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Autore: Mentina    22/10/2006    0 recensioni
Cos’è Kathy in realtà, un alieno? Kathrin è davvero una persona fuori dal comune. Ha una costanza e una testardaggine che quasi fronteggiano quella di Kojiro. E’ intelligente, furba e inesauribilmente altruista. Si nasconde dietro la sua bellezza europea, quell’alone dorato e quel profumo intenso di vaniglia che la circondano… La classica ragazza modello che ogni genitore vorrebbe avere: dedita allo studio e alla cura del proprio corpo. Razionale, troppo razionale. È capace di farmi aspettare dieci minuti prima di rispondere alle mie domande. Ha una voce tanto dolce e melodiosa che sembra non voler mai regalare a noi poveri mortali..
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TOKYO, 24 OTTOBRE

TOKYO, 24 OTTOBRE 

 

   Pioveva. Scendeva talmente tanta acqua dal cielo che sembrava dovesse allagarsi l’intera Tokyo. Kathy era accoccolata sul divano che scriveva sul suo taccuino e continuava a rosicchiare la matita ogni volta che si fermava alla pagina Genzo Wakabayashi. Le cose sembravano essersi sistemate. Apparentemente, perché lei si era semplicemente rassegnata a fare finta che tra loro non fosse mai successo niente. In fondo, non era successo niente tra loro. Molto probabilmente Wakabayashi si era soltanto un po’ preso gioco di lei, gliel’aveva fatta credere un po’… oppure era stata lei ad illudersi e farsi troppe fantasie.

 

   In ogni caso avrebbe voluto chiarire la situazione. Le interessava sapere come avrebbe dovuto comportarsi, visto che, nelle occasioni in cui erano presenti entrambi nel gruppo, il dialogo si limitava a sguardi omicidi tra Genzo e Sanae, tra sguardi bassi tra Genzo e Tsubasa e saluti formali, asettici e freddi come il ghiaccio tra Genzo e lei. Prima di tornare a casa, dato che avevano finito tardi con le lezioni, erano passate dal campo sportivo e Kathy aveva suggerito a Sanae di fermarsi a casa del suo adorato capitano.

 

   Lei era rimasta ancora qualche minuto a guardare il severo allenamento che Tatsuo Mikami aveva imposto a Wakabayashi e Wakashimazu. Poi, era andata via, non resistendo all’idea di aspettarlo anche perchè le sembrava davvero una mossa patetica.

 

Avrebbero chiarito, certo, ma in un'altra occasione.

 

   Ripensando al pomeriggio, giocherellò con i cordini della gonna sportiva che aveva acquistato in un grande negozio di articoli sportivi. L’aveva visto in vetrina, un completo azzurro e rosa chewing-gum. Era entrata per provarlo, e nonostante il fatto che le sue corsette mattutine non abbandonavano mai quella sinuosa quarantadue, il modello in questione le stava in modo incantevole.

 

   Sul display del suo cellulare apparve all’improvviso il nome di sua madre. Il cellulare era sempre silenzioso, quando chiamava sua madre, una forma di indifferenza.

 

Della serie: ‘Se proprio mi va ti rispondo, altrimenti lascio perdere senza offenderti’.

 

Inspirò profondamente prima di accettare la comunicazione.  Venne travolta dalla voce acuta della madre, passò i primi dieci minuti in silenzio assoluto, limitandosi ad ascoltare i severi rimproveri della signora Mahlstedt riguardanti il menefreghismo di una figlia ingrata. Era palese che fosse successo qualcosa che l’aveva turbata.

 

   “Mamma, hai visto papà?”

 

   Dall’altra parte, silenzio.

 

   “L’importante è che tu non venga a Monaco. Tanto so che prima o poi verrà a cercarti... quando la sua SEMPRE GIOVANE mogliettina lo abbandonerà per un altro, lui tornerà da me ed io lo tratterò come si merita. Non fidarti degli uomini, bambina mia. Sono tutti dei gran vigliacchi”.

 

   Kathrin era esausta. Sua madre era l’unica forza della natura che la devastava in poco più di otto minuti.

