Recensioni per
Il giorno in cui ci incontrammo
di Amor31

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 3
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
17/10/18, ore 21:35

[Valutazione del contest "Il contest di G", indetto sul forum di EFP]

Titolo: 
Un titolo semplice ma perfettamente collegato alla storia, fa capire fin da subito quale sarà il fulcro della narrazione e invoglia il lettore a leggere per scoprire cosa succederà in questo fantomatico primo incontro. 



Caratterizzazione dei personaggi: 
Ho trovato tutti i personaggi, sia i principali che le comparse, ben caratterizzati e le loro interazioni molto verosimili. 

Mi è piaciuta molto la cura nei dettagli che hai usato per rendere l’atmosfera quotidiana di una madre che va a fare la spesa portandosi dietro il figlio: tutto il loro dialogo nella prima parte è volto a sottolineare quanto possa essere estenuante conciliare la necessità di tenere a freno i capricci di un bimbo piccolo e quella di sbrigare in fretta le faccende di tutti i giorni. Potrà sembrare scontato, forse, ma scenette del genere nelle fanfiction di solito vengono molto edulcorate – con improbabili bambini che attendono pazienti che i genitori abbiano finito prima di dire qualcosa di adorabile che fa sorridere il lettore – e ho molto apprezzato questo spaccato estremamente realistico. 
E, sì, mi ha comunque fatto sorridere. 

Jean è completamente diverso da come lo conosciamo, ma è naturale essendo in questa storia ancora un bambino. 
Un bambino vivace e molto curioso, che si guarda intorno in quella marea di cose e persone e cerca di captare più informazioni possibili, come quando domanda a cosa serva la Manovra Tridimensionale (ma ne parlo meglio dopo). 

Come tutti i bambini trova noioso far compere con la madre, e quindi è normale che sia attratto da giocattoli e caramelle e voglia innanzitutto andare a curiosare da quelle parti – sperando magari di potersi far comprare qualcosa. 

Anche il modo in cui scappa via dalla madre dopo che lei gli ha negato questo piacere è verosimile, perché in fondo glielo aveva “promesso” – e, no, non l’aveva fatto, ma vabbè, dettagli! – e quindi, dal suo punto di vista, è giusto che “se non mi ci porti tu ci vado da solo”. 

Alla bancarella Jean si perde nella contemplazione dei giocattoli, e poco dopo ecco che arriva finalmente quell’incontro tanto atteso, che il lettore si aspetta fin dal titolo: quella bambina col vestitino celeste e lunghi capelli neri, timida e tutta seria che stringe forte la mano del padre. 

È davvero tenerissima la scena di Jean che rimane incantato a guardarla, e anche quella in cui arrossisce quando le loro mani si sfiorano per caso, mentre invece quando protesta con la madre che lo rimprovera per essere scappato via perché “non sono un bimbo piccolo!” è assolutamente adorabile e realistico. 

Non mi piace invece la considerazione delle “trottole dall’aria poco costosa”, perché i bambini non hanno sviluppato una concezione del valore del denaro come gli adulti, e quindi non sono in grado di valutare il costo degli oggetti a seconda della loro qualità (al massimo sono istintivamente portati a fare un collegamento del tipo “tanto grande = tanti soldi” e “poco grande = pochi soldi”); secondo me sarebbe più verosimile sottolineare che Jean sceglie le trottole non perché “dall’aria poco costosa”, ma perché sono molto più piccole rispetto al cavallo a dondolo che aveva chiesto all’inizio, e quindi la mamma non dovrebbe dire di no. 

Nell’ultima scena abbiamo invece un Jean più grande ma non ancora ai livelli della storia che conosciamo, che si ritrova senza motivo apparente a ripensare a quella bimba del suo passato, incontrata una volta e mai più. 
Il suo chiedersi chi fosse, cosa stesse facendo e, soprattutto, se mai l’avrebbe rivista è dolce e realistico, e il dettaglio di quel complimento che avrebbe tanto voluto farle è assolutamente IC. 


