Dove vive lo strappo alla regola? In via del tutto eccezionale.
Cara Dorabella, io la so fare, eh, un’entrata ad effetto.
E cos’è un luogo comune? Di fatto, quello che tu cerchi di sfatare.
Un interessante racconto a incastro, in cui le tre parti son collegate da un filo conduttore unico, che è quello dell’apparenza che inganna.
Rifrazione e gioco di specchi, intreccio, piacevolissimo attraverso quello che, debito dichiarato nell’introduzione, potremo chiamare ‘Il Teorema di Settembre’, di cronaca e fantasia; là dove la fantasia è lo sguardo disincantato, scanzonato, verso la realtà che supera l’immaginazione.
Ho colto – ma magari sbaglio – un messaggio sotto il velo del quasi splatter: la domanda di sottofondo, quella che chiede: “Cos’è una brava persona?”, ma seriamente. Perché a recitare la parte della brava persona, della persona innocua, son buoni tutti e non vuol dire esserlo davvero.
Chi scrive di horror e di omicidi non è capace di fare del male davvero.
Chi invece sembra accondiscendente, chi conosce qual è il tuo bene, chi si presenta con l’aura del benefattore… diffidare, sempre diffidare.
Decisamente gustosa la struttura: la prima persona singolare (e il cambio della prima persona singolare) conferisce movimento e ritmo al testo. L’effetto sorpresa, poi, è più che riuscito.
L’immaginazione del primo narratore, la ragazza che dice ‘io’, conferisce da un lato il distacco dai pensieri del secondo narratore (il pranoterapeuta, buono quello), dall’altro lato la naturale sensazione di essere nella sua testa e condividerne le frustrazioni che, nella parte iniziale, appaiono davvero condivisibili.
Intendo: sembra subito uno strano, quello, ma un po’ alla ciarlatano di paese, uno che vende l’acqua della giovinezza e poi va a spendersi tutto al pub; solo passo passo il lettore si rende conto che ha a che fare con un pazzo, e che non ci sono solo i pazzi buoni, divertenti, ci sono anche quelli pericolosi.
Resta tuttavia, la scrittura, leggera e ironica: un omicidio efferato è descritto dal punto di vista – autoindulgente – di un assassino goffo, che quasi non si rende conto lui stesso di essere crudo, di essere, via, diciamolo, un vero e proprio pezzo di mota.
L’estrema correttezza, in tutti i sensi, del linguaggio e del lessico fanno sì che lo scorrere degli eventi non sia disturbante quanto potrebbe. Un esempio su tutto, il fatto che vescica e intestini si svuotino nella morte è non trascurato ma alluso, fondendo così realismo ma anche una certa grazia.
“Un ciarlatano che la pensa sempre, e che la ama” dichiara, il nostro compiaciuto amico, mentendo. Ma mente a se stesso con una convinzione tale che siam quasi tentati di credergli. Quasi.
E la petulante, lamentosa Veronica è quasi una vittima predestinata. Quasi.
“Guarda cosa mi hai costretto a fare”. Eh, già. La colpa, per i sedicenti pranoterapeuti alcolisti, è sempre di qualcun altro, meglio se di qualcun’altra. Tutti incompresi, oppressi, frustrati e cattivi, i pranoterapeuti alcolisti che si possono incontrare nella vita, e la cosa più sana è evitarli come la nera peste; soprattutto se nasci ragazza tendente al masochismo, con un collo da lady Ligeia e che si cura con i fiori di Bach.
Fortuna che la Prima narratrice possiede un’altra scorza, quella della donna risolta, attorno alla quale magari ‘soffia lo Spirito’ (espressione mia, ma si capisce) ma che riesce a vedere, fra fantasia e pragmatismo, la vita da quello che è il lato giusto. E il lato giusto è quello della simpatia con gli altri, dell’indulgenza, ma prima di tutto della capacità di vivere la vita e al tempo stesso sognare la vita. Evitando i mostri che camminano fra noi, qualunque nome e qualunque titolo abbiano, assai meno poetici dei mostri di fantasia.
Lei sorride speranzosa.
E, ironia della sorte, di questa ‘rosa’ ignoriamo il nome.
Cara Dorabella, il racconto mi è piaciuto assai e sei andata a pescare in un laghetto che è mio e a giocare con balocchi che non ho mai abbandonato. E possiede l’ingrediente segreto che fa la differenza.
Omaggi devotissimi,
Sacrogral |