 

Dopo Genzo Wakabayashi, naturalmente.

 

“Quello che ti sfugge, è il fatto che io, da quando ho otto anni voglio conoscere mio padre. E non è giusto che tu non mi voglia dire chi sia. Ho accettato per troppo tempo questo tuo comportamento egoistico. È ora di smetterla. Sono cresciuta e so badare a me stessa. E per quanto riguarda la mia vita, abbandonala pure come hai fatto con la mia persona, pensa al tuo splendido lavoro e alle tue relazioni instabili. Sopravvivrò. Ma sappi che prima o poi io incontrerò mio padre, e chissà che non scopra che è una persona migliore di te”.

 

   Ancora una volta non le aveva rivelato nulla. Sbuffò e si crogiolò un po’ tra le coperte colorate del divano. Se non fosse che l’unica a rimetterci sarebbe stata lei, glielo avrebbe fatto per dispetto a sua madre di trovarsi l’uomo sbagliato. Ma forse non c’era neanche bisogno di meditarla questa cosa: già l’aveva trovato chi corrispondeva ai requisiti richiesti. Sentì bussare alla porta e convinta che fosse Sanae ad aver dimenticato qualcosa e aprì senza nemmeno chiedere chi si trovasse dall’altra parte.

 

   I jeans larghi e scuri erano bagnati tanto quanto il cappellino e la maglia a maniche lunghe beige che gli si era appiccicata addosso, sottolineando ancora di più quei muscoli perfetti che il SGGK sottoponeva quotidianamente a pesanti allenamenti.

 

   Si ritrasse portandosi una mano sullo stomaco. Un’onda d’urto l’aveva appena colpita e le mancava il fiato, pensieri si accavallavano l’uno sull’altro e sentiva le forze venirgli a mancare, probabilmente sbiancò data la reazione di Genzo che si voltò e tornò da dove era venuto, di nuovo sotto la pioggia.   Lasciò che percorresse qualche metro e poi lo rincorse finendo sotto la pioggia anche lei, mentre i lunghi capelli di miele sciolti si bagnavano lentamente.

 

   Scalza si avvicinò a lui che si era voltato e gli tolse il cappellino per guardarlo negli occhi. Braci che vedeva annebbiarsi sempre di più. Abbassò gli occhi a terra, sentì le dita ruvide di lui sfiorarle il mento e le labbra scottare. Un brivido le percorse la schiena, era ferma e sembrava non rifiutare quel bacio. Bacio che stava per farsi più profondo, più passionale.

 

   Genzo le circondò la vita, strinse il suo corpo morbido contro il suo e lei si arrese a quella dolce tortura circondandogli il collo e alzandosi in punta di piedi.

 

   “Entriamo in casa”, gli disse poi sottovoce prendendolo per mano. Aveva appena spalancato le porte del suo cuore ad un uomo e questo non faceva che provocarle un turbinio di emozioni che la stordivano.

 

   Nella saletta, lui la attirò ancora una volta a sé e lei gli appoggiò le mani sul petto. Sentiva il cuore di lui battere quasi fino a voler scoppiare, in sincronia con il suo. Stettero così, allacciati teneramente, come a voler rafforzare qualcosa che esisteva da tempo, ma che non aveva ancora avuto la forza di uscire allo scoperto, mentre una tenda svolazzava alle loro spalle con il soffio gentile del vento. Non parlarono, continuarono a fissarsi reciprocamente e abbandonarsi a piccoli gesti affettuosi.

   

   Gli sembrava una ragazza maturata troppo in fretta, così sola, così spaurita, così tesa.

 

“… io non ti merito”

 

Sussurrò stringendosela al petto e abbracciandola come qualcosa che stava per essergli portato via dal suo più crudele nemico.

  

   Lei sbarrò gli occhi, intimorita da quelle parole, spiazzata per il gesto e succube dei proprio sentimenti… lo amava, lo amava con tutta se stessa e dal momento in cui aveva ancora una volta osservato quegli occhi profondi, senza quella metodica visiera, era di nuovo caduta nella sua trappola e si era arresa a ciò che provava per lui.

