Ti risparmio tutto il mio doloroso percorso per “digerire” il caos della quarta Stagione, il cui passaggio mi ha fatto rimpiangere prepotentemente i tempi in cui il 221b era il centro di tutto. Ora è solo uno squallido punto di ritrovo di fantasmi e non, in cui langue uno Sh ormai svuotato di energia e si fa vedere un John irriconoscibile.
Sono episodi che ho rivisto solo una volta, a differenza delle prime due Stagioni che, ormai so a memoria, perché mi lasciano un senso di malinconia e di rimpianto.
Ho fatto questa premessa perché trovo tutto l’universo di sensazioni e sentimenti che mi ha trasmesso, pur nel suo caos triste, appunto l’ultima Serie.
Hai usato il POV di John per regalarci l’affresco di un’epoca che è irrimediabilmente finita ed ha lasciato il posto ad un’altra che, ancora, stento ad accettare, ma tant’è: “It is what it is”. La tua scelta narrativa di quel determinato punto di vista, fino a qualche tempo fa, forse sarebbe stata più “agevole” da sviluppare in quanto il personaggio di Watson delle prime Stagioni aveva sì i suoi lati oscuri, ma Sh lo superava sicuramente in complessità. Invece, ora, la BBC ci ha presentato l’ex blogger di Holmes accentuando dei chiaroscuri che lo rendono più enigmatico ed anche, almeno per me, più antipatico ed irriconoscibile. Pertanto ti faccio i complimenti per l’impegno che ti sei assunta in questa ff, visto che, intuire i pensieri dell’ultimo John “cattivo” e sfuggente, non è certamente impresa facile.
La sua è una lettera ideale rivolta a colui che ha costituito una ragione di vita ed, al tempo stesso, di sofferenza unica ed insostituibile. Tu lo esprimi lucidamente con una prosa a tratti dura e senza fronzoli e ciò mi è piaciuto perché qualcosa in lui è morto con la “caduta” di Sh dal tetto del Bart’s, qualcosa che non gli è stato più possibile recuperare in seguito, anche per lo stordimento subìto per la sorprendente ricomparsa del consulting. Quello che, per me, era il vero Watson, è rimasto lì, addolorato ma fiero, di fronte ad un’enigmatica lapide nera che ha raccolto, muta, quelle che io ritengo le parole più belle pronunciate dal personaggio in questione. Era arduo, dunque, cercare d’interpretare i suoi pensieri dopo il marasma del post Reichenbach e, soprattutto, dopo la tragica ed assurda morte di Mary che scatena ulteriori sensi di colpa e strazianti rimpianti, tutti, comunque, incentrati su Sh.
Ma tu hai fatto centro, davvero, e ci hai reso delle riflessioni credibili, dal punto di vista di chi ha vissuto esperienze devastanti. Di lodevole spessore quell’enumerare con affetto che John fa dei ruoli che Sh ora ha nella sua vita: amante, amico, figlio, donna “fragile e malmessa” il cui fascino sta in quel senso di degrado che la caratterizza.
Mi collego a quest’ultima immagine, per annotare una frase che trovo davvero significativa per il fatto che rappresenta in pieno quello che io penso sul legame, unico ed irripetibile, tra i due :”… È in momenti come questo che mi rendo realmente conto di quanto poco io sia omosessuale, ma soltanto innamorato follemente di te…”. Etichettare quello che c’è tra Sh e John con una definizione precisa, vuol dire ridurre l’amore a qualcosa di banale e di risibile, l’amore è più grande di questa o quella caratterizzazione.
Il tuo pezzo è costellato di intuizioni geniali come quella che ho riportato e di momenti che sconfinano nella poesia come, per esempio, il voler annullare, da parte di John, la dimensione temporale e lo scorrere inesorabile del tempo per vivere anche quella parte di vita di Sh che conserva ancora la luce della speranza e dei sogni, cioè l’infanzia con i giochi più belli. Così, lo stargli vicino diventa mitico e splendido, senza dolore o rimpianto (“…il prato si trasforma all’improvviso in un oceano infinito: tu sei il Re dei mari ed io sono il tuo fidato braccio destro…”). Brava, davvero, anche per il tuo stile che non lascia spazi al banale ed all’ovvio ma che racchiude, in immagini che parlano direttamente al cuore, tutto il cammino della vita. |