Ciao carissima!
Ma quanto, quanto sono in ritardo, stavolta? E dire che ero stata quasi impeccabile, finora, ma tra esami brutti, cene e festoni che ben sai e inizio del 2020 turbolento, ho rimandato a oltranza in attesa di poter elaborare una recensione quantomeno decente e non troppo delirante, anche se su quest'ultimo punto non prometto nulla :')
Bene, la prima coltellata, quasi fatale, è arrivata già nel leggere il primo titoletto: come fai? È forse un dono, quello di ammazzarmi ancor prima di cominciare? Ma sto divagando... direi che partiamo bene, se non benissimo; e tutto il processo di annientamento del povero lettore si reitera con quella domanda iniziale dai mille e più doppifondi che scava nell'anima di James... il resto è stata lenta tortura, scritta in modo magistrale. Attendevo già da un po' l'ammissione a se stesso di James rispetto a ciò che realmente prova, e non sono rimasta delusa per come l'hai presentata qui: sì, fa paura un sentimento simile quando si è chiusi in una gabbia e soggetti al volere altrui, ancor di più quando non si è abituati ad avere un volere e delle idee proprie e autonome.
Con "lenta tortura" mi riferisco alle fantasticherie richieste da Natasha, che a questo punto sembra solo volersi proiettare e perdere in un mondo parallelo in cui non esistono capi e ordini e note rosse. Ho amato alla follia questo passaggio, inclusa la reticanza di James e il vano tentativo di imbrigliare fantasie dolorose anche solo da concepire, per poi rendersi conto che il fatto stesso di provare ad arginarle è una crudeltà di per sé, quando non si hanno prospettive di fuga realmente tangibili.
"... no. Riavvolgi. Fa male. Riavvolgi. Ridimensiona."
Questa posso considerarlo il colpo fatale, da qui in poi ho letto più o meno come in trance e con una carenza d'ossigeno palpabile, il tutto inframezzato dall'avvento repentino, preventivato, ma comunque agghiacciante delle scariche elettriche e dell'annichilimento di James. Ormai l'ho letto dalla tua penna svariate volte, ma non ce n'è una in cui non mi abbia devastata internamente. Qui però hai aggiunto altro, molto altro... ovvero l'effettivo ritorno in patria di James, e il fatto che tutti i dettagli e le immagini su cui ha fantasticato prima del reset siano adesso privi di qualsivoglia rilevanza, offuscati dal controllo mentale ma bordati dal fantasma rosso che non lascia mai, mai la sua memoria. Brividi.
E ne arrivano altri, a raffica, nella sezione di Natasha: ero appena riuscita a riprendermi, che mi catapulti nella sua mente devastata da un singolo fotogramma d'oltreoceano, che riesuma gli altri in una reazione a catena inarrestabile. Sai che mi prudono sempre le mani nel leggere di Petrovich, e qui non ha fatto eccezione; peccato che l'immagine mentale con contributo di tagliacarte che crea Natasha sia, appunto, solo un'altra fantasia, perché diciamo che a questo punto non mi sarebbe affatto dispiaciuta vederla "dal vivo".
Sono rimasta spiazzata quanto Natasha, nel vederlo apparire in scena; non tanto perché potessi anche solo prendere in considerazione un vago pentimento da parte sua, ovviamente, ma perché il pensiero è corso in automatico a chissà quale altra pantomima stesse mettendo su per completare l'opera di demolizione della "figlia". Opera riuscita a tutti gli effetti, e ciò che ha fatto più male di tutto questo passaggio non è tanto la frase finale agghiacciante che le rivolge Ivan, né il crollo fisico e mentale in sé di Natasha, ma il fatto che, inevitabilmente, lei venga sopraffatta dalla debolezza e si ritrovi affidata alle sue braccia, le ultime da cui in uno stato cosciente vorrebbe mai essere stretta... c'è un sottotesto sbagliato e di profondo disagio soppresso che disturba il lettore, e perciò perfettamente collocato.
Concludiamo con quello che, non è sicuramente il mio personaggio preferito, ma che, strano a dirsi, nel contesto di questa storia mi sono trovata a leggere con più intento e attenzione, forse proprio in quanto anello scoordinato rispetto a quella che dovrebbe essere la relazione di James e Natasha. Credo di aver espresso molto ampiamente quanto io abbia apprezzato la sua evoluzione, così come l'hai descritta, e qui non posso che ripetermi: ti sei ricordata di chi stessi parlando. Nonostante Alexei abbia indubbiamente operato dei miglioramenti nel corso di questi anni, la prima frase che lascia la sua bocca è che sarebbe stato meglio sopprimere James ai primi segni di malfunzionamento. Un'osservazione cinica, pragmatica, e che forse inconsciamente tiene anche conto del suo rapporto con Natasha. Ha indubbiamente ragione da un punto di vista pratico: il non voler eliminare James è un fatale peccato di hybris da parte dei capi, che credevano di poterlo controllare e di eradicare qualunque traccia di "manomissione" esterna. Ma questo pensiero è espresso da qualcuno che sa che amore indissolubile vi sia stato tra lui e Natasha, e che soprattutto è cosciente che, oltre che un pericolo di per sé, James attenterà alle fondamenta stessa della psiche di sua moglie, rivoltandogliela contro e vanificando anni di matrimonio turbolento, sì, ma che sembrava infine attraccato in porti sicuri. Tutto questo in poco più di una riga... che dire? Affermare che hai fatto un ottimo lavoro credo sarebbe riduttivo.
E comunque, in Alexei prevale un sentimento protettivo, di certo frutto di matrice parzialmente egoistica, ma sta di fatto che finisca per sottostare ai capi pur di salvaguardare Natasha. Eppure, c'erano sicuramente altre soluzioni, le stesse che non ha avuto il coraggio di applicare per anni e di cui si rende conto alla fine: prima tra tutte la fuga verso un mondo migliore. Un qualcosa di pericoloso che, però, con i mezzi e gli agganci di Alexei si sarebbe rivelata meno ostico rispetto a un qualunque comune cittadino dell'URSS. Sono le scelte che ci definiscono come persone, e direi che quelle compiute da Alexei sono più che esplicative e caratterizzanti, e culminano con un sacrificio che da un lato può essere definito coraggioso, dall'altro inutile e fuori tempo massimo per salvare Natasha, o anche solo se stesso.
Insomma, un conclusione che sfiora vette di tragicità nel senso letterale del termine, in quanto troviamo un Alexei artefice in tutto e per tutto del proprio destino e di quello altrui, eppure cieco ad esso se non nel momento in cui si ritrova ingabbiato dalle sue stesse mani. Non mi aspettavo nulla di diverso, considerando le premesse e il setting della storia, e proprio per questo è un finale più che adeguato al tutto, soprattutto se si considera la storia come un raccordo e approfondimento dei precedenti progetti. Bravissima, come sempre, ma c'è davvero bisogno di dirlo?
E adesso, non mi resta che recuperare finalmente Indelible Marks e attendere trepidante il famoso progetto mastodontico n° 4, che mi stai tenendo già un po' troppo sulle spine al riguardo :')
Un bacione, e spero a presto,
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