Il rimpianto in questa storia è…. palpabile. Si sente come se fosse reale e vivo quanto… noi. Forse perché, da un momento felice e spensierato come è il circo, un posto pieno di meraviglia e incanto, si passa alla nostalgia e al dolore delle rivelazioni di e a Pavona. Sono contenta che lei e Nemeria si siano ritrovate (mi è sempre piaciuta), anche se in una circostanza così triste. Perlomeno la ragazza ora sa di non essere sola; anche se non si tratta di una vera Jinian dato che ha abbandonato la tribù, comunque è un faro nella nebbia e nella vita complicata dei gladiatori. Sarei, però, curiosa di sapere come ha fatto a passare inosservata, con la speranza che riesca a continuare a farlo, soprattutto al misterioso predone nero.
Spero che possa anche continuare a coltivare una specie di rapporto con Bahar e Morad, visto che condividono con lei la condizione di schiavi e potrebbero, perciò, aiutarla a non farsi fregare in un mondo tanto complicato e, per lei, tanto sconosciuto. Loro, infatti, conoscono il popolo (e i suoi pettegolezzi e giochi di potere) più di quanto potrà mai fare Tyrron, per quanto enorme sia il suo potere.
Attraverso queste “gite” di Nemeria, però, conosciamo anche Kalasprit e le logiche che la muovono, i sottili meccanismi che la manovrano e la folla che la popola e da cui, finalmente, smettere di nascondersi come quando viveva nelle catacombe con la Famiglia. Il doppio dialogo (silente e verbale) con Pavona, poi, per quanto sull’orlo della dissociazione, fa intuire molto bene quanto sia precario il filo su cui è in equilibrio Nemeria.
So di aver scritto una recensione più breve del solito, ma credo che questo capitolo vada soprattutto visto, non scritto o letto, goduto fino in fondo, proprio come si fa quando si assiste a uno spettacolo del circo.
Panem et circensem.
Viviana |