"Lo strazio di non poter sentire ancor il canto della rondine a primavera o il passo lieve dei cervi d’estate ci riempì il petto di una nostalgia furiosa. E così, con il cuore pesante e l’odore di muschio nelle narici, morimmo."
Wow. Penso che sia la frase più forte, più pregna di significato e di carica emotiva che io abbia mai letto su questo sito o altrove.
Wow.
E' una scena davvero straziante e io la vedo solo dal punto di vista di una contemporanea, amante della storia antica e che si strugge al pensiero di quante culture e civiltà abbiamo perso per strada, con poche o nessuna traccia su cui ricostruire il loro pensiero.
Mi piace questa ambientazione generico-europea, o almeno credo che lo sia, il riferimento alla dea Danu mi ha fatto pensare ai libri di Ayla e al fiume Danubio, il fiume della Grande Madre. All'inizio la sacerdotessa si taglia i polsi e "si abbandona alla dea", il fiume si macchia di rosso e la gente guarda il fiume aspettando un segno, quindi nella mia mente la sacerdotessa si è tagliata i polsi e si è immersa in acqua. Acque placide, poi, mi fa pensare a un luogo dove la corrente non fosse molto forte, quindi un fiume già largo, magari perfino vicino alla foce, cosa che mi fa immaginare questa scena nelle zone dell'attuale Ucraina o Romania. Ma magari il Danubio non c'entra nulla. C'è una dea Danu anche in Irlanda (anche se il nome Danu è solo una ricostruzione, una ipotesi), ma non è chiaro se abbia un diretto collegamento con i fiumi. Comunque danu è una parola proto-indoeuropea che si è riscontrata in diversi luoghi con sempre significati legati ai fiumi, quindi potrebbe davvero essere ovunque in Europa.
Ma tornando al punto, sì, il mio dolore verso le civiltà perdute. Ho una passione anche per l'antropologia, quella studiata sui libri, non chiedetemi di parlare veramente con le persone, ma raccogliere dati e tramandarli ai posteri è una nobile missione per me. Possiamo imparare qualcosa dai nostri antenati? Sapevano qualcosa che noi non sappiamo? E' una domanda che mi accompagna da anni. Forse no. Forse l'unica cosa che possiamo imparare è che erano umani quanto noi.
E infatti questa storia porta un dolore del tutto diverso: non quello dello studioso che vede bruciare una mini biblioteca di Alessandria fatta di carne e cultura orale, ma quello di un essere umano che capisce che, dietro quelle memorie perdute, ci sono in realtà le vite e le morti di altri esseri umani. Tendiamo a dimenticarlo perché, anche se fossero vissuti in pace e morti di vecchiaia, ormai sarebbero andati da tempo.
Questa storia invece ce li rende vicini, ce li rende umani. Con che facilità a quel tempo si prendevano le vite degli altri senza pensarci due volte? Che amarezza la fine di questo popolo fiero, e come hai descritto bene le emozioni prima della morte, fin dal momento in cui cercano dentro di sè il coraggio (complice quella specie di bardo che è un po' sciamano, o vice versa), per poi trovarlo, combattere, la furia della battaglia, la gioia della vittoria temporanea, la paura quando i nemici tornano ma anche la soddisfazione di portarne con sé il più possibile - perché la vita umana non ha valore di per sé, solo quella del proprio popolo ne ha. Un mondo frammentato, ma così era per davvero.
E alla fine, per tornare alla frase che ho riportato all'inizio del commento, la morte che arriva, e l'inevitabile paura della morte anche se mitigata dal coraggio. La morte anche del nostro narratore, perché c'è un motivo se la notte cala in anticipo.
Molto bella questa storia, molto cruda e viva, davvero memorabile. |