Ciao!^^
Chi ha subito ce l'ha con il proprio aguzzino, ma ce l'ha forse di più con la parte di sè debole e dipendente - patologicamente dipendente - che non solo ha reso possibile l'abuso, ha fatto sì che potesse venire perpetrato, ma addirittura reagirebbe con emozioni di vario genere (ma non il disprezzo che la protagonista auspicherebbe) nel rivedere l'aguzzino.
Hai esemplificato in maniera molto chiara la dinamica che si instaura tra l'abusatore e la vittima, nonché il fatto che una parte della vittima in realtà nella dinamica di abuso e sottomissione trova una sua ragione di essere. Questo aspetto non viene mai esplorato, in favore di interpretazioni più manichee ma proprio per questo fuorvianti, tu invece l'hai esemplificato molto bene.
La tua protagonista rifiuta questa parte di sè debole, dipendente, passivo-aggressiva. Non la perdona per ciò che l'ha indotta a fare e a subire, vorrebbe strapparsela via, distruggerla.
Ma non può.
Da qui le cicatrici, che al di là di ogni retorica e luogo comune, non rendono una persona più bella: sono solo la trama di connettivo che le consente di rimanere ancora unita, se non può più essere integra.
Questa riflessione, da una parte amara ma dall'altra realista e disillusa, chiude una rassegna in cui hai esplorato le dinamiche della dipendenza malata e le sue conseguenze.
Dopo tutto questo, però, la tua protagonista riesce a costruirsi di nuovo, a saldare i suoi cocci, ad andare avanti nonostante quella sua parte debole e dipendente, che però è relegata nell'ombra e fa sempre meno danno.
Complimenti, bravissima! Scusa per lo sproloquio e a presto! |