Recensioni per
Rache
di wildbeauty

Questa storia ha ottenuto 4 recensioni.
Positive : 4
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
03/07/16, ore 23:34
Cap. 1:

Ciao :)
Ho letto questa os e sono rimasta...senza fiato!uno dei racconti migliori nel genere, che ha messo in luce come basti davvero "poco", un semplice gesto, per ricordare ad ognuno di essere....umani! dabbero complimenti
Lady_Gi

Recensore Master
06/11/15, ore 09:10
Cap. 1:

Prima classificata al contest “Quasi inedite – III edizione”: Rache, wildbeauty
 
Grammatica e stile: 13/15.
Non piangere Rache, ce ne andiamo...”
“Rache” è un complemento di vocazione, quindi la virgola è necessaria anche prima, dopo “piangere”. (-0,1)
“...ti ricordi Rache?”
Come sopra. (-0,1)
È la stessa cosa adesso tesoro...”
Anche qui. (-0,1)
“Beh, non sarà bello perché così dopo ci gustiamo tutto quello che troviamo all'arrivo di più, no Rache?”
Questa frase non suona molto bene, è un po’ stonata. In particolare, il “così dopo” suona troppo colloquiale, sebbene sia una specie di parlato; e il “di più”, alla fine, sinceramente mi è ostico: non ne capisco il significato. (-0,25)
Inoltre, anche qui “Rache” è un vocativo e manca la virgola. (-0,1)
Un paese meraviglioso, con case di cioccolata, sì, Rache, potrai mangiarne quanta ne vuoi, e strade di panna montata.”
Dopo “cioccolata” potresti staccare un po’ di più. L’ideale sarebbe inserire un inciso coi trattini, perché di fatto questo “sì, Rache, potrai mangiarne quanta ne vuoi” è una digressione, una parentesi sulla descrizione del paese meraviglioso. (-0,1)
Dai che ti sistemo il fiocco.
Anche qui, dopo “dai”, inserirei una virgola, perché è un’espressione quasi dialettale e, per evitare di creare confusione, sarebbe meglio “separarlo”. In realtà, non sarebbe male nemmeno togliere il “che”, perché è veramente molto colloquiale e, per quanto l’espressione riprenda il parlato di Rebecca, mi sembra comunque un po’ esagerata per lo scritto. (-0,25)
Ci stava pensando quando aveva lasciato Berlino...”
Il gerundio è un po’ sviante, perché non stai raccontando una storia in linea temporale, per cui sarebbe meglio dire “ci aveva pensato”. Oppure, se vuoi dare una sensazione di continuità (perché credo che fosse proprio questo il senso del gerundio), puoi aggiungere “molto”, oppure “a lungo”. (-0,25)
“...ci pensava quando passeggiava per strada.”
Qui invece potresti specificare il dove. Prima lo hai fatto e quindi adesso, per coerenza, potresti farlo di nuovo. Anche perché io deduco che ci pensi mentre passeggia in Argentina, o dovunque sia andato subito dopo aver lasciato Berlino, ma se non specifichi niente può sembrare che ci pensasse mentre passeggiava per Berlino, e il senso di chiodo fisso si perde, perché è ancora lì in città e niente più di Berlino, credo, può rievocare ricordi legati al nazismo. (-0,25)
La differenza tra la prima parte e la seconda è molto marcata, e ovviamente è palese che fosse proprio questo il tuo intento. Devo dire che è d’effetto, perché non è esattamente quello che ci si aspetta quando si inizia a leggere. È come se vi fosse un focus su questa fotografia e poi il quadro si allargasse, mostrando l’uomo che la stringe fra le dita e rievoca questi brutti ricordi. Suggestivo e anche azzeccato, quindi sei stata brava.
Anche il modo di raccontare è nettamente diverso nelle due parti: la prima è frenetica, mentre la seconda riflessiva, calma e triste. Sembrano quasi due facce della stessa medaglia, perché entrambi vivono (o rivivono) quel particolare momento, ma da due fazioni opposte, ed è bello vedere come le emozioni siano quasi parallele.
Gli unici due appunti che mi sento di farti sono i seguenti. Il primo è che forse saresti potuta andare a capo un po’ più spesso nella prima parte, perché visivamente si presenta questo blocco di parole una in fila all’altra e non è bello. Anzi, siccome Rebecca fa un discorso un po’ commosso e faticoso, i capoversi sarebbero anche più adatti per spezzare e creare un certo ritmo. Il secondo è che – ma forse è più una questione di gusto personale – la parte di narrazione di Rebecca sarebbe più adatta in corsivo, perché così il cambio di POV non è subito immediato. Poi, chiaramente, si capisce che non è la stessa persona a parlare (perché, considerando la destinazione di quel treno, Rebecca in particolare non avrebbe la possibilità di essere lì), però qualcosa di più immediato starebbe meglio. (-0,5)
 
