MI piace, oh sì.
Mi piace perché qualcosa, ed è difficile definirlo meglio, ha catturato la tua attenzione proprio mentre stavi studiando - ed è chiaro, chiaro da quella prima strofa e da quei versi in cui giochi con le parole e con i numeri ed i simboli, computando qualcosa di più che semplici numeri e simboli astratti dal significato logico. Quello studio era anche un tentativo (fallimentare visto il risultato, lasciamelo dire, eppure se non fosse stato fallimentare non avresti mai scritto questi versi. Ha avuto successo in un modo diverso, diciamo) di distrarre i pensieri da quell'entropia interiore che raggiungeva livelli preoccupanti, con l'esplosione pronta a farsi imminente. Studiavi e, dopo, scrivevi, per la stessa ragione: per affogare certi tormenti, come un poeta maledetto affogava se stesso nell'alcol e nella vita dissoluta. Oggi siamo forse troppo imbevuti di razionalità per lasciarci andare poeticamente a quello stato di perdizione così assoluta e dissacrante. Forse è un bene che sia così, eppure non pensi che a volte i versi troppo logici non siano abbastanza irriverenti e irrazionali per essere poesia? Comunque sia, mi piace il flusso di coscienza che il tuo pensiero segue in quegli attimi così lunghi, in quegli attimi in cui ti sei persa in quel riflesso di te stessa. È spaventoso a volte ritrovarsi, scoprirsi. Lo capisco. Specie se lo specchio in questione è uno spazio dedicato a ben altro, è una porta verso un mondo deformato e completamente differente, un posto dove camuffare o rivelare quello che siamo a nostra completa discrezione. È assurdo, paradossale catturare la propria immagine per sbaglio su quegli stessi pixel che spesso offrono un riparo ai naviganti, a chi vuole cercare qualcosa o a chi smettere di farlo. Ci si ritrova indifesi, non più così ben camuffati da parte-del-tutto, come un puntino. Ma il vero problema non è solo ritrovare se stessi: è soprattutto dover fare i conti con quell'immagine, con la nostra presenza, con le circonstanze, con quelle eterne domande della nostra rappresentazione del mondo.
L'attimo di smarrimento, in sé, non durerebbe troppo, se non ci fossero quei dubbi che non possono essere posti e risolti come quei teoremi su cui t'impegnavi. Su google rappresentiamo un minuscolo puntino non molto diversamente che sul nostro pianeta: realizzato ciò, rimane la nostra insignificante e, per questo, ingombrante esistenza a chiedere ragioni, a esigere attenzione.
Non è piacevole passare da un teorema finito e comprensibile ad una serie di postulati e equazioni indeterminate.
Mi sono lasciato un po' andare, forse, nell'interpretazione. E potrei aver frainteso più o meno tutto, non so, mi perdonerai in tal caso. A me è comunque piaciuta la tua poesia, letta così, mi ha "preso", è tecnica, improvvisa, pensata. Complimenti! |