Ciao, carissimo!
Tu scrivi una storia su Dark Souls, anzi, cominci una long, e per di più con un personaggio tutto tuo a calcare la lore complessa e affascinante di questo mondo e io che faccio, non passo a leggerla? Giammai! E adesso, a lettura ultimata, sappi che ti esorto (minacciosamente) a partorire (con dolore o meno) il secondo capitolo di questa storia con tempi celeri perché, sì, me ne sono innamorato.
E non solo per lo stile ricercato che, come per quella su Artorias, si sposa alla perfezione con le atmosfere di Dark Souls e con i tempi che vuole richiamare, ma soprattutto per il protagonista, che qui ci presenti con rapide e sapienti pennellate, che dicono quanto basta ma non troppo, e che rendono questa figura intrigante e maledettamente affascinante.
La prima cosa che mi ha colpito di Velkrow e che me lo ha fatto subito piacere è stato il suo essere senza lingua, senza quel muscolo che gli è stato fatto strappare da un padre ignoto. Interessante che di questo abominio lui incolpi anche sua madre, che ha pianto, che lo ha curato con un tizzone ardente che non poteva fargli male, ma che no è intervenuta, non l'ha difeso davvero. Ovviamente, i motivi possono essere tanti e dipendenti dall'identità e dalle motivazioni di questo padre misterioso, ma agli occhi di un bambino costretto a subire questa sevizia, non ci sono motivazioni o giustificazioni che tengano. Solo dolore e crudeltà. La caratteristica del mutismo indotto, comunque, m'intriga non poco e mi piace l'idea di un personaggio mutilo, e soprattutto mutilato di qualcosa che non lo menoma nel combattimento o nei movimenti, ma che è comunque molto importante. Senza la parola, quanto possiamo dire di noi? Quanto possiamo esprimere le nostre idee, imporre la nostra posizione?
Ipotesi sull'identità del solito ignoto (padre)? Qualcuna, ma voglio vedere come si evolve la faccenda prima d'iniziare a esprimermi in merito. La lingua asportata mi fa pensare a certe lingue pallide come trofei e a una certa dea muta, ma qui stiamo decisamente divagando (oppure no? Chissà).
Tornando a Velkrow, altra cosa che ho tremendamente apprezzato di lui è la sua dicotomia nei confronti di sua madre, quei sentimenti contrastanti nei suoi confronti che lo hanno accompagnato per tutta la vita e che non lo abbandonano neppure dopo la morte della madre. Lui la rispetta, a tratti sembra quasi che la veneri, le dà del "voi" a indicare la deferenza che prova nei suoi confronti, eppure. Eppure c'è dell'odio nel suo cuore, odio per la vita a cui l'ha costretto, per ciò che l'ha fatto essere e diventare. Riconosce i nobili intenti di proteggerlo, l'amore nelle scelte di lei, eppure non riesce a perdonarla, a comprenderla del tutto e a fondo: si è sentito prigioniero laddove lei voleva tenerlo al sicuro, si è sentito soffocato, privato della libertà laddove lei voleva proteggerlo. E il freddo Mondo Dipinto non è per lui una gabbia d'oro, ma un luogo di lacrime e sofferenza, un luogo dove si è sentito in catene, costretto nelle scelte, costretto in tutto.
Ha abbracciato le file di Gwyn più per torto nei confronti di sua madre che per vero credo. Mentre paparino ci riprova e cerca d'ingraziarsi il figlio promettendogli un ruolo di spessore tra i Cavalieri d'Argento (cocco, potevi anche evitare di fargli strappare la lingua, magari ti voleva più bene. Così, tanto per dire), lui approfitta per fare i dispettini alla madre, e indossa l'armatura come monito nei confronti di se stesso, per non dimenticare mai il male che (ritiene) lei gli abbia fatto. Rancoroso, il ragazzo. Mi piace.
Ho amato la parte finale della storia, quella in cui Priscilla muore e lui si sente addolorato nel vederla ferita e moribonda e furioso nel cogliere il baluginio dell'armatura dell'assassino (Ornstein ha sempre una gran classe, non c'è niente da fare, anche quando salta giù da un dirupo - mica come quel ridicolo del prescelto). Poi prova a parlare e si ricorda che non ha la lingua e qui riaffiora l'odio per la madre, un odio che non riesce a non provare neppure mentre la stringe tra le braccia e piange lacrime silenziose sul suo volto. La odia mentre si dispera per la sua dipartita. Un'immagine potentissima e stupenda.
Tutta la vita di Velkrow è stata un filo sospeso tra l'odio e l'amore per sua madre, in un contrasto che forse l'ha segnato più di quanto pensi e che si perde anche dopo la morte di Priscilla. Tutto il suo mondo è morto e li è disperato, ma si sente anche speranzoso e libero per lo stesso motivo, perché lei è morta. Si è liberato dalle sue catene e si appresta ad andarsene, per fare cosa? Per vivere davvero da uomo libero, oppure per inseguire l'assassino di sua madre per vendicarla, in uno strascico di quelle catene che lo hanno stretto per tutta la vita?Se p davvero questo che vuoi fare, buona fortuna, coraggioso: te ne servirà tanta, soprattutto se Ornstein è mal accompagnato da Smough.
"I cari ricordi possono tenerti in vita": ho saltato sulla sedia quando ho letto questa frase. Il pendente è sempre l'oggetto che scelgo all'inizio quando comincio una nuova run, anche se non serve a niente e anche se è una trollata del caro Miyazaki, perché amo questa frase, quindi ritrovarmela scritta così, all'improvviso, mi ha fatta gongolare.
Caro, non posso che farti tanti, tantissimi complimenti per questa storia, che si prospetta davvero moooolto interessante e intrigante. Attendo con trepidazione il seguito.
E comunque, giusto per farlo sapere a Velkrow, io Priscilla non la uccido mai, quando vado in visita al Mondo Dipinto (scelta che mi piacerebbe fosse possibile fare anche con il povero Sif).
A presto :) |