 

   Anche se poteva crederci a fatica, lei, semplicemente lo amava.

 

   Provò a muovere qualche passo all’indietro senza mai staccare le labbra da quelle del ragazzo. Trattenendo tra i pugni delle sue mani, che sembravano non voler smettere di tremare, la stoffa sottile della maglietta di lui, lo avvicinò alle scale, salendo lentamente un gradino alla volta, trascinandolo inconsapevolmente in qualcosa che non conosceva, guidata dal cuore, senza poter ribellarsi anche se lo vedeva seguirla pericolosamente, senza accennare a rinunciare a ciò che lei gli stava offrendo: il quale altro non era che se stessa.

 

    La stava baciando sul collo e quei baci sembravano ustionarla, seguendo una strana scia che le provocava continui brividi per la schiena, baci che la inebriavano di emozioni… riuscì in preda al panico ad aprire la porta della propria stanza e a trascinare all’interno il ragazzo.

 

   Si staccò da lei e la fissò come per chiederle una sorta di assenso, lei sorrise un poco e riprese a baciarlo mentre una strana paura le stava attraversando la mente. All’improvviso il filo dei suoi pensieri si ripiegò sul viso crucciato di sua madre. Le aspre frasi che spesso rivolgeva al padre che lei non aveva mai conosciuto la raggiunsero pericolosamente.

 

Così, anche se le braccia salde di Genzo la avvolgevano e le carezze che si sparpagliavano per la sua schiena le stavano facendo provare sensazioni sconosciute, dovette ammettere a sé stessa che temeva l’abbandono.

                                                                       PROMO MIDDLE CHAPTER - 26 OTTOBRE 20,45 

 

   Proprio non la capisco. Cos’è Kathy in realtà, un alieno?

 

   Va bene, ci conosciamo da poco. Lei è il perfetto contrario di me e per farla parlare devi lottare con quegli occhi disarmanti. Sempre nascosta dietro quel sorriso dolce… Lo so, è per sua madre.

 

   Dio, mi ha fatto quasi impressione sentirla parlare al telefono con lei. Forse è perché, al contrario di lei, il rapporto che ho con la mia di mamma è fin troppo buono. Poi, le volte che ci scontravamo anche solo per qualche sciocchezza, io avevo sempre Tsubasa e la squadra da seguire… Ecco, probabilmente è cresciuta in modo diverso da noi. Tutti quei libri di Freud sulle mensole, quelle collane interminabili di opere shakespeariane e le serie rilegate degli antichi scrittori greci e latini.

 

   Sembra tanto lontana dal Giappone, nel modo di essere, nel modo di fare, nel modo di guardare le persone… ne ho viste di ragazzette infatuate del mio Tsubasa o degli altri, sbraitare e piangere come fontane sugli spalti dello stadio, accalcarsi sugli autobus e soprattutto maledirmi quando sfogliavano i tabloid.

 

   Genzo poi… ma cosa diavolo ha fatto?! Capisco che provarci con ogni esemplare di femmina vivente sulla faccia della terra sia il suo gioco preferito, ma la guardava in un modo… insomma, non lo so, mi è sembrato tanto strano. È due giorni che Kathy non apre bocca, se non riguardo allo studio. Ho sbagliato? Dovevo avvertirla che proprio loro erano i miei amici?

 

   Sono un’idiota. Per me è tutto normale, li conosco da quando eravamo un metro e venti, ma lei, chissà cosa avrà pensato… lei che è sempre così riservata, non avrà mai il coraggio di buttare fuori quello che ha pensato o di urlarmi in faccia che sono una deficiente fatta e finita.

 

   Kathrin è davvero una persona fuori dal comune. Ha una costanza e una testardaggine che quasi fronteggiano quella di Kojiro. E’ intelligente, furba e inesauribilmente altruista. Si nasconde dietro la sua bellezza europea, quell’alone dorato e quel profumo intenso di vaniglia che la circondano… La classica ragazza modello che ogni genitore vorrebbe avere: dedita allo studio e alla cura del proprio corpo.

