Allora, partiamo subito col dire che non hai assolutamente un futuro promettente come chirurgo, al massimo puoi chiedere a Rocky se ti trova un posticino come squartatore di manzi nel mattatoio nel quale si allena :P
Parlando invece seriamente... ho davvero poco da dire che non ti ho già detto nell'altra recensione per la versione "stringata" e "martoriata".
Questo inizio, che introduce il lettore nel rigido, severo e austero ambiente del Santuario è un qualcosa di estremamente veritiero e riscontrabile con la vita di un qualsiasi sportivo (soprattutto quelli che non hanno uno spiccato senso della competizione ma che affrontano la fatica perché lo devono fare) condito anche con una buona manciata di senso del dovere, come se dovessero affrontare una giornata lavorativa. Il comportamento che le reclute tengono fra loro, giovani che per loro volere ma anche perché forse in qualche modo costretti sono davvero veri. Non c'è nulla di più rinvigorente che lasciarsi andare alle sbruffonate del post allenamento, tentando di nascondere agli altri ma anche a se stessi la fatica fisica che pervade tutto il corpo e così facendo si ha la sensazione che si possa davvero ricominciare una nuova sessione di allenamento. Per la fatica mentale invece, quella arriverà solamente una volta che si sarà appoggiata la testa sul cuscino, quando all'improvviso l'adrenalina che prima faceva muovere il corpo lascerà il posto al vero dolore, allo spossamento. In quel momento si spererà di poter dormire per una settimana di fila.
Saltiamo la parte descrittiva del dormitorio, tanto ho già scritto in proposito in altre occasioni – che comunque rende perfettamente l’idea delle spartane condizioni dell’ambientazione classica kurumadiana e non fa sembrare il santuario un albergo a 3 stelle – e concentriamoci invece sul punto noto come “chiuse gli occhi/riaprì gli occhi”. Ma quanto mi piace dire questa cosa! :P Ora, con la restaurazione di questa parte “onirica” ha tutto un senso, mannaggia a te! Beh, come ho già avuto modo di dirti, non so bene il perché ma mi ha dato la sensazione di intravvedere un qualcosa di disneyano, sembrerà strano ma è proprio così, con queste immagini così “inverosimili” nella logica delle cose, con uno scorrere a ritroso del tempo, con una sorta di sospensione magica. Quasi che il protagonista entrasse (assieme al letto) in una distorsione per poi riaffiorare apparentemente nello stesso posto.
Il risveglio poi, riprende esattamente da dove avevamo lasciato, la nostra recluta che spossato se non letteralmente a pezzi, si risveglia di malavoglia per ricominciare un’altra dura giornata di allenamenti, sempre uguale a se stessa, ma ligio al suo dovere o forse proprio per abitudine, per forza di inerzia, ritrova in sé le forze per mettere i piedi fuori dalla branda. E poi la sorpresa, il ritrovarsi in un luogo che non riconosce, che non gli appartiene, lo sconcerto e smarrimento iniziale, tutto vero, tutto reale. Così come la graduale presa di coscienza e il farsi coraggio per cercare di gestire al meglio delle sue possibilità una situazione incomprensibile. La “vestizione” con quel semplice copri spalla che gli da quell’iniezioni di fiducia necessaria per fare il primo passo. E chi incontra la nostra indomita recluta appena mette il naso fuori dalla baracca? Delle guardie, semplici soldati che però gli sono di ostacolo. Ecco, il dover tralasciare questa parte è stato un vero e proprio delitto secondo me. In questo paragrafo si può capire molto bene la verosimile natura del protagonista, il suo essere ragazzo ma anche un po’ adulto, la rigida educazione alla vita militare a cui si sta sottoponendo e la sbruffonaggine che comunque non può mancare alla sua età. Il rapportarsi con persone adulte che però al suo confronto anche se gerarchicamente gli sono superiori, nella verità delle cose gli sono inferiori in quanto non posseggono un cosmo o non sono riusciti a risvegliarlo. Ecco dunque che il nostro protagonista sfodera gli artigli, anche se piuttosto spuntati per il momento e mostra ciò che è e cosa può diventare.
