Quinta classificata
“Equilibrio di un caos ordinato”
di VigilanzaCostante/matiscrivo
Totale: 32.10/35
Grammatica e stile: 8.50/10
La grammatica è generalmente corretta, il lessico è utilizzato in maniera coerente e non ci sono grossi errori, ma solo piccole distrazioni e qualche sfumatura da utilizzare come spunto per tendere sempre al miglioramento.
Non ci sono ripetizioni involontarie che io abbia trovato sgradevoli, ma solo quelle volute di alcuni termini per una scelta stilistica, soprattutto a inizio frase. Questa è di fatto una figura retorica (anafora), che hai fatto tua e che fa parte del tuo modo di scrivere. Ti faccio però notare che, per quanto sia un efficace strumento per evidenziare qualcosa, l’eccesso della ripetizione può appesantire la lettura, rendendola troppo ritmica.
Ti riporto qualche esempio, e ti invito a notare, rileggendo il testo, quante volte hai fatto ricorso a queste tecniche, forse a volte in maniera anche inconscia. Nulla di scorretto, ma, secondo me, l’obiettivo deve essere utilizzarle in maniera controllata, per dare a ogni espressione un valore maggiore.
“Nacque nel calore, a pochi passi dal mare e con l’intera famiglia a sentire le sue urla di benvenuto al mondo. Nacque nel tacito tumulto della ripresa […]”
“Ma c’era anche la magia, la magia che aveva rinunciato a usare […]”
“Avrebbe voluto dire che le bastava, che le bastava conoscere il mondo spogliato di uno dei cinque sensi, che le bastavano i tiepidi baci sulla guancia di Dominique e le marachelle di Louis.”
“E Victoire, ancora scottata da quella magia che non era stata in grado di salvarla, se ne innamorò. Si innamorò della chiarezza […]”
Nello spirito del contest, preciso che la ripetizione in questi ultimi tre esempi costituisce la figura retorica dell’anadiplosi, ovvero la ripetizione di un termine a fine frase precedente e a inizio frase successiva per metterlo in evidenza.
Discorso analogo vale per le triple, sia come aggettivi che come segmenti sintattici. Io per prima le uso moltissimo, a volte anche inconsciamente, ma vale lo stesso discorso delle ripetizioni: un espediente stilistico è tanto più efficace quanto più è raro.
“figlio, fratello, amico”
“in quella pelle morbida, in quella peluria bionda, in quei gemiti da neonato”
“nata nella pace, nata dall’amore, nata cieca”
“Conosceva l’odore del mare in riva alla spiaggia, la sensazione dei granelli di sabbia sottopelle, le risate di sua madre quando suo padre la faceva ridere”
“rumorosa, numerosa, folle famiglia”
“di quei teoremi, delle implicazioni logiche, della perfezione astratta che riusciva a raggiungere”
Altra scelta stilistica è l’uso della virgola prima della e congiunzione. Qualcuno lo ritiene un errore, ovviamente non lo è, soprattutto se usato bene, e tu vi ricorri per enfatizzare un concetto. In questo caso ho riscontrato un equilibrio perfetto nella scelta di questo espediente e mi è piaciuto molto.
Infine, la contrazione “s’era” non è “spontanea” nella lingua italiana di oggi, si tratta quindi di una scelta dell’autore. Da lettore può piacere oppure no, io non l’ho trovata disturbante, può diventare un tratto stilistico, ma il mio suggerimento è di non abusarne, perché il rischio è quello di appesantire il testo.
Riporto qualche distrazione di varia natura:
“medimagi”, dovrebbe essere Medimaghi, con la maiuscola e con il plurale corretto.
“avvertila” dovrebbe essere avvertirla.
“babbano” e tutte le sue declinazioni secondo me andrebbero in maiuscolo perché si tratta di un termine inventato dalla Rowling e come tale è riportato nei libri.
“tassorosso” va in maiuscolo, per lo stesso principio e a maggior ragione perché è il nome proprio di una Casa di Hogwarts.
“vent’ anni” ha uno spazio di troppo dopo l’apostrofo.