 

   Razionale, troppo razionale. È capace di farmi aspettare dieci minuti prima di rispondere alle mie domande. Ha una voce tanto dolce e melodiosa che sembra non voler mai regalare a noi poveri mortali. Qualche sera fa, lavando i piatti l’ho sentita canticchiare una nenia tedesca. Quasi me la immaginavo con un peplo addosso.

 

   Se, se, se… se non fosse per quel suo mutismo, la sua terrificante indecisione e l’insicurezza che la tormenta, bisognerebbe clonarla. Altro che me! Qualcuno la insulta? Lei abbassa la testa e si scusa anche se ha ragione. Guai ad ammettere che qualcosa le sia riuscito in modo impeccabile: “Potevo fare di meglio”. Un disco rotto.

 

   Sono contenta di aver trovato una coinquilina così. E anche se riesce a riempire i pensili della cucina di post-it perché è una smemorata, è davvero una persona magnifica.

 

   Non ho ancora capito di cosa riempie quel blocchetto di corteccia e non ho il coraggio di chiederglielo. L’ho già vista tante volte, quando conosce nuove persone, affondare là dentro e rispuntarsene fuori dopo aver girato pagine e pagine.

 

   Ecco, appunto… saranno venti ore in due giorni dalla sera della mangiata che sbuca fuori a frasi fatte: “Quand’è il compleanno di Kojiro?” oppure “L’ultimo gol in quella partita l’aveva fatto Jun?” o, ancora peggio: “Davvero sono piaciuti loro i miei biscotti o sono delle fogne e mangiano di tutto?”.

 

TOKYO, 1 NOVEMBRE

 

   Un raggio di sole filtrava tra le veneziane che aveva dimenticato di chiudere la sera precedente. Le tende si muovevano facendo entrare nella stanza l’arietta fresca. Aprì gli occhi e si accorse che nonostante al suo fianco le lenzuola fossero stropicciate e il cuscino sgualcito, le prime erano state leggermente ripiegate. A quel punto, le lacrime le salirono agli occhi tormentandola e mille domande si affollarono nella sua mente. Guardò la sveglia sul comodino e si rese conto che la luce del giorno le aveva rovinato il sogno della notte passata.

 

   E se fosse stato soltanto un sogno? Si riscosse e infilandosi gli indumenti abbandonati a terra, dopo aver preso l’occorrente si diresse verso il bagno.

 

   Mentre l’acqua calda le correva sul corpo ripensava a tutte le sensazioni nuove che in quella notte aveva provato e constatò che questa l’avevano spiazzata… aveva fatto la cosa giusta? E cosa avrebbe pensato di lei che si era totalmente abbandonata senza opporre resistenza? E, soprattutto, perché le era sembrato che lui la desiderasse? Perché anche se l’acqua scorreva sentiva ancora l’odore della sua pelle sul proprio corpo?

 

 

 

   Genzo correva come un pazzo per il perimetro del grande campo sportivo dove si allenava  in quei giorni la nazionale. Appena si era svegliato e l’aveva vista dormire beatamente al suo fianco, aveva iniziato a porsistrane domande e, mentre il filo dei suoi pensieri si faceva sempre più ingarbugliato, era letteralmente scappato per distendere i nervi e correre.

 

In quel caso, gli sembrava essere la cosa più conveniente sia per la sua forma psicologica che quella fisica. Così, si era allontanato lasciandola nel mondo dei sogni, sola nella sua stanza. Non riusciva a giustificare cosa quella notte era accaduto tra di loro, non riusciva a trovare il modo di credere che fosse stata la cosa giusta.

 

Considerava quella ragazza l’ossigeno che aveva imparato a respirare nuovamente e dipendere così da lei sembrava tormentarlo e angosciarlo sempre di più. Esausto ritornò indietro, tempestandosi di domande a cui non trovava risposta.

 

Non avrebbe mai voluto che lei pensasse alla notte appena trascorsa come una notte qualunque, perché ora lui era riuscito ad ammettere con se stesso che Kathy rappresentava non solo un pilastro importante nella sua vita, ma era in realtà l’unica persona in grado di capirlo e sostenerlo in ogni situazione.

