Ti leggo, ti leggo, ti leggo, e mi vien voglia di giocare con te a chi grida più forte. A chi fa le facce più brutte.
Mi ricordo a naia, quando “il nonno”, “la vecchia”, mi gridava col volto deformato e tumefatto “come ti chiami?”, e io strillavo a squarciagola nome e cognome, e lui “più forte… non capisco…” e io gli sputavo addosso tutto quello che avevo in corpo, e l’assurdo gioco continuava finché eravamo entrambi stremati. Stremati e soddisfatti.
Non chiuderlo in uno scrigno, quel Tartaro ignobile.
Buttalo fuori, sfogalo, schizzalo, vomitalo, dimenticalo, liberatene.
Gridiamo insieme all’amore, dai labirinti dei diverticoli umani. Accecati dallo spiraglio di luce che trapela dentro la prigione che ci ruba i movimenti. I movimenti e i momenti.
È una poesia che ti strappa via dal mondo dei benpensanti, dal gradito sciabordio delle acque stagnanti, e ti scaraventa in mezzo ai marosi gelati dell’oceano.
Una danza sguaiata, la danza rivoltante del toro punzecchiato dalle banderillas del torero.
C'è tanto Picasso dentro di te, le sue ancestrali tauromachie, millenni di religioni e di civiltà alla continua ricerca dell’uscita dal labirinto del minotauro.
“Se tutte le tappe della mia vita potessero essere rappresentate come punti su una mappa e unite con una linea, il risultato sarebbe la figura del Minotauro”, scriveva Picasso.
Mezzo toro e mezzo uomo. Istinto contro ragione.
“Sporgiti”. Pericolosa parola sdrucciola che non ti porterà alla morte, vedrai, ma alla pienezza della vita.
Un abbraccio forte, con tante pacche affettuose sulla schiena. |