Arriviamo poi allo scontro con il suo compagno o presunto tale, il primo vero contatto, la prima vera prova che avvalorerà in seguito la tesi che il ragazzo sia o meno al suo santuario. Non bada subito a cercare facce “amiche”, pensa piuttosto a dimostrare le sue capacità. Si cimenta in uno scontro che dovrebbe portargli il rispetto degli altri suoi compagni, porterà invece a conseguenze imprevedibili ed estremamente negative. Quando si vuole sbruffoneggiare senza pensare alle conseguenze, si viene irrimediabilmente puniti. Lo scontro ha avuto conseguenze tragiche, non per il compagno, per lui. Divenuto oggetto di attenzione, viene subito punito da quello che dovrebbe essere il suo maestro. Ma ecco che qui, dopo aver subito il primo colpo capisce che qualcosa non va. Sente palpabile la differenza di quel colpo, che lui conosce bene ma che usato da mani diverse diviene estraneo in tutti i sensi.
Lo scontro maestro/allievo è epico! Il ragazzo pur trovandosi di fronte a colui che degnamente e con pieno diritto veste quelle aure protezioni, non lo riconosce come tale, non vuole fare un torto a chi davvero lui riconosce come cavaliere del Capricorno, ma non per questo gli manca di rispetto. Con tutte le sue forze cerca di dimostrarsi all’altezza del ruolo che ha, vuole non far sfigurare il suo maestro ma a nulla valgono i suoi tentativi, la volontà non sempre è sufficiente per superare gli ostacoli, non tutti sono degni o solamente fortunati di poter aspirare ad una protezione dall’alto. E allora l’unica soluzione che resta è un colpo di testa, illogico e irrazionale in quel frangente ma del tutto capibile. E se non si ha nessuna via d’uscita almeno che ci si prenda l’unica soddisfazione che si può sperare di ottenere. Gli basterebbe un colpo andato a segno per far trionfare la nostra recluta, il suo amor proprio, fargli capire che anche lui può. La realtà delle cose invece ci dice che sognare è bello ma quanto fa male svegliarsi da quel sogno. Arrendersi, l’unica strada ormai percorribile, però almeno tentare un’ultima volta, non più combattere, non più dimostrare agli altri ciò che invece si sta cercando di dimostrare a se stessi, e allora il suo contributo lo darà scrivendo, raccontando tutto quello che sa, per poter contribuire in modo tangibile anche lui a quell’evento che tanto dolore porterà. Chissà se davvero servirà a qualcosa, forse no, ma intanto lui ha fatto qualcosa! Nessuno lo ricorderà se non come un diversivo dalla solita routine del Santuario, ma cosa importerà alla nostra recluta? Lui ora farà parte di un qualcosa di più grande.
La frase che muove tutta la one-shot è un qualcosa di fantastico, che si sposa perfettamente al credo del cavaliere d’oro che hai scelto come maestro. La fedeltà, quanti tipi di fedeltà possiamo trovare a questo mondo, quanti aspetti dello stesso sentimento possiamo vedere, quante parole possiamo usare per definirla – lealtà, devozione - e quanti significati e applicazioni possiamo trovare per questa parola, tutte cose che sono incredibilmente inerenti e riscontrabili con Shura e questa frase che da il significato a tutta la storia, questo motto, è in qualche modo anche “l’orgoglio” di avere uno scopo, di far parte di un qualcosa di più grande e importante che essere solamente fedeli a se stessi. Ma questa frase è anche perfettamente e fedelmente riscontrabile e accumunabile al credo e al modo di vivere di El Cid. Addirittura questo cavaliere è molto più rigido nel suo modo di vivere questa fedeltà rispetto a Shura.
Ho sproloquiato a sufficienza? Spero di sì perché non ho idea di cosa ho scritto. Mi fai un riassunto di quello che ho scritto?
Alla prossima storia Manichan. :)
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