Recensione a cura di Melian per Criticoni:
“Vivamus, mea Lesbia” di Gunedra è una storia che ha per protagonisti il famoso Catullo e la celebre Clodia (soprannominata dal poeta Lesbia, appunto), dipinti in maniera accorata ed intensa.
Il racconto alterna momenti di pura e sofferta riflessione da parte di Catullo sull’amore-odio che prova per quella donna spregiudicata, Musa dei suoi carmina più struggenti e furiosi, a descrizioni efficaci della gestualità dei due protagonisti, infusa di una sensualità e di una mordacità singolari, capaci di far trasudare i sentimenti e la personalità che animano i due personaggi, ben calibrati, studiati e perfettamente riusciti, alla pari dell'ambientazione in cui sono lasciati muovere.
Gunedra realizza un vero e proprio spaccato di vita catulliana, e rievoca con maestria e sicurezza una delle più antiche, sofferte e famose storie d’amore e ci restituisce una realtà verosimile, perfettamente calata nella Roma antica e più segreta, quella dissoluta, fatta di dipinti erotici, di donne come Clodia dalla personalità magnetica e disinibita, consapevoli del proprio fascino e del proprio corpo, forgiati come arma per ottenere tutto ciò che si possa desiderare, di intrighi politici e di infedeltà ai danni di mariti troppo occupati ad accumulare ricchezze e favori politici per accorgersi di essere traditi nel loro stesso talamo, come accade a Metello Celere, il marito di Lesbia.
Questa storia è un inno alla passione, alla carnalità, alla sofferenza, all’astuzia delle donna che sa ammaliare, alla fusione dei corpi in amplessi travolgenti e furibondi, dove amore e odio efferato si mischiano e si annullano.
Cos’è Catullo nelle mani di Lesbia, se non creta da modellare a piacimento?
Cos’è quell’ardore che spinge il poeta a possedere quella donna che sa concedersi ad ogni vizio e piacere, ma non apre il suo cuore al suo amante, se non la disperata richiesta di un sentimento più unico e autentico che non può essere soddisfatta?
Chi è Lesbia, se non una “donna senz’anima”, che ha il potere di vita e morte sul suo poeta?
“Vivamus, mea Lesbia” è esattamente quello che noi, a scuola, abbiamo sempre immaginato quando abbiamo posato gli occhi sulle poesie di Catullo: viscerale, assurda, folle passione, unita ad un odio cieco e debole, un vano tentativo di eclissare l’amore. |