Non dovrei attendere di ricambiare una recensione per scriverne una, ma sono una persona pigra.
Cercando di analizzare il testo partiamo dalle basi. Questa metrica in versi brevi (oserei dire dei quinari, ma non sono un esperto) la fa assomigliare a una canzone, ma non nel senso petrarchesco del termine, specie con le assonanze al posto delle rime (strìtola/sgrètola, miràcolo/binòcolo, sorrìsi/crèmisi)). Sono un po' confuso dall'uso del corsivo alternato, forse è per differenziare le stanze, ma sono troppo abituato a vederlo adoperato per i ritornelli.
Vorrei dire di più sul significato. Certo, forse il fatto di non essere stato parte di quella conversazione mi fa mancare il contesto, ma presa a sè stante da quel generale senso di cinismo che si avverte sin da tempi atavici su quanto sia duro anche solo restare in vita (Giobbe docet), anche se qua il testo è aggiornato ai tempi nostri dove, non tanto la natura, quanto l'uomo stesso si è creato la sua stessa prigione fatta di burocrazia e norme sociali (homo homini lupus? vabbe, spariamo altre frasi in latino che va sempre bene). Certo che i più ottimisti risponderanno che l'uomo dovrebbe appunto essere grato di esistere affatto date le circostanze, cadendo in una visione cristiana della vita, il che non è del tutto considerando le insolite probabilità che la vita si generasse affatto sul pianeta, ma qui stiamo andando in interrogativi un po' troppo ampi che certo non risolvono il problema se non consigliando di godersi le piccole cose, come sembri concordare nelle ultime strofe. In fondo perché condividere negatività quando il mondo è già messo male di suo? Sembra una stupidaggine, ma conosco gente che saprebbe rispondere a questa domanda.
Interessante che hai lasciato le ultime quartine attaccate, hai voluto creare un'ottava all'improvviso o un errore? Beh, in fondo non cambia di troppo il senso, solo il ritmo della recitazione. |