Caratterizzazione scena e/o personaggi: 10/10.
Te l’ho già accennato prima, parlando delle due facce della stessa medaglia, quindi posso riprendere da lì per parlarti dei personaggi. I due principali sono Rebecca e l’uomo a cui non hai dato nome – non che servisse, comunque. Sono diversi come il giorno e la notte, e hanno come denominatore comune soltanto Rache, che racchiude in modo generico più o meno tutto il significato di “famiglia”.
Sei stata molto brava a diversificare i due narratori, hai creato loro una personalità molto differente, con sentimenti contrastanti. Rebecca è disperata, ma in qualche modo sembra filtrare la speranza di un domani migliore, almeno per sua figlia. L’uomo, invece, è tranquillo, perché sa di non essere in pericolo, eppure è triste e disarmato, forse più di Rebecca.
La differenza tra loro, che credo sia la differenza tra i deportati e i deportanti, è che solo una delle due categorie conosceva il valore della vita. Non sto santificando gli ebrei, perché le brutte persone sicuramente c’erano anche tra loro, però hanno imparato a proprie spese una cosa che in molti danno per scontata – la vita e le cose belle che si possiedono senza saperlo. Ed è... non so, credo che tu sia stata davvero brava a esprimere questo concetto, anche attraverso gli occhi di un finto cattivo, o di uno pseudo buono senza coraggio di cambiare le cose.
Ci vorrebbero molte pagine per discutere di questo argomento, eppure molto è già stato detto. E tu sei stata davvero brava a dire tanto di questo già detto in poche parole, e a dirlo in modo nuovo, sorprendente. È bello vedere un colpevole sentirsi effettivamente in colpa, non tanto per ciò che ha fatto ma per ciò che avrebbe potuto fare e invece ha preferito lasciar perdere. Fa molto riflettere.
Se ci pensi, in realtà, non hai detto quasi nulla di loro – di Rebecca e Rache, in particolare – ma hai saputo caratterizzare bene i personaggi in base al modo di fare e alle riflessioni. Per il fotografo è diverso, hai detto di più, ma comunque non abbastanza da inquadrarlo, ad esempio, fisicamente. Eppure ce li hai presentati, ce li hai fatti conoscere, e non mi sembra che manchi nulla in questa storia. Non c’è un punto in cui venga da dire: “ma questo è campato per aria, cosa significa?”
Quindi direi proprio che ti meriti il punteggio massimo.
 
Gradimento personale: 4,5/5.
È difficile, qui, dire qualcosa che non ti abbia già detto, perché i motivi per cui ho così tanto apprezzato la tua storia si ricollegano quasi del tutto a ciò che ti ho detto, in particolare, nella caratterizzazione dei personaggi.
Posso però dirti che ho apprezzato immensamente la delicatezza che hai usato per raccontare queste cose. È vero che una mamma non dovrebbe mai dare un bacio così, ma è vero anche che a volte le sofferenze così grandi vengono strumentalizzate per creare un evento, o degli shock che colpiscano il lettore. Spesso lo trovo ingiusto, perché se si vuole speculare lo si può benissimo fare su qualcos’altro (e lo stesso discorso si può fare per il boom di storie e romanzi sul cancro, che spopolano negli ultimi anni); ci sono cose per cui si deve avere rispetto, e tu l’hai avuto raccontando qualcosa di forte senza esagerare, senza andare in tragedia, ma raccontando un dolore grande, una disfatta immane per l’umanità in punta di piedi e analizzando un’altra sfumatura più sommessa, in sordina.
Per capirci: se avessi pontificato di un generale delle SS invaghito di Rebecca, desideroso di ricevere lo stesso bacio dato a Rache, non te l’avrei mai perdonata e non avrei avuto pietà. Invece hai preso un uomo nelle retrovie, disinteressato per il quieto vivere, votato alla propria sopravvivenza e non alla distruzione altrui – un uomo quasi giustificabile, perdonabile.
E il paragone tra le due figlie è davvero la ciliegina sulla torta, perché oltre alle varie cose che hai detto hai voluto buttarci dentro anche l’amore incondizionato che quest’uomo, timoroso e un po’ vigliacco, nutre per sua figlia. Mi piace pensare che, se fosse stata la sua famiglia a essere su quell’elenco, non avrebbe esitato un momento a togliere i nomi dalla lista.
Una bella storia, davvero. Se ti chiedi perché manchi un mezzo punto al punteggio pieno, posso dire a mia discolpa che ci sono state alcune storie che ho apprezzato ancora di più e, avendo pochi parametri in cui discriminare, ho preso l’unico soggettivo. Ma ciò non vuol dire che ciò che hai scritto non mi abbia conquistata – e spero si capisca.
 
