Recensioni per
Ubi in secretum perveni
di ValeS96

Questa storia ha ottenuto 14 recensioni.
Positive : 14
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
20/11/19, ore 23:05
Cap. 3:

Non ti annoio con un discorso sul ritardo con cui ti recensisco, potrei dare la colpa all’allungarsi patologico della lista delle “Storie da recensire” ma, tanto ci ricadrei nel non seguire un ordine cronologico. Comunque ci sono e ti ringrazio di aver proseguito nel tuo impegnativo percorso sulle orme del grande Calvino. Sì, perché, non ricordavo più il titolo che hai dato alla raccolta, pensavo a “Le città invisibili” o simili e, non trovando alcunchè del genere nel suddetto elenco di ff cui lasciare delle mie osservazioni, ho temuto che tu avessi rinunciato al progetto. Ed invece, per fortuna, dopo un’illuminazione che ha acceso la mia memoria, eccoti qui.
Il pezzo cui fai riferimento che riguarda la città di Diomira, è davvero splendido. Infatti io amo molto la preziosità espressiva che può essere insita in un brano descrittivo e qui trovo piena soddisfazione, tra “cupole d’argento” e le altre splendide immagini che si susseguono. Di questo ti ringrazio perché mi fai tornare il desiderio di rileggere l’opera di Calvino e di gustarne appieno, dopo anni di lontananza, l’incomparabile sapore.
Vedo che tu hai ripreso quello che è il senso più profondo del pezzo in quanto, è come se spegnessi le luci sfavillanti dell’apparenza e portassi in primo piano ciò che sta sotto, al buio. Siamo nel Mind Palace di Sh, come già ci hai avvertito all’inizio di questa raccolta, nelle stanze, però, più segrete.
La malinconia è ciò che, secondo me, lega le parole di Calvino alla tue. Malinconia intesa nel suo significato più evidente di stato d’animo particolare di chi si sofferma, senza riuscire ad uscirne in breve tempo, in sentimenti d’inquietudine e delusione.
Cioè, provando ad applicare la definizione a quello che potrebbe provare Sh, ipotizzo che Diomira sia la stanza segreta in cui lui ha racchiuso la sua fragilità più grande, quella nascosta dalla sua spavalda maschera d’arroganza e di affermazione compulsiva della sua, comunque evidente, superiorità intellettuale. Mi riferisco alla sua incapacità di avvicinarsi alle persone senza “scannerizzarne” i vari elementi costitutivi, come si farebbe con un oggetto complicato e sconosciuto.
Sh, in effetti, applica anche a chi gli sta intorno, in modo automatico, il metodo deduttivo proprio del suo lavoro sulle scene del crimine, che gli fornisce, in un lampo, una sequenza d’informazioni. Informazioni e basta. Per questo, il suo stato d’animo è quello di chi, di fronte ad un tramonto, nella luce incerta che si sta spegnendo, non riesce a distinguere i particolari di chi incontra. Disattivando la sua formidabile mente, infatti, egli si accorge che non gli riesce di “sentire” le persone, senza intermediazioni razionali e prive di spessore emotivo.
Perciò, nelle stanze più segrete del suo cuore, invidia chi, invece, sa guardare agli altri comprendendone la vera essenza, che non è la risultante di una serie di deduzioni ma un moto dell’animo, spontaneo. Cosa che lui, sicuramente, non riesce a liberare. Ecco allora la malinconia del sentirsi completamente solo, circondato da tante figure di cui non riesce a distinguere la realtà.
Penso proprio che questa stanza, così triste, possa riferirsi allo Sh prima dell’incontro con Watson, quando il “Fantastico!”, con cui quest’ultimo ha reagito alla solita sequela logorroica di deduzioni da parte del consulting, ha diradato le ombre e l’indistinto che dominavano le sue relazioni sociali, o meglio la loro mancanza, permettendogli di “vedere” davvero chi era John.
Un pezzo, il tuo, che ha l’evanescenza di sentimenti, come il sentirsi incapace di gestire i rapporti con se stesso e con gli altri, che, anche se non travolgenti, come la rabbia o la passione, comunque soffocano il desiderio di vivere. E Sh questo ce l’ha, questo suo personale “male di vivere”, di non trovare la strada giusta per relazionarsi con le persone.
Brava.

