Ciao carissima!
Finalmente arrivo anche qui, con deprecabile ritardo.
Da dove posso cominciare a commentare questa bellissima storia? Una menzione a parte va senz'altro alla ricostruzione dell'ambientazione marinaresca, nella quale sto imparando a muovermi e che sto iniziando ad apprezzare sempre di più grazie ai tuoi scritti: leggendo ho avuto l'impressione di trovarmi insieme ai tuoi personaggi, sulla nave. Naturalmente, anche il linguaggio tecnico/specifico fa la sua gran figura, contribuendo a conferire realismo e credibilità all'intera vicenda.
Anche il personaggio di Innis mi è piaciuto molto: è un ragazzo in un certo senso fragile, a tratti fanciullesco, segnato da un dolore precoce, ma che stringe i denti e va avanti. Si può dire che il dolore l'abbia in un certo senso isolato in una bolla di vetro, portandolo ad evitare rapporti troppo stretti con altri marinai, ma che al tempo stesso abbia amplificato la sua sensibilità (e infatti, è tenerissimo il finale, quando sprofonda nel sonno cullato dalla voce del dottore e dal rollio delle onde).
Inoltre, direi che è davvero interessante l'idea di affrontare la tematica del PTSD quando ancora non era riconosciuto come disturbo: emblematica è la riflessione sugli "altri", che lo avrebbero creduto un po' tocco o posseduto, mentre i marinai hanno imparato a conoscerlo e ad accettarlo così com'è, a tratti addirittura prendendosi cura di lui senza farsi troppe domande. È la dimostrazione di come la vita di mare, per un equipaggio abituato a rimanere mesi sulla stessa nave, contribuisca a rafforzare i legami, nonostante le differenze che intercorrono tra i vari membri (ufficiali, marinai, mozzi, medici, cuochi di bordo...). È quasi come una grossa famiglia, dove ciascuno provvede ai bisogni degli altri nei limiti delle proprie possibilità.
Davvero un bel racconto, sotto tutti gli aspetti. E siccome io tendo ad affezionarmi abbastanza facilmente ai personaggi, mi raccomando, scrivi altri racconti su di lui^^ |