Eventuale bonus per le recensioni: 0,6/1.
 
Totale: 28,10/31.

Recensore Veterano
16/06/15, ore 15:28
Cap. 1:

Risultati "Kissing Booth Contest"

Vincitrice del premio "Best Kiss" - storia con il bacio più significativo
- Rache di wildbeauty

Questa breve OS è qualcosa di meraviglioso e straziante allo stesso tempo, qualcosa che potresti leggere anche cento volte ma troveresti sempre stupenda e commovente allo stesso modo. Leggevo ed è stato difficile trattenere le lacrime.
Nella prima parte hai impostato il testo come un discorso fatto sul momento da parte della madre Rebecca, che cerca di rassicurare la sua bambina, Rache. Questa scena richiama un po’ il film “La vita è bella” – uno dei miei film preferiti, tra l’altro, un gioiello della storia del cinema - e il modo giocoso in cui Guido rassicura il figlio facendogli credere che stanno per addentrarsi in un gioco in cui si vince un carro amato. Anche in questo caso il genitore vuole togliere alla propria creatura ogni preoccupazione, ma in una maniera che definirei prettamente materna: sentendo il terrore e la disperazione farsi strada in ogni fibra del proprio essere e tuttavia non darlo a vedere, comportandosi come se non stesse accadendo nulla di brutto, redarguendo la sua piccola come fa solitamente.
Quel nome sussurrato “Rache”, ripetuto alla fine di ogni frase come un’invocazione, una litania, come a ricordarle che sua figlia è ancora sua, lì tra le sua braccia, e che nessuno può toglierle anche quel momento, nessuno può impedirle di sistemarle per un’ultima volta il fiocco storto, scacciare via le sue lacrime e poi stamparle un bacio, un semplice e innocuo bacio che in sé contiene ogni emozione umanamente possibile, un bacio che significa tutto. Un bacio, citando te, di come non ce ne dovrebbero più essere.
Quell’attimo viene immortalato e sarà motivo di tormento per la persona, l’uomo, che ha scattato la foto per propaganda, facendo così passare quel bacio per un attimo di gioiosa tenerezza tra madre e figlia, sapendo però che la realtà è ben diversa. Per trent’anni cerca, invano, di auto-convincersi del contrario, che probabilmente sì, quel bacio è davvero ciò che gli altri hanno sempre visto in quella foto, è uguale a quelli che lui dà a Greta la sera, che Rebecca e Rache sono solamente due nomi su carta. E invece il suo tormento, che lo perseguita anche di notte, lo porta a riflettere proprio sui suoi, di baci, dati di sfuggita alla figlia, gesti spontanei e quasi di routine, nei quali il bacio perde il suo vero valore.
Hai adottato uno stile lineare e semplice, focalizzando l’attenzione sul messaggio che volevi trasmettere, e l’ho apprezzato molto. Ti segnalo un minuscolo errore: “Ma la sua mano non tremó quando firmò la lista.” → Tremò, accento grave.
Concludo dicendo che il premio Best Kiss è tuo semplicemente perché non appena ho aperto questa storia ero certa che non ce ne sarebbe stata un’altra che si sarebbe meritata questo premio di più. Ti ringrazio di avermi fatto leggere qualcosa di così toccante e profondo, davvero non trovo altre parole per dirti quanto consideri questa OS bellissima e speciale, da inserire subito tra le mie preferite. 

Recensore Junior
26/02/15, ore 20:33
Cap. 1:

Il tema dello sterminio perpetrato ai danni degli ebrei, di solito, è abusato nei modi peggiori. Trasuda pietismo, voglia di trasmettere un messaggio fin troppo scontato, emozioni indotte forzatamente.
La tua storia è un'istantanea, come la fotografia scattata dal protagonista della seconda parte, di quelle in bianco e nero che non dicono niente e dicono tutto. Un gesto affettuoso tra madre e figlia prima di un viaggio che durerà giorni, senza acqua né cibo, in attesa di diventare numeri e poi cenere. Noi lo sappiamo, il fotografo sì, le dirette interessate ancora no. La madre può immaginare qualcosa, ma gli preme di più rassicurare la sua creatura, promettendogli panna e cioccolato come Guido, ne "La vita è bella", prometteva al suo Giosuè un carro armato.
La tua è una storia semplice, che parla di affetto, paura e rimorso. Sentimenti mostrati, nelle parole e nei gesti, come la mano tremante dell'ultima frase. Forse avrei evitato la nota d'autore, non perché sia inadeguata, tutt'altro, ma per lasciare che la domanda sorgesse spontaneamente nella mente del lettore.
Nel complesso, un buon lavoro.
Satomi