Ti dirò sinceramente che ho esitato parecchio prima di mettere giù qualche osservazione perché desidero scrivere cose sensate e non inseguire quello che potrebbe essere una mia interpretazione di ciò che hai scritto.
Quindi, mi scuso in anticipo se prendo cantonate, ma l’intenzione è sicuramente buona perché mi dispiace che un pezzo del genere resti muto, senza suscitare in chi legge delle idee che potrebbero non essere proprio centrate ma che, comunque, ruotano, o tentano di farlo attorno al nucleo di ciò che vi è espresso.
Innanzi tutto il POV: in quanto a questo penso di affermare tranquillamente che è quello di Mycroft. E questa non è una scoperta impegnativa perché questa tua raccolta è incentrata, appunto, sulla figura del maggiore dei fratelli Holmes.
Procedendo nell’osservazione e nel tentativo di leggere davvero ciò che hai voluto comunicarci, mi avvicino con cautela partendo dall’ “esterno” e cioè dagli elementi più immediati da cogliere come, per esempio, l’annotazione che è di Mycroft lo sguardo che fotografa l’evolversi di situazioni che lo riguardano e come la scansione in quattro unità ben delineate sia ben evidenziata nella sequenza legata al numero quattro. Quattro fasi della vita? Oppure quattro volti del mondo interiore e del suo rapportarsi con l’esterno?
Potrebbero essere entrambi le ipotesi.
Il filo conduttore che armonizza insieme le varie parti è, comunque, quel “look” che coglie gli elementi che segnano le esperienze di Holmes ed ha la stessa intensità di uno sguardo che cerca di interpretare la realtà e di filtrarne l’impatto.
Provo a fissare i pensieri, ritenendo, per il momento, fondata la prima ipotesi d’interpretazione e che cioè tu stia facendo esprimere Mycroft sulle fasi della sua vita.
La prima, e mi servo, soprattutto, di due parole che trovo significative e cioè “riso” e “bambino”, potrebbe riferirsi all’infanzia e al periodo immediatamente successivo della vita di Mycroft. Un tempo che noi possiamo immaginare come molto difficile, alla luce di quanto ci è stato fatto vedere nella S4, in cui lui è schiacciato dal suo ruolo di fratello maggiore, e quindi dalle relative responsabilità, in una famiglia che vede, con orrore, un suo membro, Eurus, rivelarsi come il germoglio di una follia lucida e spietata.
Inoltre, da vari elementi emersi anche precedentemente, nel suo passato ci sono le sofferenze legate ai disturbi alimentari che, molto probabilmente, hanno reso difficile il relazionarsi con i coetanei senza venire fatto oggetto di scherno o di scherzi pesanti. E, forse, quel “riso” che nasce “da un errore” potrebbe anche riferirsi ad un’educazione rigida e che non lascia spazio all’umana fragilità, in cui, di fronte ad una imperfezione non si incoraggia ma si sottolinea con arroganza la “caduta”. E dunque il cuore di Mycroft è segnato dal desiderio, mai esaudito, che ci sia gioia semplice e limpida intorno a lui, come le risate di felicità dei bambini. Ma a lui non è stato mai permesso.
La seconda parte, sempre considerando una sequenza temporale, potrebbe essere riferita alla giovinezza di Holmes, lanciato in brillanti risultati nello studio e poi in una promettente carriera. L’energia c’è ma tutto lo slancio è come imprigionato in un procedere preciso, senza emotività, che trasmette un senso di efficienza e di risultato sicuro, ma appesantito da una certa freddezza nell’applicazione.
Mycroft è indubbiamente stato un giovane uomo brillante e più geniale del fratello minore ma il peso delle responsabilità, appoggiate sulle sue spalle, e le aspettative con cui è stato cresciuto, ne hanno limitato la libertà di essere creativo e più umano.
La terza parte, sempre se di fase della vita si tratta, potrebbe condensare l’essenza di “Mister Inghilterra”, impegnato in un ruolo di grande potere da cui i sentimenti sono tassativamente esclusi per non distogliere l’attenzione e l’impegno dagli obiettivi prefissati che, per lui, non sono certamente quelli di tentare di essere felice, perché ciò sconvolgerebbe completamente il suo modo di vivere.
Ma, arrivata al quarto capoverso, mi trovo un po’ disorientata e mi viene un dubbio relativo alle fasi della vita: infatti la notte, seguendo questo mio ragionamento, dovrebbe corrispondere agli anni della vecchiaia e qui, appunto, non mi sento più tanto sicura di quel percorso che ho seguito fino ad ora, perché Mycroft non è un uomo anziano. Infatti mi trovo persa in un labirinto di cui l’uscita prevista non è quella che pensavo.
Dunque arrivo alla seconda interpretazione, o meglio, ipotesi, che è che le quattro fasi siano quattro diversi momenti psicologici che coesistono in tutti noi, e segnino la vita di Mycroft.
Alla luce di questo presupposto, tutto mio, comunque, tento di leggere le varie fasi da questo punto di vista e cioè considerandole i vari volti del modo con cui approcciarsi alla realtà che Mycroft si trova davanti.
Prima fase: l’immediatezza e la speranza che possono spingere ad una maggior fiducia nella vita.
Seconda fase: nel trasporto immediato della prima fase va aggiunta una maggior riflessione su quello che po’ essere deleterio nel raggiungimento di un obiettivo. Quindi si pone la necessità di limitare l’entusiasmo e potenziare la continuità nel raggiungere ciò che si è prefissato, quindi bene l’essere “gagliardo”, ma sotto il controllo assoluto della ragione.
Terza fase: è il momento in cui abbiamo conosciuto Mycroft, nell’universo dei Mofftiss, uomo di potere, fratello preoccupato per il futuro di Sh, incrollabile “Mister Inghilterra” nel considerare solo i fatti nella loro evidenza, senza lasciare spazio a quella che può essere l’influenza disorientante dei sentimenti.
E poi c’è lo scoglio più difficile da scalare del capitolo, che è l’ultima fase, quella che mi ha fermato nella mia precedente interpretazione sui vari momenti della vita di Mycroft.
La notte. Quindi accantonata l’idea che tu ti sia potuta riferire ad una sua età avanzata, mi viene da pensare che questa quarta fase sia la rappresentazione di un Mycroft senza più costrizioni, senza obblighi di potere. Lui, la sua vita personale e basta. E si fa concreto il desiderio di essere amato (“…mani esperte…”), senza più rendere conto al controllo razionale. Ma, per ora, il suo è solo un fluire di emozioni trattenute e “rotte”, quasi con stupore e dolente consapevolezza di una solitudine che si fa via via più pesante.
Ti chiedo di scusare la mia recensione che può apparire un delirio, ma ho una certezza. Infatti penso che i testi che suscitino molte idee, anche contrastanti, e stimolino la riflessione, siano senz’altro qualcosa di molto valido perchè fanno pensare.
Il tuo “Look” appartiene proprio a quel tipo di storie, anche se, in realtà, ha la stessa efficacia di un testo poetico, che non appiattisce la voglia di ragionare su quanto si sta leggendo ma la invita a soffermarsi per trovare il senso di tutto.
Io qui ho “allagato” le tue belle parole con un fiume straripante d’idee, ma l’ho fatto volentieri ed è stato un tempo ben speso perché la sosta nei propri pensieri è sempre qualcosa di utile e rilassante.
Comunque spero proprio di non aver delirato a vuoto ma di aver centrato almeno in parte il tuo messaggio e ti ringrazio per la pazienza nell’avermi accolto e letto. |