Una storia molto bella pur nella sua amarezza di fondo (che però è insita nella storia del mondo, fatta di persone e cose che sorgono per poi tramontare), la scelta della personificazione di Roma di compiere quel gesto estremo inoltre mi sembra estremamente coerente con la mentalità tipica romana, che vedeva nel suicidio un mezzo onorevole per uscire di scena (e credo che nel suo caso non abbia nemmeno sentito dolore, o almeno non l'avrebbe ammesso mai), credo che inoltre sia stata ben impostata l'atmosfera generale del racconto, nella mesta passeggiata in quella che era stata la capitale di una potenza di tal fatta ora ridotta all'ombra di sé stessa ("atri muscosi e fori cadenti" avrebbe detto Manzoni), chi poteva essere se non colui che l'aveva sconfitta il più meritevole di ascoltare quello che sarebbe stato il suo testamento spirituale di nazione e civiltà? Colui che per secoli le aveva prese di brutto nei suoi tentativi di varcare il Limes, che considerava troppo molli i costumi dei romani ma allo stesso tempo ne ambiva i beni e le comodità (immagino che l'Ariovisto di questa storia fosse comunque più simile ai germani romanizzati del V secolo che non a quelli descritti da Tacito), e credo che sia davvero dispiaciuto per il gesto della romana, e non solo perché così non poteva sfoggiarla come sua conquista.
Bella anche se inquietante la parte relativa alla residenza oltremondana dove si sta avviando Clelia, mi sembra un giudizio piuttosto pessimistico sul comportamento che gli uomini (e le nazioni) hanno durante la loro esistenza.

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