 

   Girava il cucchiaino nella tazza di tè che le stava davanti e osservava la sua mano tremante sfuocarsi a poco a poco e i suoi occhi annebbiarsi lentamente per affogare di nuovo nelle lacrime. Si sentiva persa e totalmente incapace di reagire, si sentiva un esserino da proteggere ed era uno di quelli che riteneva fossero i suoi peggiori difetti.

 

   Sanae comparve all’improvviso senza nemmeno accorgersi di lei che piangeva sommessamente, appoggiata con la fronte su un braccio. Si sedette e solo in quell’istante si rese conto della situazione che sinceramente a primo impatto avrebbe davvero voluto evitare, poi si diede della stupida e allungò una mano per accarezzarle la testa. Kathrin schizzò su affrettandosi ad asciugarsi le lacrime e cercando di dargli un buongiorno almeno simile a quello che voleva augurare.

 

   “…ehi, che è successo?”.

   Voltò il viso per evitare lo sguardo preoccupato della ragazza che continuò sommessamente: “…Kathrin, a me puoi dirlo…”.

 

   In quel momento aveva solo bisogno di qualcuno che la abbracciasse e le dicesse di non preoccuparsi, ma si voltò impulsivamente perdendo il controllo e scoppiando in un pianto disperato. Rivelò alla ragazza: “…noi… abbiamo fatto l’amore”

 

   Lì per lì Sanae rimase perplessa. Non riusciva ad afferrare il perché Kathy fosse così turbata per un gesto così bello e naturale. ma capì che doveva essere successo qualcosa di davvero pesante se l’amica stava così male.La abbracciò e accarezzandole i capelli, lasciò che si sfogasse e liberasse il suo cuore dall’angoscia.

 

Ripresasi un poco, Kathy tirò su col naso e la ringraziò. “Sanae, se fossi al posto di Genzo e una ragazza facesse quello che ho fatto io, cosa penseresti di lei… sii sincera!”.

 

   Sanae la guardò per un istante allibita e poi sorrise dolcemente. “Ma Kathrin… io credo che Genzo sia pazzo di te… non si era mai comportato così, non aveva mai considerato una mia predica. Non puoi pensare che ti giudichi con tanta insensibilità”.

 

   Kathy la interruppe: “Dici… davvero?”.

 

 L’amica annuì. “Scommetto che ora come ora sarà più angosciato di te”, la prese in giro sorridendo.

 

   Kathrin abbozzò un sorriso tirando su col naso per l’ultima volta.

 

  Gli allenamenti erano finiti da più di quaranta minuti. La brutta abitudine di Tsubasa, spesso seguito dal portiere, era quello di lasciare gli spogliatoi per ultimi.

 

   Il capitano si abbandonò su una panca ancora tutto bagnato e aspettava che l’amico si decidesse ad aprir bocca. In dieci anni che lo conosceva non aveva mai visto il SGGK starsene muto tra i pali e quel giorno, fatidicamente, era accaduto.

 

   Genzo stava arrotolando e cercando di infilare l’accappatoio nel borsone, quando Oozora, stufo di aspettare, si arrese esclamando: “Dai, sputa il rospo!”. L’altro alzò lo sguardo e calcandosi il cappellino sugli occhi, iniziò a parlare, non senza difficoltà: “Tsubasa… io e Kathrin…”.

 

   Il capitano si tirò su in piedi e diede a Genzo una pacca sulla spalla: “Benvenuto nel mondo dei succubi”.

 

   Quel ragazzo tanto innamorato del pallone, dopo essere entrato nel mondo del calcio ed essere venuto a contatto con il multicolore continente sudamericano, aveva rivelato senza troppi giri di parole i propri sentimenti. Sorprendendo così tutti quanti quelli che avevano sempre sostenuto che non si sarebbe mai accorto di Sanae.

 

   Il portiere, piccato, stava per controbattere, ma Tsubasa non glielo permise. “Genzo, con me è inutile. Si vede lontano un miglio che stai perdendo la testa”.

 

   La conversazione fu interrotta dallo squillare insistente del suo cellulare. “Visto? – disse ironicamente al portiere – sa anche quando esco dalla doccia… ciao manager”.

