Stasera depongo le armi presto e mi concedo una pausa. Dunque, armata di tisanina e copertina, nel clima autunnale (leggi: invernale, fa un freddo boia), mi godo la mia serata libera qui con te, perché puntavo questa storia da mesi - ed ho resistito fin troppo.
Io nutro da poco più di mezza vita - il tempo di iniziare ad interessarmi di personaggi non proprio avvenenti: ero una giovincella profonda! - un'assoluta fascinazione verso Caça. Perché Caça, al di là della luce poco simpatetica in cui lo presenta Kurumada, ha un potere interessante e narrativamente spiazzante: vede i desideri, vede le paure altrui, le riproduce nella propria forma. E allora mi sono sempre tormenta: ha visto Caça dentro Kanon? Sa? E resta? Non lo ferma? Perché? Kurumada ovviamente non ci dice pif, probabilmente non si è neanche reso conto del problema. Però a rigor di logica Caça rimane un personaggio interessante. Portoghese dai mille volti, io me lo sono sempre associato un po' a Pessoa, dai mille nomi.
E allora mi sono proprio goduta questo scorcio del suo passato, del piccolo Henrique, fuori luogo nella sua vita terrestre, di provincia, poi incantato dalla magia di Lisbona - perché a Lisbona è magica anche la luce. Caça che cerca un luogo cui appartenere, un luogo da preferire, e che sappia volergli un po' di bene. E lo trova, lì, sotto il Padrão, a Lisbona. Sente un richiamo, segue una magia, come un sogno; troverà un posto dove il Dragone del Mare gli spiega come funzioni questo nuovo mondo, troverà un amico che andrà a parlargli del suo passato. Piccoli dettagli deliziosi della vita in fondo al mar. (Recensione modificata il 22/10/2016 - 11:14 pm) (Recensione modificata il 22/10/2016 - 11:16 pm) |