“orgoglio misto rabbia” dovrebbe essere orgoglio misto a rabbia.
Dal punto di vista della costruzione delle frasi e della punteggiatura non ho riscontrato grandi errori, ma ti riporto qualche mia osservazione, sia per continuare a spiegare l’idea complessiva che mi sono fatta e che ha portato alla definizione del punteggio di questo parametro, sia nella speranza di poterti dare qualche spunto di riflessione.
“«Come la spieghi scientificamente la magia? Non la spieghi» prese la bacchetta sul comodino «eppure posso fare questo».”
Il primo la fa riferimento a la magia, quindi, per non ripetere il complemento oggetto nella stessa frase, sarebbe opportuno lasciare uno solo tra i due. Tuttavia, questo genere di ripetizione è comune nel parlato e può essere una scelta anche nella parte narrativa per evidenziare un elemento della frase. In questo caso, però, la costruzione corretta richiede una virgola (o in altri casi due) per isolare il segmento ripetuto: “Come la spieghi scientificamente, la magia?”. Inoltre, secondo me – e qui è davvero un punto di vista personalissimo – è necessaria una virgola anche tra le due parti di dialogo. La punteggiatura delle didascalie che reggono i dialoghi è assolutamente discrezionale, soprattutto per quanto riguarda mettere dentro o fuori dalle virgolette i vari segni di interpunzione, o nel caso della virgola non metterla affatto, ma nel tuo caso hai diviso due parti di periodo che se fossero unite sarebbero comunque separate da una virgola. Per spiegarmi con un esempio, troverei corretta la scelta di omettere virgole se la frase fosse stata del tipo: “«Eppure posso» Teddy mosse la bacchetta «fare questo».”
Non è la scelta che preferisco, ma l’assenza di punteggiatura può essere giustificata in quanto i due segmenti costituiscono un’unica frase continua. Nel tuo caso, invece, prima di “eppure” ci vorrebbe senz’altro una virgola da qualche parte.
In alcuni casi si potrebbero snellire delle espressioni. Alcuni aggettivi possessivi (“mi porti allo stremo delle mie forze”) o dimostrativi (“percepire quell’odore di salsedine che le sapeva così tanto di casa”), potrebbero essere omessi, lasciando inalterato il senso della frase e rendendola più scorrevole. È un’inclinazione poetica, quella di sottolineare i concetti importanti con possessivi e dimostrativi, e se usata con parsimonia può essere anche molto utile in narrativa. In questo specifico caso, però, io avrei tagliato. Eliminerei anche il “le”, perché sapere di casa è una proprietà dell’odore, che sì, è Victoire ad attribuire, ma l’odore non “sa di casa a lei”, ma per lei, quindi la particella le ha un significato sintattico non corretto.
Usi i tempi verbali in maniera generalmente corretta, senza grandi errori, ma mi permetto di farti notare qualche sottigliezza da intendere come uno spunto di miglioramento (e mai come una critica). Ad esempio, quando scrivi: “E mentre appoggiò la testa sulla sua spalla, Victoire ammise che aveva ragione.”
Il mentre, in questo caso, indica letteralmente contemporaneità. I verbi delle due proposizioni (appoggiò e ammise) sono entrambi al passato remoto e quindi effettivamente contemporanei, ma poiché esiste un altro significato dell’avverbio mentre, che sottintende una contrapposizione, preferire l’imperfetto sottolinea la contemporaneità ed esclude la contrapposizione: “Mentre Teddy appoggiava la testa sulla sua spalla, Victoire ammise che aveva ragione”. Per farti un esempio dell’altro uso dello stesso avverbio: “Mentre tu scrivi la storia, io la leggo e la valuto.” I tempi verbali sono sincroni, ma non c’è contemporaneità, perché mentre esprime una contrapposizione e il presente è usato, qui, in senso lato. Lo stesso discorso vale anche per il passato remoto, perché devi considerarlo come il presente di una narrazione ambientata indietro nel tempo.
