Stavolta, mia cara Fenice, non ti nascondo che la tua poesia mi ha toccato a fondo nell’intimo, e lì c’è rimasta, e lì l’accarezzo.
Con i tuoi consueti lunghi versi, lunghi perché quasi sempre più estesi delle canoniche undici sillabe; ma avvolgenti, come valve che racchiudono preziose perle adamantine.
Pensa che ieri, soppesando il fatto che fosse la Festa delle Liberazione, avevo espresso il desiderio - scivolando su un piano più personale e senz'altro meno patriottico - di essere liberato dai ricordi, che altro non sono che pensieri che riaffiorano dal passato. Liberato, per poter vivere il presente con più entusiasmo (“il Passato torna invadendo il Presente”, scrivi) e il futuro con più fiducia (senza la fatica di “trovare una via che ti traghetti verso il Futuro”, scrivi).
Inquietante l’illustrazione che pubblichi, apparentemente rilassante col suo tripudio onirico di cieli ed acque azzurre, ma con due occhi chiarissimi che calamitano e non ammettono distrazioni.
Ed eccoli, i Ricordi, spuntano pretenziosi, non vogliono relegare il Passato a cosa ormai finita, forse perché non si rassegnano a far passare sotto silenzio un percorso “lungo e a tratti tortuoso”, o forse perché durante il cammino abbiamo disseminato troppe tracce di noi.
Eccoli i Ricordi, anche se belli, che ci incatenano a quello che fu.
Ancora una volta regali immagini che rapiscono (“il profumo della terra e l’odore del mare”) e quel modo accattivante di rivolgersi a se stessi con la seconda persona singolare.
Senza lesinare su un finale che commuove, col suo proposito di “rinnovata” - e ritrovata, si spera - serenità e la presentazione della vita come madre, dispensatrice di bello e di buono, e non come matrigna.
Un caro abbraccio. |