Terza Recensione Premio per il contest "La magia delle parole - II Edizione"
Eccomi.
All'inizio avevo scelto tutt'altra storia per questa terza recensione, sempre di una delle raccolte su Harry Potter, poi ho trovato questa.
Credo che sia la seconda storia che leggo con questa struttura - una storia composta essenzialmente solo dai dialoghi. E la prima mi aveva affascinato così tanto da voler provare a leggere anche questa tua.
Trovo che sia molto complesso riuscire a dare qualcosa - qualsiasi cosa - al lettore solo attraverso i dialoghi. Sarebbe facilissimo non trasmettere niente, non far capire il contesto, non far trasparire espressioni ed emozioni, rendere sterile il tutto. Ci siamo già confrontati su questo punto, credo: nei dialoghi si deve sentire la voce del personaggio, il modo in cui parla, si esprime, la sua inflessione di voce, il suo ritmo, la sua personalità.
In questo caso è doveroso fare una premessa: Frank e Alice non sono attivamente presenti nei libri, e non possiamo quindi sapere com'erano, come parlavano, come si relazionavano tra di loro e con il mondo. Ma abbiamo piccoli dettagli, dall'amore per il loro figlio, al loro lavoro e alla loro condizione attuale dopo la caduta di Lord Voldemort. Riferimenti e particolare che tu hai secondo me sfruttato al massimo per poter creare ex novo le voci di questi due personaggi. La parte più difficile, poi, trovo che sia renderli attraverso un processo di riscoperta di loro stessi, a partire da una condizione complessa e delicata come quella in cui si trovano loro: torturati fino a diventare folli, privati del senno, del controllo di sé, della loro memoria e della loro indipendenza di adulti. Sono bambini che però hanno reminescenze, momenti in cui è chiaro quanto meno la loro età, un'età che comunque non combacia mai con quella effettiva, come tu stessa chiarisci dalle loro battute.
E questo è il primo segno doloroso di questa storia (in senso positivo, intendo): loro ricordano i loro anni a Hogwarts, il loro percorso all'accademia per auror, della loro casa e del loro figlio di un anno (che ora è cresciuto, ma questo loro non lo possono sapere, o comunque non ne hanno consapevolezza) ricordano il proprio marito/moglie, ma non si riconoscono. Sei stata bravissima a creare questo doppio velo: il primo che separa loro dal mondo; il secondo che separa l'uno dall'altra. Si vedono, ma non si rendono conto. E' triste, fa male, hai saputo colpire bene.
Il Signore e la Signora siedono l’uno di fronte all’altra: intorno, solo un gran bianco, grandi pieghe, puzza, bisbigli. -> Mi piace il fatto che non sveli i loro nomi: è la storia che ce li rivelerà. Ma con quel "signore" e "signora" chiarisci la loro età e il loro stato; inoltre conferisci a questo quadro un decoro e una formalità che in qualche modo si arricchiscono di una forma di infermità, o comunque di malattia, nel momento in cui accenni al bianco, alla puzza e ai bisbigli. Bisbigli che sembrano confabulazioni senza senso, un ronzio che alimenta l'insolito ambiente in cui si trovano.
Un'altra cosa che mi ha colpito è il fatto che loro non trovano strano trovarsi lì. Questa shot chiarisce nelle ultime battute che si tratta di un momento di lucidità prima che il buio cali di nuovo sulle loro menti. Eppure fin dalle prime battute c'è una continuità tra questo lungo attimo e la vita di vuoto che vivono loro, come se fossero comunque consapevoli sempre del fatto che quella sia la loro nuova casa. L'ambiente quindi è qualcosa di onnipresente, che rende l'attimo di lucidità opaco, accompagnato sempre da una calma e un'apatia che non abbandona mai i personaggi. Anche loro sono asettici nei modi.
Anche i loro movimenti sono infantili e contrastano con la loro età: lei mangia una gomma bollente (roba di adolescenti, mi vien da pensare) lui liscia le coperte in un gesto vuoto, meccanico. Non mi sembra di percepire imbarazzo, ma appunto una sorta di tranquillità che fa paura, dà angoscia al lettore, è come se si perdessero di nuovo nel vuoto.
E riprendono a parlare: lei con quel tono quasi timido, sempre rispettoso, da signora per bene; nella voce di lui si sente invece oltre all'educazione del gentiluomo, un tono più forte, un vigore mascolino, con esclamazioni che accompagnano il suo parlare (eccome, sa, ebbene sì). Sei stata davvero brava.
Infine ho trovato speculare l'inizio e la fine di questa os, con quel formale "Buonasera Frank" e "Buonasera Alice". Sa di vecchio, sa di persone che la vita l'hanno tutta alle spalle, sa anche di una distanza che è difficile colmare con il vigore dei giovani perché è quasi più importante concentrarsi su tutti i segni che il tempo ha lasciato su un viso che l'altro non ha mai imparato a memoria, come dovrebbe fare un innamorato. Eppure eccolo il tocco, un abbraccio, un bacio. Uno solo, non c'è tempo per altro. Suona tanto di addio, di stanchezza, di un conforto malinconico, sospirato. Gli "arrivederci" finali, per giunta, non profumano come quelli di chi si promette che si rincontreranno presto, a tutti i costi, perché hanno una vita intera davanti; ma suonano come il saluto di chi spera in un'altra vita, in un altro mondo. E quei veli che calano e si rialzano in effetti sono questi: altri mondi, perché ogni volta loro iniziano daccapo.
Questa os mi ha fatto un buco nello stomaco, te lo dico. Complimenti!
A presto!
P.s.
Ti lascio con gli unici refusi trovati:
Gridfondoro
Una cosa che hai dimenticato poi sono i punti a fine frasi. |