Lo stile è semplice, e con questo intendo farti un complimento. Ci sono alcuni fanwriter che sono istintivamente portati a utilizzare periodi lunghi e complessi, perché per natura scrivono in quel modo, altri preferiscono frasi brevi e semplici, ma che siano d’impatto. A mio avviso, tu rientri in questa seconda categoria e penso che sia importante non commettere mai l’errore di credere che una scrittura più complessa sia automaticamente migliore.
A questo proposito, ti segnalo un punto in cui un periodo un po’ più complesso mi ha leggermente distratta dalla consueta efficacia del tuo stile.
“Teddy era goffo e impacciato, fin troppo sentimentale, vivo e carico di una magia elettrica che viveva nel profondo del suo animo, manifestando senza veli le sue emozioni.”
Provo a spiegarmi in maniera più logica possibile: la proposizione principale (“Teddy era goffo e impacciato, fin troppo sentimentale, vivo e carico di una magia elettrica”) si compone di una tripla descrittiva, in cui ogni segmento è già ricco di per sé (“goffo e impacciato”, “fin troppo sentimentale”, vivo e carico di…”); la frase potrebbe quindi essere già completa così, ma l’ultimo segmento della principale richiama l’aggiunta di una subordinata oggettiva, in cui quindi il soggetto cambia da Teddy alla sua magia (“carico di una magia elettrica che viveva nel profondo del suo animo”). Io qui mi sarei fermata, perché la subordinata seguente (“manifestando…”) rende il periodo troppo articolato e faticoso da seguire: il soggetto è implicito ed è ancora una volta la magia, quindi per quest’ultimo elemento della frase hai sia una subordinata esplicita (“che viveva”), che una implicita (“manifestando”); oltre alla pesantezza della costruzione della frase, il rimando implicito non è immediato dal punto di vista del concetto, perché se la magia vive dentro di lui, l’idea che si dà al lettore è di qualcosa che risiede, in maniera statica, nell’animo di una persona, in profondità, mentre la seconda subordinata riguarda l’esplosione esteriore della magia stessa.
Insomma, tutto questo sproloquio per dire che aggiungere tanti dettagli per raccontare tutto quello che stai immaginando rischia di appesantire la scrittura e far perdere il lettore. Un buon modo per decidere cosa raccontare e cosa sottintendere può essere proprio questo: se un periodo non deve essere troppo contorto, ma deve limitarsi all’espressione del concetto principale, nel caso in cui per aggiungere il concetto ulteriore che ho in mente fosse necessaria una nuova frase, varrebbe la pena farlo? Se la risposta è sì, allora aggiungi una frase separata, senza appesantire la precedente, altrimenti lascia alla fantasia del lettore. Nel caso in analisi, potevi aggiungere una frase apposita per spiegare che la magia in Teddy si manifestava anche all’esterno, oppure omettere l’informazione e lasciarla intendere dopo, quando lui racconta del colore dei suoi capelli. Io personalmente preferisco la seconda opzione, perché è un valido esempio di show, don’t tell, che caratterizza i personaggi in maniera più spontanea.
Struttura della narrazione: 4.75/5
La trama che hai costruito per questa storia è semplice ma efficace, l’ho trovata solida e molto chiara. È la storia di una ragazza che ha una disabilità e un ragazzo che la ama e vuole farla sentire come tutti gli altri. L’intreccio è lineare, hai strutturato il tutto in maniera funzionale, scandendo bene i momenti da utilizzare per portare avanti la narrazione. I dialoghi sono bilanciati bene con la parte descrittiva e narrativa.
Ho trovato la storia molto ben riuscita. Unico neo, dal mio punto di vista, è la conclusione, che non mi ha lasciata soddisfatta, complice probabilmente il pacchetto: ho trovato il finale leggermente affrettato, forse nel tentativo di dire e non dire, per renderlo aperto. Poiché il resto della storia è ricco di quei dettagli che sono assolutamente necessari a far appassionare il lettore, la loro assenza nella fase finale si percepisce come un “allontanamento” dal cuore della vicenda.