 

   Dall’altro capo del filo, la voce di Sanae squillava agitata: “Tsubasa, ti prego, fa’ una ramanzina a Genzo. Io ho trovato il modo di portare Kathy a casa tua, ci vediamo fra un paio d’ore” e riattaccò.

 

   Tsubasa finì di vestirsi in silenzio, e quando chiuse la cerniera della sacca si rivolse a Genzo che stava sistemandosi i capelli davanti allo specchio. “Dammi le chiavi che guido io e vieni a casa mia che dobbiamo parlare. Niente repliche”. Sembrava proprio un papà che deve sgridare il figlio quattordicenne che ha fatto uno sbaglio. Arrabbiato e intransigente, si sbatté la porta alle spalle e lasciò il complesso seguito da un Genzo alquanto perplesso.

 

   Sanae gridava dal piano inferiore: “Tu hai bisogno di uscire, Kathy!”, l’altra non rispondeva e lei incalzava: “Dai, scendi! Altrimenti i negozi chiudono”.

 

   La testa di Kathrin fece capolino dalle scale “Sanae, tu va’, compra quello che devi e passa da Tsubasa. Poi ci vediamo domani, io devo finire di studiare”. Intanto aveva iniziato a scendere le scale e man mano che si avvicinava all’amica, vedeva sul suo volto dipingersi un cipiglio severo. “Tu vieni con me e mi consigli, me lo avevi promesso. E se non ne hai voglia non c’è problema, ti porto di peso!”.

 

   Kathy era quasi spaventata dal tono della voce con cui l’amica le si era rivolta .“Non so cosa mettermi”, cercò di temporeggiare, ma l’altra le bruciò il piano. “Sai meglio di me che potresti venire anche in pigiama, che staresti bene ugualmente, non cercare scuse che non esistono”. Aveva ragione. In fondo, doveva soltanto accompagnarla e distrarsi un pochino non avrebbe potuto farle alcun male. La guardò e si arrese: “Mi metto le scarpe e arrivo”. Sanae ghignò e si infilò la giacca di pelle, aspettandola sulla porta.

 

   Stavano camminando in una delle vie del centro e Anego parlava allegramente, come se avesse dimenticato tutto quello che era successo. “Ho pensato di andare in un bel negozio di articoli sportivi. Ho visto una maglia che sembrava disegnata apposta per il mio Tsubasa”, le mani di Sanae si strinsero e si avvicinarono al viso che aveva assunto una maschera sognante. Kathy sorrise, facendo finta di non conoscerla, poiché i passanti la guardavano incuriositi. Doveva amarlo proprio tanto. Per Sanae, Tsubasa era qualcosa di veramente importante: il loro rapporto era basato sul bisogno reciproco l’uno dell’altra, e lei, era disposta a seguirlo ovunque.

 

   E lei, invece? Cosa aveva intenzione di fare? Avrebbe avuto il coraggio di abbandonare per prima l’orgoglio e far capire a Genzo che tra loro poteva nascere qualcosa di prezioso?

 

   Il negozio si estendeva in un piano di mille metri quadri, diviso in settori.

   Basket, Tennis, Pallavolo, nuoto, sci e tanti altri.

   Senza nemmeno pensare, si diressero verso il reparto di calcio. Quest’ultimo era diviso in due larghi corridoi di scaffali, dove scarpe di ogni tipo si estendevano per la maggior parte di spazio. In uno stand, appese con cura, brillava il bianco delle divise della nazionale.

 

   Sanae guardò Kathy sollevandone una: “Che dici, gliela compriamo la maglia di Oozora?”. Scoppiarono a ridere e una giovane ragazza si avvicinò a loro interrompendole: “Posso esservi utile?”. Sanae si ricompose e si voltò indicando uno scaffale. “Vorrei vedere la L di quella felpa”. La commessa annuì. “Secondo te andrà bene a Tsubasa?”, chiese la mora appoggiandosi la maglia addosso e consigliandosi con l’amica. Kathy annuì. La commessa, ripiegata la maglia sorrise e chiese: “Non vorrei essere scortese, ma… devo averla vista su qualche rotocalco”. Sanae guardò prima la ragazza poi l’amica: “Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna”, esordì con noncuranza, dirigendosi alla cassa.

