Mi ero dimenticato, cara ex-Luna45, delle tue poesie dai risultati saltellanti, a volte deliziosamente delicate e armoniose, altre volte trasandate e scritte di getto.
Hai la grande dote di lasciarti ispirare da un nonnulla, o da una notizia di cronaca, o da un periodo di mutismo, o da una riflessione astratta.
Si tratta di poesie difficili da scrivere.
Quasi sempre c'è un sottofondo di malinconia, destinato spero a dileguarsi, come la rugiada del primo mattino.
Stavolta non usi nessuno strumento poetico, ma l’aggettivo trasandato è troppo penalizzante. Mi è sembrato di leggere una specie di sfogo, buttato giù per liberarsi di qualcosa che ti ha dato fastidio (l'ultimo verso “Incuranti della sofferenza altrui” è come una condanna impietosa).
Ha una struttura curiosa, quest’ultima poesia.
i primi quattro versi sono rigorosamente a tema, composti e ordinati.
L’empatia secondo me nasce dalla capacità di immedesimarsi nei mondi del prossimo, ed è operazione quanto mai impegnativa, perché si tratta di abbandonare tutti i nostri schemi mentali a cui siamo affezionati.
I quattro versi che seguono escono invece dal seminato, sempre per restare in termini giardineschi.
Ma forse - lo scrivo nel tentativo di alleggerire le colpe degli antipatici - non c'è niente di seminato o coltivato nei giardini dell’egoismo e dell’indifferenza. Quei “fiori” sono solo erbacce dovute all’incuria dei proprietari. I quali nemmeno se ne accorgono, di quelle presenze.
Un abbraccio o, se preferisci, “un beso” come dici tu. |