Coerenza e caratterizzazione dei personaggi: 4.25/5
I personaggi sono caratterizzati in maniera molto netta, si vede che nella tua mente ognuno di loro ha una personalità ben definita e questo non è facile per coloro che non sono tra i protagonisti della saga. Victoire è logica, un po’ cupa (non senza giusta ragione), mentre invece Teddy è solare e allegro. Sono un ossimoro, ma soprattutto si completano e restano coerenti per tutta la narrazione, ad esempio quando Vic si mostra infastidita nonostante apprezzi i tentativi di Teddy di tirarle su il morale.
Molti dei loro aspetti caratteriali, tuttavia, sono “raccontati”, più che mostrati. È il caso di una delle primissime presentazioni, in cui descrivi Teddy e poi, per contrapposizione, anche Victoire:
“Teddy era goffo e impacciato, fin troppo sentimentale, vivo e carico di una magia elettrica che viveva nel profondo del suo animo, manifestando senza veli le sue emozioni. Uno accanto all’altro parevano contradditori, lui così trasparente, e lei così fredda, pensierosa. I parenti li definivano “il cuore e la mente”, ma a Victoire quelle parole facevano sorridere: le emozioni, in fin dei conti, risiedevano nel sistema limbico, non tra un battito cardiaco e l’altro.”
Non è un errore in senso assoluto, le descrizioni compatte non sono affatto la radice di tutti i mali. Tuttavia, non posso non farti notare che molti degli aspetti che si evincono da questo paragrafo si ritrovano nelle azioni e nei dialoghi successivi dei personaggi. Non dare fin da subito una spiegazione su come sia un certo personaggio non lascia il lettore in dubbio, ma lo spinge a costruirsi un’immagine completa a poco a poco, catturando ogni dettaglio. Se invece sveli già tutto, quando poi le parole e le azioni dei personaggi confermano i loro tratti caratteriali si può apprezzare soltanto la loro coerenza, la percezione è che ciò che si legge sia giusto e quasi atteso, ma non c’è nessuna scoperta, nessuna sorpresa.
A parte questo piccolo aspetto, i tuoi protagonisti mi hanno colpita molto positivamente. Le loro interazioni sono bellissime ed è molto facile entrare in empatia con loro.
Titolo: 2/2
Il titolo è corretto, aderente al testo e mi piace moltissimo. In più costituisce un ottimo richiamo alla figura retorica, quindi l’ho apprezzato davvero tanto.
Utilizzo dei pacchetti:
Prompt stilistico: 5.75/6
2. La storia deve avere un finale aperto. L’obiettivo deve essere una chiusura che lascia al lettore libera interpretazione a quanto avverrà subito dopo: leggendo, due persone diverse potrebbero farsi idee diverse di cosa accadrebbe dopo, ma devono necessariamente riuscire a farsi un’idea. Non è ammesso, quindi, un finale incompiuto, in cui la storia non giunge a una conclusione e non fornisce al lettore nessuno strumento per immaginare cosa accadrà.
Premetto che questo era uno dei prompt più difficili che ho preparato, non perché fosse particolarmente insolito, ma perché i finali aperti sono difficili da “programmare”. Una storia generalmente nasce nella mente dell’autore con un finale già impostato a grandi linee o, se viene in mente durante la stesura, è comunque spontaneo. È difficile decidere a priori di scrivere un finale aperto senza che risulti forzato.
In un primo momento, ho avuto la sensazione che il finale aperto non ci fosse: ho pensato che Vic fosse partita per Tolosa, per uno studio sperimentale legato alla sua cecità. Soltanto in un secondo momento ho realizzato l’ambiguità della conclusione, la presenza della parola Artimanzia tra quelle che Teddy ascolta distrattamente e che io avevo voluto ignorare, allora ho immaginato una spiegazione alternativa: Vic parte per Tolosa per studiare Aritmanzia, la cosa più simile alla matematica e alla logica Babbana. In quest’ottica, sono riuscita a vedere tutti gli indizi in modo diverso e, di nuovo, l’unica espressione fuori posto era “studio sperimentale”, tra quelle che sente Teddy.