 

   “Genzo, non puoi fare così! Kathrin non è Sanae… ti conosce da troppo poco tempo e lo sappiamo tutti come ti comporti con le ragazze”.

 

    Genzo si faceva passare nervosamente un bicchiere tra le mani. Tsubasa sembrava arrabbiato ed era ormai un’ora che lo aveva inchiodato al tavolo della cucina con le sue ramanzine da bravo ragazzo. Quasi sembrava Misaki modello incazzato e questo, non faceva che innervosire il portiere. Se non gli aveva ancora risposto a dovere era perché il ragazzo non aveva sbagliato un colpo.

 

   “Con lei è diverso”.

 

   Tsubasa si sorprese nel sentir pronunciare quelle parole. “E allora? Lo vedi che sei un cretino! Se continui così, rischi di perderla”. Stava perdendo le staffe, quando la porta si aprì e le due ragazze entrarono in casa.

 

   Le vittime della situazione furono Kathy e Genzo. Si fissarono senza nemmeno salutarsi. Rimasero fermi, divisi da una decina di metri. Kathy strinse i pugni intorno ai manici della borsetta e il portiere posò bruscamente il bicchiere sul tavolo. Il SGGK non accennava ad arrendersi e Kathy cercò di mantenere intatta quel poco di dignità che le rimaneva.

 

   Tsubasa, nel frattempo, si era provato la maglia che Sanae gli aveva regalato e sgattaiolò via di casa, seguito dalla manager, dopo che questa gli ebbe dato un pizzicotto sul braccio. “Noi andiamo a cambiarla, ha sbagliato taglia”. Sanae, gentilmente si rivolse all’amica. “Non ho portato le chiavi di casa” e aspettando che Kathy le porgesse le proprie, guardò Genzo fermamente. “Vi lascio queste di Tsubasa. Voi avete bisogno di chiarirvi”, e chiuse con un tonfo lo spesso pannello blindato.

 

  

   Scattò come una molla per lasciare quell’appartamento.

   Sapeva che se fosse rimasta un minuto di più gli si sarebbe gettata tra le braccia.

   Quei tormentosi pensieri che le occupavano la mente nell’ultimo periodo la innervosivano più del dovuto e lei vedeva sfuggire la propria razionalità come il sole al tramonto. Si diresse a falcate verso la porta d’ingresso, ma Genzo le strinse un polso in una presa gentile ma decisa. La stava fermando ancora e quel semplice contatto le aveva fatto crollare tutte le difese che stavano frantumandosi come vetri al suolo.

 

   L’avvicinò a sé e la baciò con passione. In un primo momento si abbandonò al ragazzo, poi, all’improvviso lo allontanò facendosi spazio.

 

   Genzo la guardò perplesso. Non aveva il cappellino, non stava nascondendo le sue emozioni sotto quella maledetta visiera, a modo suo stava cercando di rendersi più “malleabile” con lei. Si perse per qualche secondo nel mare dei suoi occhi scrutandone attentamente la profondità, ma Kathy sembrava non voler cedere.

 

   “Una relazione non può basarsi solo sull’attrazione fisica, Genzo!”.

 

   Perse il controllo e lui le cinse le spalle per fare in modo che lo guardasse in viso, poi, non ottenendo risultati sfoderò l’ultima arma che gli era rimasta: “Schau mir in die Augen... hättest du etwa von mir gedacht, dass ich so etwas tun könnte...”[1].

 

   Sollevò lo sguardo e una smorfia di sorpresa le si dipinse sul volto.

 

   Aber du... wieso kannst du deutsch sprechen?!”[2]. Il suono duro e gutturale del tedesco era profondamente diverso dalla musicalità della lingua a cui era abituato, ma il modo in cui lei pronunciava ogni singola parola possedeva un'armonia e una grazia tutte particolari.

