Mi è parsa estremamente saggia la scelta di porre una scena iniziale meno ilare del solito, con gli anni si arriva a perdere confidenza con la spensieratezza, fenomeno che avviene anche quando non si è al centro di eventi incresciosi come spesso è avvenuto ai tre giovani in questione.
Un po’ dispiace per il povero Nagard costretto a fare i conti con la prima delusione amorosa, anche se per fortuna è già passato alla fase del disincanto (dimostrando una sicumera che non so quanto effettivamente possa avere, evidentemente deve essere convinto che non serve piangersi addosso).
Ho trovato molto bella nel suo insieme la scelta dell’incontro con la fenice, come saggia la scelta di far dire al protagonista il perché della scelta di quel nome abbastanza esotico per le orecchie irlandesi, per qualche bizzarra congiuntura delle sinapsi avrei pensato ad una forma di omaggio alla Spagna (da dove secondo le antiche cronache veniva Mil Espaine, il leggendario capostipite dei goidelici), invece secondo me così pensata è davvero molto originale.
Mi ha fatto pensare molto la frase di Edmund sul preferire i babbani al suo capo dello stato, perché è di una ambivalenza magnifica, ad una prima lettura sembra che il protagonista, nell’estremo disgusto per la sua incipiente vacanza estiva in luogo sì molesto, preso dalla disperazione arrivi perfino a rivalutare quelli che ha sempre visto piuttosto male fin da prima del suo scoprire la sua vera natura (non che questi ultimi abbiano poi fatto granché per farsi da lui apprezzare), ma da un altro punto di vista emerge invece una drammatica dichiarazione d’impotenza, se si trattasse di babbani la faccenda potrebbe essere regolata con uno schiantesimo, invece è costretto ad accettare un fato per lui abominevole dai suoi doveri di buon cittadino, dal dispositivo di una sentenza e dalla coscienza di non poter competere (ancora) ad armi pari con un avversario così importante.
Davvero apprezzabile il momento dedicato ai dialoghi nella stazione, come il consolidarsi dell’amicizia tra i genitori, i quali all’epoca della loro esperienza scolastica erano già in rapporti non disprezzabili, ma adesso stanno rivelando qualcosa di simile ad un’affinità elettiva mossa dal loro essere, sia pure in diversi ambiti, uomini di cultura (quanto alla reazione di Laughlin alla mala nuova ricevuta, c’è da supporre che difficilmente un ricongiungimento familiare sia stato salutato con sì poca dimostrazione di affetto, ma è comprensibile, anche in ambito babbano i fratelli/sorelle maggiori non sono per nulla contenti/e di ritrovarsi questi soggetti nella stessa scuola).
Molto bello (dal punto di vista scenografico, s’intende) l’arrivo del politicante, come anche il riferimento al nuovo cognome del protagonista, in un certo senso, s’è chiuso il quadrivio di Edmund Burke per iniziare il trivio (se sarà davvero tale) di Edmund McPride.
Parlando del quarto capitolo in generale, la sua idea di fondo di un torneo alternativo era decisamente interessante, ed è stata sviluppata molto bene (per non parlare dei capitoli ambientati in trasferta), mi pare sia servita soprattutto nel far capire al protagonista che l’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino dei maghi più promettenti, e di avergli fatto trovare pane per i suoi denti, con il quale perdipiù è stato financo costretto a dividere la posta in palio, si può sperare che questo rappresenti una lezione per il futuro (ma Edmund è di dura cervice...).
In sintesi, degna conclusione di un capitolo molto interessante, grazie mille per il riferimento contenuto nelle note d’autore (è un piacere commentare storie come le tue), e ricambio in toto l’augurio di un felice anno che possa esserti tanto privo di amarezze quanto onusto di cose piacevoli quali che il tuo spirito desidera.
A presto,
Gianfranco
PS. Avrei una curiosità sulle scuole ospiti, hai mai pensato a dotare anche loro di una divisione in case o strutture equipollenti? |