Eccomi qui, a “riempire” vuoti che ho seminato in sezione, lasciando osservazioni qui e là e, è possibile, trascurando dei pezzi che avrebbero meritato di essere visti con attenzione.
Già il titolo parla da sè di quello che, secondo me, è l’elemento fondante di questa storia. “Cicatrici”, dunque, ferite, profonde perché hanno lasciato traccia. Hai parlato di dolore, quindi, di sofferenza. E chi meglio di uno Sh respinto dalla realtà di un John, che sembra diventato ai suoi occhi un estraneo, può averle queste cicatrici...Dunque ecco il suo ripiombare nell”abbraccio” inutile e mortifero della droga, in un delirio di autodistruzione penoso e terribile. Indimenticabili, a questo proposito, le immagini davvero sconvolgenti di HLW di quell’uomo così unico, gettato su un lurido giaciglio, con i vestiti logori e sporchi ed il volto sfatto che si volta verso John come verso un sole che credeva ormai spento per lui. Non so se mi sbaglio ma penso che sia quello il triste contesto che hai modellato per regalarci questo meraviglioso e terribile pezzo di vita.
Ma il tuo messaggio, qui, è leggermente diverso dal focalizzare solo la condizione di Sh. Infatti le cicatrici, quelle da nascondere con ancora più cura ed attenzione, sono quelle che rimangono sul corpo e, soprattutto, nell’animo di Mycroft. Mycroft che si trova in mezzo alla tempesta terribile dei fantasmi del passato che sembrano essersi riappropriati del fratello e delle sue sicurezze. “Iceman” non deve avere sentimenti ma le incisioni possono tranquillamente segnare profondamente anche il ghiaccio più resistente. Mi ha davvero suscitato pietà il suo dolore nascosto,
E poi inserisci John, che interviene a difesa di quello che, in quel momento è il più indifeso, il più fragile: Mycroft. Noi percepiamo come tu abbia lasciato quasi marginale Watson perché, stavolta, non è protagonista ma spettatore attonito di qualcosa che lo carica segretamente di ulteriori complessi di colpa e di rabbia repressa. Protagonista, qui, diventa il dolore di Sh e, soprattutto, di Mycroft le cui difese si sono sgretolate di fronte al massacro che suo fratello sta facendo di se stesso. Allora ecco “la giacca più scura di due toni”, “ il bottone allentato del polsino”, l’acqua di colonia spruzzata in quantità minore...
L’incredibile capacità deduttiva di Sh, che a me piace chiamare la sua “scannerizzazione” della realtà, e non so se questo termine esista ma mi piace lo stesso, scopre in Mycroft delle debolezze, delle incrinature su cui si accanisce per spostare l’attenzione dal suo dramma a quello del fratello. E, grazie alla tua straordinaria capacità di raccontare, quasi con affetto, anche di quel “Mister Inghilterra” che è, comunque, un uomo come gli altri, ne metti in luce i riflessi di un’umanitá dolente e accogliente nei confronti di Sh. John ha capito questo e persino “lui che l’ha sempre odiato”, cerca di sottrarlo all’aggressione del consulting, di un’inaudita violenza morale, e riesce a fermare almeno l’atto di provocargli vero dolore fisico.
Ma è la sofferenza morale che diventa un’arma terribile con cui, uno stravolto Sh, cerca di riversare sul fratello il peso delle sue sofferenze. Solo John riesce a fargli alzare “le mani al cielo” e a fermare la sua concreta aggressione al fratello.
Sei riuscita, con la tua capacità di cogliere anche in un personaggio come Mycroft, criptico e sfuggente, l’essenza dell’umana compassione, a spingere un’ incallita sherlocked come sono io, a parteggiare, questa volta, per Mycroft. Infatti il suo dolore ce lo fai percepire più profondo di Sh, più silenzioso e devastante perché si rivolge contro se stesso.
Stavolta non mi sento di condividere l’atteggiamento di Sh, pur compatendolo per la sua fragilità e per le tempeste in cui la vita l’ha gettato. Stavolta sto dalla parte di Mycroft, l’algido “Mister Inghilterra”, con i suoi completo sartoriali, l’immancabile ombrello e il profondo amore per quel fratello così particolare.
Brava, davvero.
P.S. Vedi che ti raggiungo lo stesso grazie all’aiuto del mio Sh... |