Recensore Master
05/11/19, ore 20:03
Cap. 3:

Ciao, so di essere in forte ritardo per quanto riguarda questa drabble e ho due spiegazioni, la prima è che credevo d'averla già recensita (va beh, evitiamo di ridere...) la seconda è che rileggendola ora mi sono resa conto del perché io non l'avessi recensita prima. Forse è una delle drabble più complesse che io abbia mai letto, senz'altro la più difficile da interpretare tra quelle che hai scritto in questa storia. Già ammetto d'avere avuto delle difficoltà con la citazione, forse in questo caso, il non aver letto il libro mi ha impedito di conoscere tutti i retroscena che la riguardano e la maniera in cui sei arrivata ad abbinarla a Sherlock. Di sicuro non è facile arrivare a una decifrazione nitida. Io credo molto nell'interpretazione, nel fatto che chiunque interpreti un testo alla propria maniera e che questa sia per forza di cose diversa da ciò che interpreta invece un altro. Ma qui confesso di avere enormi difficoltà. Non per tuoi demeriti, chiariamo, è solo molto difficile comprendere ciò che c'è dietro.

Di nuovo c'è Sherlock, il palazzo mentale è il suo e quello che si fa con queste drabble è viaggiare dentro la sua mente, aprendo ogni stanza. E ogni stanza è una citta, questo ormai è chiaro. In ogni stanza ci sono cose molto diverse, nella precedente erano pezzi che aveva lasciato indietro perché non più importanti mentre in quella prima ancora era il 221b di Baker Street con John accanto. Qui la mia sensazione, ma di nuovo ripeto che non son certa di nulla, è che questa sia la stanza di un certo tipo di emozioni che si vanno a riflettere su una propria condizione intima. Qui Sherlock osserva la gente, persone senza un volto e che lui definisce senza identità, il che mi porta a credere che siano sconosciuti. Gente qualunque. Persone che in un certo qual modo Sherlock invidia, prova gelosia nei loro confronti. Credo che il perno di tutto sia la consapevolezza di se stessi. Il quanto ognuno si conosce, quanto è in grado di autoanalizzarsi. E per ragioni a noi sconosciute, Sherlock è convinto che questi individui che incontra per caso siano più capaci di lui, ad analizzare se stessi. In fondo è tutto qua, il concetto. Gira tutto attorno a questo. Al fatto che Sherlock sia stato portato a credere una cosa del genere, ritengo che sia un sentimento specifico di un momento della sua vita (magari del passato) in cui era insicuro riguardo qualcosa e di riflesso di se stesso. Ma ovviamente non sappiamo a quanto tutto questo fa riferimento. L'immagine di Sherlock che guarda queste persone, che si rende conto di non saper tutto di loro, viene collocata in una Londra al tramonto che, per me che non ho letto il libro, pare essere il solo legame con la città di Calvino. Non so, perché come dicevo non ho letto il libro, se c'è un significato nascosto sotto. Se esiste un qualche tipo di legame tra la città al tramonto e il fatto che Sherlock deduca persone a caso e non riesca a farlo. Insomma se lo stato emotivo in cui versa Sherlock abbia una qualche connessione con Diomiria. Ammetto con l'interpretazione di questa drabble mi fermo qui, faccio un passo indietro perché le considerazioni che ho fatto nascono da mie impressioni che possono naturalmente essere anche sbagliate.

Mi piacerebbe sapere qual era il messaggio che volevi far passare, qual è l'interpretazione più corretta. Senz'altro mi è piaciuta, e questo al di là del singificato. Leggere queste drabble e cercare un loro singificato, è un'avventura piuttosto piacevole.
Koa