A me tutto sommato non sembra malvagia esprimere il dolore di una nazione per un atto così vile attraverso lo sdegno e la pena di un territorio della sua estrema periferia, perdipiù posta in una zona geografica estremamente ostile; la scelta mi sembra adatta per mostrare come fatti del genere abbiano giocoforza un eco anche in zone lontane, dove l'ostilità dell'ambiente e quella dell'uomo sembrano unirsi come un maglio che colpisce violentemente lo spirito dell'isola (alla prima è abituata, alla seconda evidentemente no, si suppone che poche notizie riescano ad arrivare fin lassù).
Non male anche la tecnica narrativa usata (ad es. il susseguirsi di momenti che lasciano pensare che qualcosa non stia andando bene, fino alla scoperta di quanto è avvenuto, così tremebonda e impaurita si vede alle prese con qualcosa che non riesce a capire, e che le procurano solo una cieca e impotente rabbia, espressa in un grido che in quelle lande pochi o nessuno ascolteranno.
In sintesi, complimenti per la storia.

PS. Solo un appunto, che non inficia minimamente il giudizio positivo sul racconto, forse al posto dell'isola di Edgeøya sarebbe stato meglio metterci le Svalbard, l'arcipelago cui appartiene (è vero che le altre isole sono abitate, e questo forse avrebbe reso meno assoluta la solitudine della protagonista, ma comunque lo sono molto scarsamente).