noi, Kirk e Bones sappiamo. E quindi, la storia si chiude con un sorriso speranzoso: non riveli nulla, non ci spiattelli un festoso (nonché improvviso) happy ending di cui entrambi avrebbero bisogno, va detto.
Sei stata abile a tenere il ritmo della narrazione, a farci entrare nella testa e nei sentimenti di Scotty, e fornirci pian piano tutte le informazioni. Anche la caratterizzazione dei personaggi denota una conoscenza della materia – o, quantomeno, un rispetto per l’opera originale, con Scotty che regge bene l’alcol, il Capitano che avrebbe avuto una carriera meravigliosa come portinaia e Bones, con quella sua saggezza spicciola sempre a portata di mano nella tasca del camice – e ho apprezzato la coerenza del registro lessicale (nessuna caduta di stile, per così dire).
Ho trovato solo due refusi che ti segnalo, qualora volessi sistemarli:
--> la maestra d’asilo per la quale avevi un cotta segreta.
L'articolo indeterminativo va concordato, ti sei persa una "a" per strada.
--> Due persone che si vogliono bene non si lasciato per una lite.
Qui abbiamo una t al posto di una n.
Ho pensato potesse esserti utile segnalarteli, non sai quante volte mi lascio dei cadaveri alle spalle - cadaveri che il mio cervello si rifiiuta di rilevare, ça va sans dire...
L’unica perplessità che ho è data dalla formattazione del testo. È una mia percezione di un dato oggettivo, e mi piacerebbe parlartene così da avere il tuo parere. È bello conoscere nuove persone e nuovi autori anche per toccare con mano altre strade, altre possibilità. Poi non è detto che queste strade e queste possibilità si adattino a noi, sia chiaro; ma se togliamo la curiosità, che ci resta?
Tu mi scuserai, ma andare a capo ogni tanto è necessario.
Ogni tanto, non sempre, come se stessimo stilando la lista della spesa (e qui concordo con te, alle volte è straniante). Io comprendo che stiamo entrando nella testa di un altro personaggio, e vallo a capire dove finisce un pensiero e dove ne inizia un altro! Tuttavia, mettiti nei panni di chi ti legge: così tanti concetti tutti assieme, esposti al lettore senza soluzione di continuità, non lo abbracciano, non lo fanno entrare nella storia. Hai l’effetto del muro di parole, come se volessi tenere il lettore distante, o come se volessi metterlo alla prova (della serie, se proprio ti interessano le mie storie, leggile anche così).
Anche io scrivo periodi corposi, ricchi di incisi, complessi; ma, se posso darti un consiglio, vai a capo un pochino di più. E, se possibile, inserisci un’interlinea, così da aiutare la lettura sul supporto digitale: non ci si pensa, ma a leggere tramite lo schermo di un computer o quello di uno smartphone, l’occhio si sforza. Fatica. Dandogli più spazio, lo aiuti un pochino.
E lui si gode di più la tua storia.
Non credi?
In conclusione, ho letto una storia davvero carina che mi ha allietato in un uggioso primo pomeriggio d'inverno.
Alla prossima,
Francine (Recensione modificata il 15/01/2018 - 04:45 pm) |