Anche madre di Jean è ben tratteggiata: una donna affettuosa ma decisa, che si preoccupa della salute del figlio comprando ad esempio cibi sani e nutrienti… e che cerca di proteggerlo da tutto, anche dalla terribile realtà in cui sono costretti a vivere. 
Mi è piaciuta moltissimo la delicatezza con cui hai introdotto il concetto tra le righe, usando l’espediente della Manora Trimensionale per far sì che il piccolo Jean si interrogasse su cosa fosse e a cosa servisse. E mi è piaciuta ancora di più, come già detto, la scelta di sua madre di non dargli la risposta che cercava: dopotutto fino a che fosse rimasto con lei all’interno delle mura Jean sarebbe stato al sicuro, era inutile spaventarlo prima del tempo. 

Il modo in cui riesce a farlo tranquillizzare, promettendogli di preparargli l’omelette per cena, mi è sembrato dolce e realistico: nonostante la scorza apparentemente dura è pur sempre una madre che stravede per il figlio, e che vuole solo farlo felice. 

Non mi ha invece convinto il fatto che, quando lui scappa per andare alla bancarella dei giocattoli, lei si trattenga a quella delle verdure per pagare e ricevere il resto prima di corrergli dietro, col rischio di perderlo tra la folla – come effettivamente è successo. 
Ecco, personalmente credo che sarebbe stato più verosimile lasciare i sacchetti sulla bancarella e dire al venditore che sarebbe passata dopo e correre subito dietro al bimbo, perché va bene che sapeva dove fosse diretto, ma i rischi ci sono sempre quando c’è così tanta gente e… non so, è come se in questa scena fosse rimasta troppo calma, mentre invece me la sarei aspettata molto più agitata. 

Lo stesso vale per la sua reazione quando lo trova alla bancarella: mi sarei aspettata una bella sgridata per lo spavento che le ha fatto prendere, invece – di nuovo – appare fin troppo tranquilla, limitandosi ad ammonire Jean per averla fatta preoccupare. 

E, collegato a questo, non mi è nemmeno piaciuta la decisione di cedere al capriccio e comprargli un giocattolo, perché così facendo si annulla l’effetto della sgridata e il bambino percepisce che quello che ha fatto non è poi così grave se l’arrabbiatura è passata tanto in fretta da concedergli anche un premio… ma questo è un pensiero personale che nulla ha a che vedere con la verosimiglianza, perché – purtroppo – si vedono spesso scene del genere, quindi potrebbe benissimo essere andata davvero così. 

Il breve dialogo col padre di Mikasa è semplice e farcito di tutti quei discorsi di circostanza che si fanno con persone incontrate per caso, e l’ho trovato ben strutturato e realistico. 

Come realistico è che sia rimasta favorevolmente colpita dai due, e in particolare da quella bambina tanto dolce e tranquilla che – probabilmente – le è parsa anche molto ubbidiente, oltre che fisicamente carina. 


Il padre di Mikasa viene tratteggiato con pennellate brevi ma essenziali, e dalle poche battute che gli sono concesse lo conosciamo come un uomo affettuoso e cordiale, molto attaccato alla figlia e ben disposto a fare quattro chiacchiere anche con chi non conosce – vedi il negoziante prima e la madre di Jean poi. 


E infine arriviamo a lei, Mikasa. Lei che è quella messa apparentemente più in ombra, che parla meno di tutti e cerca quasi di nascondersi dietro al padre… ma che è invece la vera star della storia: compare all’improvviso e per brevi minuti, eppure sconvolge tanto la vita del piccolo Jean da restargli impressa nella mente per molti anni a seguire. 

La Mikasa bambina viene presentata anche nel canon, e ho apprezzato che tu abbia mantenuto il suo carattere timido e riservato e il suo attaccamento ai genitori: mi è piaciuto in particolare l’accenno alla madre, e al fatto che contava di cucire insieme a lei i vestiti per la bambola. 



