Carissima,
È da mesi che ho intenzione di ripassare dalle tue parti – intento che è puntualmente ravvivato e rinvigorito ogni qual volta m’imbatta casualmente in uno degli estratti che ogni tanto posti, scorci così belli ed essenziali che conquistano anche una povera anima arida come la mia, digiuna di fantasy, o quasi. Su tutto quello che concerna il diletto, sono purtroppo una vittima della procrastinazione senza speranza e della pessima organizzazione del mio tempo libero; quindi colgo con particolare gioia questa occasione per mettere, una tantum, a frutto i miei buoni propositi.
Avevo imboccato il delizioso sentiero panoramico di Faerie, ma – dato che occasionalmente tendo a vagolare e, leggendo, mi piace concedermi qualche digressione fuori programma sulla scorta dell’entusiasmo del momento – ho fatto qui una piccola deviazione, un po’ mossa dai tuoi suggerimenti di lettura e un po’ catturata dal titolo e della descrizione di questa storia. Sono una donna semplice che, spesso e volentieri, compra i libri per il titolo e la copertina; il più delle volte, non ne rimango neppure delusa. XD
La musica è fatta anche di silenzi è un titolo bellissimo: ha la qualità, il sentore, di una massima morale, il nitore di un dato di fatto; e richiama l’attenzione sul non detto, sullo spazio vuoto tra le le parole messe nero su bianco, su quello che circonda un racconto, un po’ come le pause tra le battute di una partitura, che danno la struttura ad un movimento, alla composizione tutta, e forse anche un senso più profondo. Così come è bellissima la sinossi, che sembra essere nello stesso spirito ed avere una funzione analoga. Col senno di poi, in entrambi i casi – titolo e descrizione – non è tanto una questione di descrivere e sintetizzare il testo, quanto di metterlo in prospettiva, incorniciandolo in un contesto più vasto e rendendolo premessa di uno sviluppo di una vita, uno scorcio del passato ed origin story di un bardo ed avventuriero. Perché? , chiede la sinossi; il testo risponde. Questo è un uso degli elementi di contorno della storia che mi piace molto, perché li rende significativi, li rende essenziali. Anche chi, come me, passa su questo universo per la prima volta ed è fondamentalmente digiuno dei luoghi ricorrenti del fantasy, intuisce quello che c’è da intuire e si ritrova in tasca una chiave di lettura per quello che segue.
E, quello che segue, non è da meno per pregnanza. Sono stata profondamente accattivata da tutte le tue scelte narrative nella struttura che hai dato al racconto, nella caratterizzazione dei personaggi, nello stile della prosa.
Il punto di vista – che è il filo conduttore dei fatti che racconti, altrimenti nettamente divisi un due, in un prima e un poi, rispetto alla scomparsa di Saelmanestrix – è quello di un cucciolo o, per dirla con categorie umane, di un bambino; è giusto dunque avere una prosa essenziale, per seguire quel punto di vista ed esprimerlo al meglio. L’essenzialità e la semplicità – che è semplice solo in apparenza – richiedono tanto labor limae per riuscire ad esprimere tutto quello che devono e sono difficili da eseguire con tanta sapienza. Credo di averlo già menzionato in altra sede, ma ho un debole per le tue descrizioni dei luoghi e dei paesaggi: in pochissime parole – qui una costa, lì il mare basso e le insenature tra le isole, il vento che batte un prato – offri immagini vivide, forse proprio perché ridotte all’osso, a quello che serve. È un equilibrio insolito di stile e contenuto, che ammiro immensamente e che, personalmente, cattura la mia attenzione come poco altro.
Nota estemporanea a margine. Le parole si possono amare e, come tutto quello che si ama, ci sono parole più amate di altre; sappi che “smargiasso”, secondo me, è un aggettivo amabilissimo!
Amabilissimi sono anche i tuoi personaggi, questa famiglia di draghi che possono – devono? – assumere forme “umanose”. Mi soffermerò su Saelmanestrix ed il suo fratellino, perché sono loro, entrambi, il punto focale della vicenda. Saelmanestrix conquista la scena: per essere una creatura grande più o meno quanto un gatto, è un personaggio immenso, con la sua testa dura, il suo piglio da esploratrice, la sua incapacità di resistere alle sfide, la sua voglia di volare e l’insofferenza per le restrizioni – poco importa che siano i divieti della mamma o l’imposizione di dover prendere una forma fragile, non da “drago vero”. Non si può non volerle subito bene, a questa draghetta. Così come non si può rimanere di sasso, scioccati ed increduli, come il fratellino, quando Saelmanestrix non riemerge. Dopo aver conquistato il lettore, ecco che è liquidata in poche parole. E credo che questa sia stata una tua scelta brillante, sia perché ha un impatto ben più traumatico del melodramma a tanto al chilo, sia perché la morte è anche così: arriva inattesa; un attimo ci sei e quello dopo non ci sei più; stop, Kaput, les jeux sont faites. Che altro potrebbe mai esserci da dire? Solo fronzoli di contorno. Quello che conta, da quel punto in poi è l’esito, l’impatto, che l’elaborazione della morte ha sui vivi. Quello che conterà è la memoria.
E giungo dunque al fratellino, lasciato meravigliosamente senza nome, così come senza nome è il bardo della descrizione, per tornare a ruota – almeno per chi come me non è familiare con l’universo e non è dunque in grado di afferrare immediatamente il riferimento ad un eventuale personaggio riconoscibile. Gli Innominati hanno sempre il loro fascino. Soprattutto quando, come in questo caso, si tratta di un innominato in erba, che non ha ancora maturato una propria identità. In questa luce, la morte di Saelmanestrix assume una qualità definitoria, determinante dell’identità stessa di suo fratello, come un’iniziazione – che, poi, nient’altro è che una nuova nascita, un nuovo venire al mondo. Che altro nome potrebbe mai questo draghetto scegliere, per la propria forma umana, se non “Saelma”?
Comunque, posso permettermi di sperare che Saelmanestrix non sia morta davvero e che rispunti in qualche altro angolino? Se è un’irragionevole speranza destinata ad essere disattesa, non me lo dire! Lasciami vivere di illusioni. <3
Spero di non aver svagolato troppo né detto troppe insensatezze senza capo né coda: alle volte, mi lascio prendere la mano, quando sono molto colpita da un racconto – come in questo caso.
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