Non ti annoio con un discorso sul ritardo con cui ti recensisco, potrei dare la colpa all’allungarsi patologico della lista delle “Storie da recensire” ma, tanto ci ricadrei nel non seguire un ordine cronologico. Comunque ci sono e ti ringrazio di aver proseguito nel tuo impegnativo percorso sulle orme del grande Calvino. Sì, perché, non ricordavo più il titolo che hai dato alla raccolta, pensavo a “Le città invisibili” o simili e, non trovando alcunchè del genere nel suddetto elenco di ff cui lasciare delle mie osservazioni, ho temuto che tu avessi rinunciato al progetto. Ed invece, per fortuna, dopo un’illuminazione che ha acceso la mia memoria, eccoti qui.
Il pezzo cui fai riferimento che riguarda la città di Diomira, è davvero splendido. Infatti io amo molto la preziosità espressiva che può essere insita in un brano descrittivo e qui trovo piena soddisfazione, tra “cupole d’argento” e le altre splendide immagini che si susseguono. Di questo ti ringrazio perché mi fai tornare il desiderio di rileggere l’opera di Calvino e di gustarne appieno, dopo anni di lontananza, l’incomparabile sapore.
Vedo che tu hai ripreso quello che è il senso più profondo del pezzo in quanto, è come se spegnessi le luci sfavillanti dell’apparenza e portassi in primo piano ciò che sta sotto, al buio. Siamo nel Mind Palace di Sh, come già ci hai avvertito all’inizio di questa raccolta, nelle stanze, però, più segrete.
La malinconia è ciò che, secondo me, lega le parole di Calvino alla tue. Malinconia intesa nel suo significato più evidente di stato d’animo particolare di chi si sofferma, senza riuscire ad uscirne in breve tempo, in sentimenti d’inquietudine e delusione.
Cioè, provando ad applicare la definizione a quello che potrebbe provare Sh, ipotizzo che Diomira sia la stanza segreta in cui lui ha racchiuso la sua fragilità più grande, quella nascosta dalla sua spavalda maschera d’arroganza e di affermazione compulsiva della sua, comunque evidente, superiorità intellettuale. Mi riferisco alla sua incapacità di avvicinarsi alle persone senza “scannerizzarne” i vari elementi costitutivi, come si farebbe con un oggetto complicato e sconosciuto.
Sh, in effetti, applica anche a chi gli sta intorno, in modo automatico, il metodo deduttivo proprio del suo lavoro sulle scene del crimine, che gli fornisce, in un lampo, una sequenza d’informazioni. Informazioni e basta. Per questo, il suo stato d’animo è quello di chi, di fronte ad un tramonto, nella luce incerta che si sta spegnendo, non riesce a distinguere i particolari di chi incontra. Disattivando la sua formidabile mente, infatti, egli si accorge che non gli riesce di “sentire” le persone, senza intermediazioni razionali e prive di spessore emotivo.
Perciò, nelle stanze più segrete del suo cuore, invidia chi, invece, sa guardare agli altri comprendendone la vera essenza, che non è la risultante di una serie di deduzioni ma un moto dell’animo, spontaneo. Cosa che lui, sicuramente, non riesce a liberare. Ecco allora la malinconia del sentirsi completamente solo, circondato da tante figure di cui non riesce a distinguere la realtà.
Penso proprio che questa stanza, così triste, possa riferirsi allo Sh prima dell’incontro con Watson, quando il “Fantastico!”, con cui quest’ultimo ha reagito alla solita sequela logorroica di deduzioni da parte del consulting, ha diradato le ombre e l’indistinto che dominavano le sue relazioni sociali, o meglio la loro mancanza, permettendogli di “vedere” davvero chi era John.
Un pezzo, il tuo, che ha l’evanescenza di sentimenti, come il sentirsi incapace di gestire i rapporti con se stesso e con gli altri, che, anche se non travolgenti, come la rabbia o la passione, comunque soffocano il desiderio di vivere. E Sh questo ce l’ha, questo suo personale “male di vivere”, di non trovare la strada giusta per relazionarsi con le persone.
Brava. |