Stile e trama: 
Per prima cosa, vorrei farti un minuscolo appunto sulla punteggiatura nei dialoghi: va benissimo inserire il punto fermo all’esterno delle virgolette (anche se, in caso di discorsi diretti non introdotti né seguiti da frasi indirette, sarebbe preferibile metterlo all’interno delle virgolette), ma quando un discorso diretto finisce con un segno di punteggiatura semi-forte (come punto interrogativo, punto esclamativo e puntini di sospensione) la frase può e deve concludersi così, perché un ulteriore punto fermo è superfluo. 
Per ulteriori chiarimenti ti consiglio di visitare questa pagina

Lo stile di questa storia è sempre fluido e di immediata comprensione, ricchissimo di discorsi diretti e punteggiato da descrizioni brevi ma significative. 

Mi è piaciuto che, nei dialoghi più lunghi, tu abbia alternato ai discorsi diretti delle bravi frasi indirette: pur mantenendo l’effetto “botta e risposta” hai dato al testo anche quelle piccole pause di approfondimento necessarie ad evitare il temibile “effetto copione”, che avrebbe inevitabilmente inficiato a lungo andare sia sulla fluidità della lettura sia, soprattutto, sulla caratterizzazione dei personaggi e lo sviluppo della trama. 

Con poche frasi specifiche, annotando particolari come le urla dei venditori che sponsorizzano la propria merce o gli odori e i colori che vengono dalle bancarelle, sei riuscita a catapultare il lettore nel centro esatto del mercato di Trost, insieme a Jean e a sua madre. 

Solo una cosa, a questo proposito: è un po’ che sono fuori dal fandom e magari mi sbaglio, ma mi sembra di ricordare che non siano presenti le diciture classiche dei giorni della settimana (lunedì, martedì ecc.), e in questo caso sarebbe meglio eliminare quel “martedì” e lasciare semplicemente la scritta “era giorno di mercato”. 
Se invece mi sono sbagliata chiedo venia, sei libera di ignorare questo paragrafetto ^^" 

Tutto il dialogo iniziale tra Jean e sua madre è ben strutturato e la narrazione scorre spedita fino alla fuga del piccolo verso la bancarella dei giocattoli. 

Qui, però, abbiamo una battuta d’arresto con la digressione sulle leggi di mercato cui si sono ispirati i rivenditori di giocattoli e di caramelle per mettere le bancarelle l’una vicino all’altra. In tutta sincerità l’ho trovata un po’ noiosa e di dubbia utilità: lo dici tu stessa che Jean, essendo un bambino, non fa caso a queste cose, quindi non ha senso sottolinearlo; tanto più che la considerazione è fine a se stessa, non aggiunge nulla alla trama né alla caratterizzazione dei personaggi. 
Al massimo, per non appesantire la lettura, potresti accennare blandamente la cosa strizzando l’occhio al lettore con qualcosa del tipo “i furbi rivenditori di caramelle e giocattoli avevano ben pensato di mettersi l’uno accanto all’altro”. 

