È esattamente come lo concepisco io, il tuo (il vostro?) Aiolia: una bestia ferita che, ad un certo punto, smette di incassare e che, liberatosi da legacci e pastoia, snuda le zanne. È un leone, porca miseria, non una paperella di stagno o una pecorella innocua (anche se le pecore sanno incacchiarsi di un bene, ma di un bene...).
La barba che spunta sul mento, sul labbro, sulle guance, gli sfottò di Cancer (a-do-ra-bi-le), l'henné di buona qualità (che è finito ovunque, temo anche sui mobili del bagno) trovano qui un incastro perfetto: ce l'aveva già detto Okada, che Aiolia si tingeva. Qui ci avete spiegato che la sua è stata una scelta (anche se l'henné ha bisogno di tutta una sua preparazione, e non esce bell'e pronto dal tubetto, come una qualsiasi tintura a cui occorre aggiungere l'acqua ossigenata), una decisione più o meno ponderata, ché Aiolia è calmo e riflessivo fino a quando la lingua non batte su quel dente lì, sulla spina nel fianco (o nella zampa). Allora perde ogni razionalità. Ogni barlume di buonsenso, comportandosi, da adulto, come farebbe un moccioso petulante. C'è una costante richiesta di attenzione, in Aiolia - nel vostro Aiolia -: GUARDAMI!!, sembra voler gridare a Shura, come se fosse solo la sua, di attenzione, quella che lo interessa, quella che conta davvero. Certo, c'è una fiera di non detti e di situazioni pregresse e di rabbia che, in confronto, il monte Olimpo è un sassolino; ma Aiolia ha spostato la barra del timone che regola la sua vita: e se prima era Aiolos, la sua stella polare, dopo la morte del fratello lo è divenuto il di lui carnefice. Un'ossessione, potremmo dire, che s'è scavata una spazietto, giorno dopo giorno, come farebbe un alberello, piantando le proprie radici in profondità. Solo che quest'albero temo sia un pino marittimo, a giudicare da quanto siano estese le sue radici (i pini marittimi sono meravigliosi, ma sviluppano le radici in orizzontale, allargandosi, con buona pace dell'asfalto romano) e da quanto siano pertinaci nel voler far azzoppare Shura.
Che scemo non è. Anzi. Mi è piaciuto il punto di vista virato sul rosso di Aiolia - il toro che vuole incornare il matador, nel vero senso della parola - e le parate di Shura. Lo disinnesca ogni, santa volta, e senza sforzo. Sì, Shura è più grande, più esperto, più riflessivo, più. Però è come se volesse, in un certo qual modo, fargli passare la rabbia, prima di mettersi a discutere come persone civili. Ecco perché può parlare con Aiolos guardandolo dritto nelle palle degli occhi, perché Aiolos non è accecato dal rancore. Aspetto che ti passi, sembra dire tutto, in Shura, lasciando Aiolia a cuocere nel suo brodo.
Solo.
E quest'aggettivo mi ha fatto male. Perché se prima Aiolia era isolato per una colpa non commessa (anche se molto, di quell'isolamento, era dettato dall'orgoglio di Aiolia, secondo me), adesso è lui, a non volersi mischiare con quelli lì. Lui che traccia una linea e scrive Hic Sunt Leones dalla sua parte, col povero Aiolos che tenta di cancellarlo, quel confine, sorvolandolo a volo d'uccello.
Ma Aiolia è un bambino, e lo resta per tutto questo racconto, sia quando si sveglia e festeggia i primi peli sul labbro con una sbronza, sia quando, a venticinque anni suonati, pesta i piedi e risponde con fare stizzito a chiunque gli capiti a tiro. È rimasto un bambino, Aiolia, un bambino petulante, ché, si sa, non sono i peli sul labbro a fare di un ragazzino un uomo. È una soglia. Ma mentre il corpo di Aiolia quella soglia l'ha attraversata, la sua mente sembra proprio essere rimasta ben al di qua di quella soglia.
P.S.: domanda scema, ma quale delle due sei? Saga o Kanon? |