La duplice interpretazione possibile di questa conclusione è chiaramente voluta, ma ho un’osservazione da fare: una soluzione perfettamente “pulita” non avrebbe lasciato tracce dell’opzione alternativa (Aritmanzia e studio sperimentale, rispettivamente). Sono sicura che per entrambe ci sarebbe una possibile spiegazione, lasciata all’immaginazione del lettore, ma personalmente ritengo che prevarrebbe comunque la sensazione di aver incastrato un’interpretazione in mezzo agli indizi che conducono all’altra.
Altro aspetto strettamente legato a questo è il seguente: il mezzo di cui ti sei avvalsa per raggiungere il tuo scopo è la confusione di Teddy. Lui non approfondisce, ascolta discorsi che vengono interrotti quando lui entra in una stanza e non chiede di più, forse perché ha paura di sapere, forse perché nega quella realtà. Il lettore però è più lucido e viene “costretto” al dubbio dalla mancanza di informazioni che nasce dal personaggio. Alla fine Teddy, come scrivi tu, “collega i puntini e giunge all’unica conclusione che gli sembra plausibile”. A questo punto possono accadere due cose: il lettore sicuro della propria interpretazione (come me alla prima lettura) si convince che Teddy sia arrivato alla sua stessa conclusione; viceversa, il lettore più distaccato e critico osserva che se Teddy è così sicuro allora vuol dire che ha informazioni che “tace” al lettore. In un confronto, ovviamente, è destinato a prevalere il secondo, che ha più argomentazioni: se ne ottiene non una posizione definita, ma la certezza che ci sia più di un’opzione possibile, come un’equazione indeterminata, per usare una metafora che Vic apprezzerebbe. In questo senso, il finale aperto si appoggia sul personaggio che, deliberatamente, rende ambiguo al lettore ciò che ha interpretato.
Tutto questo discorso è una precisazione ingigantita con la potenza di un microscopio, perché in verità il prompt è usato molto bene, come si evince anche dal fatto che in un primo momento sono stata convintissima della mia personale interpretazione al finale. Per questo motivo, il punteggio del parametro è quasi pieno.
Figura retorica: 6/6
F. Ossimoro (https://it.wikipedia.org/wiki/Ossimoro)
La figura retorica è utilizzata più volte in maniera corretta ed evidenzia sia gli stati d’animo conflittuali dei protagonisti che la loro contrapposizione. L’uso dell’ossimoro è naturale, ben inserito e centrale. Pacchetto reso alla perfezione.
Gradimento personale: 0.85/1
La storia mi è piaciuta molto, il tema era interessante e toccante ed è stato trattato molto bene. Non c’è compassione nello sguardo di Teddy, solo un desiderio di mostrare a Vic ciò che lei non può vedere. Mi sono sentita coinvolta sempre, ad eccezione del finale, che non mi ha convinta del tutto perché non sono riuscita a condividere lo stato emotivo e mentale di Teddy, che dapprima non capisce cosa succede e dopo, quando lo realizza, si sente travolto dall’oscurità: mi è dispiaciuto per lui, ma non sono riuscita a immedesimarmi appieno nella situazione finale. Per il resto, invece, ho sentito nettamente tutte le emozioni dei personaggi.
Impaginazione – Senza valutazione
Il font utilizzato è standard, perfettamente leggibile, in una dimensione ottimale e questo l’ho apprezzato molto. Tuttavia, il testo non è giustificato, ed è un peccato perché una bella storia merita anche una bella impaginazione, che il testo “a bandiera” non garantisce. Altro aspetto, giusto per essere insopportabilmente puntigliosa, è che avresti potuto inserire i rientri di paragrafo, che rendono l’impaginazione più professionale e il testo più fruibile per il lettore.
Infine, per aggiungere una considerazione di puro carattere personale, quindi assolutamente soggettiva, avrei lasciato uno spazio in più tra i paragrafi divisi dai separatori, sempre nell’ottica di migliorare l’impatto visivo per il lettore.
Ancora complimenti e grazie per la partecipazione! |