Recensioni per
Puoi non essere morto?
di elaya

Questa storia ha ottenuto 2 recensioni.
Positive : 2
Neutre o critiche: 0


Devi essere loggato per recensire.
Registrati o fai il login.
Recensore Junior
07/07/19, ore 12:58

Questo è il racconto di uno dei momenti più dolorosi in assoluto. Ogni volta leggere qualcosa a riguardo è un colpo al cuore, e ti dirò, sinceramente non mi piacciono tutte le one-shot che ho letto a riguardo. Alcune sono troppo distaccate e frettolose, non riescono a comunicarmi quel dolore immenso che sta provando John. Per fortuna - la mia che leggo - non è questo il caso, anzi, mi hai portata quasi sull’orlo delle lacrime.
Nella serie non ci viene mostrato molto di John subito dopo il salto di Sherlock. Vado a memoria, ci deve essere probabilmente un’unica scena in cui il medico appare mesto, seduto sulla sua poltrona, con sguardo assente. Quindi il tuo racconto si colloca perfettamente a colmare questa lacuna.
Il POV di John ci concede di immedesimarci maggiormente nel suo dolore. Watson non accetta la morte del compagno. Dice di avergli sentito il polso, come se questa potesse essere la certezza della sua morte, d'altronde è un uomo di scienza, ma nonostante questo non si capacita di essere solo. Comincia così a sentire la mancanza anche e soprattutto delle cose più fastidiose di Sherlock, come a voler dire “accetterei di tutto pur di poterti avere con me”.
Questa bolla di immobilità nella quale il personaggio si chiude è un’immagine molto potente e realistica. Il pensiero che la bara di Sherlock possa essere vuota - noi sappiamo che in realtà lo è veramente - è l’ennesimo modo di autoconvincersi che sia tutto un bruttissimo incubo. L’unica nota stonata è il fatto che dici che John non va al funerale; certo, funziona benissimo per la storia che hai scritto, ma credo in realtà che nel telefilm lui vi prenda parte. Ora, non mi pare ci siano scene a riguardo, ma quando Sherlock ritorna due anni dopo, John incontra i genitori di quest’ultimo e dice che al funerale non c’erano, deducendone che questi sapessero che il figlio non era morto sul serio. Quindi John per sapere dell’assenza dei signori Holmes deve essere probabilmente andato all’esequie. A meno che non vogliamo giustificare la cosa con la tua frase “La signora Hudson mi disse del funerale” nel senso che poi gliene ha parlato e gli ha detto magari anche che i genitori del coinquilino non si sono presentati alla funzione.
Una frase che mi ha commosso particolarmente, all’interno di un racconto complessivamente struggente, è “E io restavo in questa casa, presidiando il nostro rifugio”. Rifugio è una parola assai complessa. Tra i tag non hai segnato la coppia, ma la prima cosa che mi fa pensare il vocabolo di cui sopra è un’alcova d’amore, qualcosa di molto intimo. Il fatto poi che John lo stia “presidiando” si ricollega al fatto che lui sia in attesa del ritorno del compagno, proprio perché non accetta la sua dipartita.
Alla fine l'uomo si decide ad uscire, lo fa spinto dal senso del dovere, dall’umanità. Si rende conto forse di non essere l’unico a soffrire di quest’assenza e non riesce a tirarsi indietro quando la padrona di casa gli chiede di accompagnarlo al cimitero. E sulla lapide che come dici “vacilla”, perché leggere il nome di Sherlock Holmes sulla pietra rende tutto un po’ più reale.
Sarà la vicinanza ipotetica col corpo morto di Sherlock, questa è la prima volta che sentiamo John parlare all'interno di questa ff. Si rivolge proprio all’amico chiedendogli il suo miracolo personale, una supplica: “puoi non essere morto?”. È straziante. Pronunciato con quell’innocenza incoerente tipica dei bambini. John mi appare nudo e indifeso, soffre, e sei stata bravissima a farci arrivare queste sensazioni in maniera così chiara.
Un passo breve ed intenso. Grazie.
A presto rileggerti,
K.

Recensore Master
06/07/19, ore 10:04

Questa storia arriva subito dopo l'altra a capitoli e dalle prime righe è già subito chiaro come il contesto, la situazione e persino i personaggi siano del tutto diversi. Pur somigliandosi per semplicità espositiva e complessità narrativa, si tratta di due racconti completamente differenti e che mi sono trovata a paragonare, forse ingiustamente, più che altro perché la lettura de: "La realtà" era ancora molto fresca. Se per la precedente il contesto era legato a dopo la quarta stagione (che ammetto essere uno dei miei preferiti), qui torniamo indietro di qualche anno tuffandoci nel post Reichenbach.

E trovo sempre sorprendente il fatto che dopo tutti questi anni dalla fine di quell'episodio e della seconda stagione, e con tutto quello che si è detto e scritto, ci siano autori che hanno ancora qualcosa da dire a riguardo. Tu lo hai fatto in modo semplice, esponendo il dolore di un John che si sente smarrito al punto da non andare persino al suo funerale. Ed è questo dettaglio a rendere il tuo contesto lievemente diverso da quello della serie. E che mi fa pensare che parte del dolore di John arrivi non solo dalla perdita di un amico ma da quella di qualcuno che si ama. John, nella serie, al funerale c'è andato. Lo capiamo da The empty hearse quando dice, parlando fra sé: "ecco perché non c'erano al funerale" (riferendosi ai genitori di Sherlock). Qui invece non ci va e i motivi non possono che essere legati a quanto profondo e dilaniante il suo dolore. Forse più di quanto si sia visto nella serie. E tu qui ci offri alcune immagini davvero drammatiche e che hai delineato molto bene. John seduto sulla sua poltrona, immobile e con un bicchiere in mano che è un'immagine su cui il regista di The Reichenbach Fall si sofferma alla fine di quell'episodio, sfumando poi l'immagine su altro. Tu qui ci dici che così c'è rimasto per due giorni e io non stento a crederlo. Siamo al cospetto di un uomo perduto che ha perso la persona che gli riempiva la vita e le giornate. Un qualcuno ben più importante di quanto non lo volesse ammettere.

Trovo le storie su Reichenbach strazianti tanto quanto dolciastre. E questo perché sappiamo sempre che Sherlock è vivo e che non è morto per davvero, e sappiamo che John ha ragione quando afferma che la bara è vuota e non c'è nessuno sepolto sotto quella lapide nera. Ma sappiamo anche che parla non si capisce bene mosso da quale tipo di ragionamento o sentimento, se dalla consapevolezza data dal conoscere il metodo di Sherlock o invece dalla speranza che tutto quello non sia vero. A questo Moffat e Gatiss non hanno mai dato una risposta, lo fanno però gli autori come te che si imbarcano in avventure come quella che è stata questa storia. Scritta in prima persona e che analizza da vicino i sentimenti di John. Ecco, ho trovato questo scritto migliore del precedente da un punto di vista tecnico. Più che altro perché ritengo che il genere introspettivo si sposi particolarmente bene con la prima persona. Meglio di quanto non riescano le storie dialogate o che hanno anche un minimo di azione come ne aveva invece quella. E quindi ti permette di scavare nel personaggio, tirando fuori anche alcuni passaggi particolarmente espressivi.

Mi complimento con te per questo lavoro di pregio.
Alla prossima, spero presto.
Koa