Oh, che bello vederti tornare a scrivere in questo universo di favole oscure e affascinanti - e attraverso gli occhi di Viola, nientemeno - che del film era uno dei miei personaggi preferiti.
Ritrovo qua ciò che mi aveva attratta del personaggio, ma con qualcosa in più: sia nel film che nel tuo racconto, la principessa ha una parabola esistenziale che la porta dalle ingenuità dell'inizio - fatte di sogni e castelli in aria, e sì, forse di una certa superficialità - all'oscurità dell'incubo rappresentata dal suo sposo mostruoso; ma questa "caduta dalla grazia" non è la fine, bensì l'inizio della vera curva ascendente della sua vita: Viola riesce a trovare in sé una forza e una risoluzione che prima non poteva conoscere - troppo schermata nella bambagia del suo castello - e che è per lei salvezza.
Certo, torna a casa svuotata e indurita (adorai la scena di Viola che entra nella sala del trono con la testa tranciata dell'orco, e tu me l'hai fatta rivivere), ma la sua maturazione non è ancora finita.
Ed è qua che il tuo racconto ha il vero guizzo di coda: la principessa-poi-sposa-poi-vedova, che credeva di avere ormai una pietra nel petto, ritrova il calore del sangue che le corre nelle vene, e la grazia di un amore che lenisce le sue ferite, e dà linfa all'anima.
La cosa meravigliosa è che questo amore non è diretto a una persona in particolare, ma è indirizzato prima di tutto verso se stessa - verso il suo popolo, e il creato tutto.
E' un modo affatto banale, e oltremodo originale e profondo di esprimere questo risveglio alla vita, che non il consueto innamoramento verso un uomo più bello e più giusto del suo precedente sposo.
L'amore di Viola è, in un certo senso, amore materno nella più alta accezione - un amore che crea armonia, prima di tutto in lei, e poi fuori di lei.
In questa luce mi piace rileggere l'ultima scena del film, dove la Regina è attorniata dai sudditi, in una girandola di colori e musica, il sorriso sul volto.
Tu hai saputo esprimere bene questo "ponte" tra il suo insanguinato ritorno a casa e la sua elezione a gioiosa regina, e mi hai offerto una bellissima lettura del personaggio.
Brava.
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Ti lascio qualche suggerimento formale per - nel mio modestissimo parere - rendere il pezzo ancora più bello:
occhi al cielo, in attesa di un benevolo segno celeste (ripetizione cielo/celeste; potresti omettere direttamente il secondo, dato che è implicito che il segno le venga dal cielo)
la favola che ognuna segretamente sogna, sdraiata sul letto ancora vuoto, vergine, e che dipinge con la mente, quando, fra le pagine dei libri (trovo che questo periodo abbia troppe virgole, che lo spezzettano e tolgono fluidità; lo riformulerei così: la favola che ognuna segretamente sogna, vergine e sdraiata sul letto ancora vuoto - e che dipinge con la mente quando, fra le pagine dei libri, ecc..)
non faceva più paura, quella cosa gigantesca, non staccata dal resto del corpo, (metterei un trattino dopo gigantesca, per creare una pausa più lunga)
credeva di non saperne più che farsene (non sapere più che farsene)
di ragazza, debole e sciocco.
«Abbiamo molte debolezze, (ripetizione debole/debolezze; potresti sostituire il primo con fragile)
con tutti i suoi sbagli e la sua saggezza di chi ha visto tanto (il secondo possessivo è pesante, e anche inutile, dato che si comprende che la saggezza a cui ci si riferisce è quella del Re)
paragdima (refuso)
e era copioso (ed era. Le eufoniche sono ormai obsolete - e infatti io consiglio sempre di non usarle - con l'unica eccezione di quelle che vanno a congiungere parole che finiscono e iniziano con la stessa vocale)
Altamonte (Altomonte) |