Lo stile nella prima parte è fluido grazie ai moltissimi dialoghi, e anche le frasi indirette sono costituite da una sintassi semplice e un linguaggio quotidiano, che si adatta alla perfezione ad una storia in cui il personaggio principale è un bambino. 
Invece nella seconda parte, cioè da dopo che Jean scappa da sua madre per raggiungere la bancarella dei giocattoli, ho trovato un innalzamento di complessità sia di sintassi – con periodi più lunghi e svariate subordinate – che di vocabolario. 
Con questo non voglio assolutamente insinuare che la storia diventi incomprensibile, anzi, tuttavia l’atmosfera cambia sensibilmente, e leggere ragionamenti da bambino spiegati con le parole di un adulto mi ha fatto un effetto un po’ strano. 
Ti faccio qualche esempio: 
- Jean era sul punto di chiedere al mercante se potesse assaggiarne qualcuna prima dell’arrivo di sua madre […] ma la smorfia impressa sul viso dell’uomo lo fece desistere. 
- La prima cosa che notò fu un bellissimo cavallo a dondolo ornato con un panno rosso dalle decorazioni blu che fungeva da sella. 
- La teneva per mano un uomo dall’aria gioviale che Jean dedusse fosse il padre. 
- Accanto alle bambole di legno erano state poggiate delle trottole dall’aria non troppo costosa e così optò per prendere una tra quelle di dimensione maggiore. 
Ripeto: queste frasi non contengono nessun errore a livello sintattico o grammaticale, ma a mio modesto parere lo stile e il vocabolario con cui sono scritte impedisce di immergersi completamente nella testa di Jean bambino, nonostante il punto di vista principale della storia sia proprio il suo. 

Questa sensazione sparisce non appena rientra in scena la madre e la narrazione include di conseguenza anche il punto di vista di un adulto vicino a Jean, che oltretutto è un po’ il co-protagonista della storia: lo stile e il linguaggio raggiungono di nuovo talvolta picchi più elevati e fuori dalla portata di un bambino, ma con lei presente tali scelte vengono come “giustificate” e non mi sembrano fuori luogo. 

Ovviamente si tratta di un parere prettamente personale che non è necessariamente giusto o sbagliato: è soltanto la mia opinione, e tu puoi scegliere se ascoltarla oppure no. 

Il dialogo finale tra la madre di Jean e il padre di Mikasa, per quanto ben scritto, non mi ha entusiasmato: mentre i dialoghi con i venditori erano brevi e finalizzati ad uno scopo preciso, oltre che inframmezzati dalle battute di Jean, questo è ininfluente dal punto di vista della trama e ha avuto come uno spiacevole effetto “riempitivo”; come lettrice avrei preferito qualcosa di molto più breve, magari limitato soltanto a quel “signora ci vuole pazienza” detto in risposta al commento della frase della madre di Jean, più i saluti finali. Così facendo avresti comunque reso chiaramente il carattere gioviale dell’uomo senza però calcare troppo la mano. 

Nel finale, l’immagine di Jean bambino che fissa ammaliato i capelli di quella bimba dal vestito celeste sfuma in una più vicina all’immaginario del lettore: un Jean ormai adolescente che, per un capriccio del destino, si ritrova a ripensare di nuovo a quel momento, e ai capelli di quella bambina senza nome. 

Ho trovato quest’ultima scena molto poetica nella sua semplicità, con quel pizzico di romanticismo che strizza l’occhio al lettore che – a differenza di quel Jean non ancora soldato – sa bene cosa succederà, facendogli concludere la lettura con un bel sorriso. 



Gradimento personale: 
Della tua storia mi è piaciuto soprattutto il realismo con cui hai descritto sia le scenette di vita quotidiana al mercato che il complicato rapporto madre-figlio. 
Anche se, ad essere sinceri, forse il mio pezzo preferito è proprio quello finale… che vuoi farci, per quanto mi riguarda un pizzico di romanticismo rende tutto più bello! 



A presto!
rhys89

Nuovo recensore
21/07/17, ore 00:16

MA AWWWWW CHE CARIIIIINIIIIII
Okay scusami ma anche questa volta ho scoperto che tu hai scritto l'ennesima bellissima Jeankasa ma stavolta versione baby :D
Complimenti per la storia!

Recensore Junior
20/02/15, ore 19:53

Bella storia! Jean da piccolo riflette già il carattere che ha da grande! Mikasa sembrava davvero una brava bambina che carina! Mi è molto piaciuto il particolare sui capelli di Mikasa. In effetti mi ha molto colpito la prima volta che ho visto la scena sui capelli della ragazza e Jean vedo che è stato lo stesso per te! Bel lavoro!
Un bacio da Fight!