 

   Si riscosse e continuò: Aantworte mir!" [3]e fu così costretta ad ammettere, non tanto a lui quanto a se stessa che la risposta era un secco: “Nein![4].

 

   Cominciava a non capire perché il discorso non arrivava a conclusione, Kathy stava in silenzio, ferma davanti alla sua figura imponente.

 

   Und nun...?".[5] 

 

   Lei sbottò, liberandosi in uno sfogo infantile. “Non dovevi lasciarmi sola!”. Lacrime copiose iniziarono a rigarle il volto.

 

   La strinse tra le sue braccia. Quelle braccia forti che le circondarono le spalle e la vita, le sparpagliarono per la schiena una calda sensazione di protezione. Le posò le labbra sul collo e cominciò a baciarla. La sentiva sorridere e ritrarsi. “…mi fai il solletico”. Si strinse sull’altra spalla e scoppiò in una risata allegra. Lui sorrise beffardo. Dann hat es ja genau das bewirkt, was es sollte..."[6]. La risposta che ricevette fu un: Dummkopf"[7] che non ammetteva repliche. Prima che altri insulti le scappassero dalle labbra, le parole le morirono lì, accarezzate dai sinuosi movimenti di quella di Genzo.

 

 

  1. “Guardami negli occhi… ti ho mai dato questa impressione?”.
  2. “Ma tu… come fai a parlare in tedesco?”.
  3. “Rispondimi!”.
  4. “No!”.
  5. “E allora…?”.
  6. “Allora hanno avuto l’effetto sperato…”.
  7. “Scemo”.

  

 

   TOKYO, 27 NOVEMBRE

 

Nell’edificio che ospitava gli uffici amministrativi della città di Tokyo, c’era un angolo di paradiso terrestre chiamato sala degli specchi: un salone rettangolare con delle splendide vetrate e tende di carta di riso arrotolate per metà su se stesse, un pavimento di marmo italiano, bianco come il latte, lampade a terra di acciaio progettate da uno dei migliori designer giapponesi, divani di pelle e di acciaio circondati da bassi tavolini di cristallo e una lunga e stretta tavola con un tovaglia di seta beige e fili d’argento “ereditata” dall’imperatore in persona come riconoscimento.

 

   Tra una finestra e l’altra, nello stesso modo in cui era decorato il muro attorno alla porta d’ingresso, mosaici di pezzi di specchio irregolari riflettevano la luce creando giochi di riflessi che rimbalzavano da una parete all’altra, moltiplicando il chiarore artificiale della stanza.

 

   Quando il telefonino squillò a voler significare che Genzo la stava aspettando sotto casa, Kathy doveva ancora infilarsi gli orecchini e le décolleté. Aprì il portone seguita da un ticchettare frenetico che attirò l’attenzione del ragazzo. Era fasciata in un morbido cappotto sciancrato bianco, due fili lunghi di oro bianco le pendevano sino a sfiorare il colletto; una borsetta di pelle bianca era coordinata con le semplicissime scarpe col tacco da dodici centimetri sulle quali Kathy peraltro sembrava non avere difficoltà, anzi il modo in cui poggiava i piedi sulle piastrelle era così fine ed elegante che quasi dava l’idea di non toccarlo realmente.

 

   Genzo non sapeva che sotto quell’innocente mise color neve lo aspettava il vestito più elegante e raffinato che aveva mai visto spalmarsi sulle forme della ragazza. Una pudica scollatura morbida sul seno le si legava dietro il collo e lasciava tutta la schiena scoperta, terminando come una goccia rovesciata. Teneva stretta tra le mani una stola color verde petrolio e Genzo capì che le intenzioni di Kathy erano di abbandonare il cappotto sul sedile della sua Jaguar nera. Così l’abitacolo si sarebbe riempito del suo profumo dolce e lui, ogniqualvolta fosse entrato in quella macchina, avrebbe dato in escandescenze. Le diede un bacio e mise in moto l’automobile, suscitando curiosità nei pochi passanti che avevano sentito il rombo del motore. Si sentiva un po’ a disagio, dimostrato dal fatto che si allentò il colletto (già sbottonato) della camicia bianca e guardò Kathy con la coda dell’occhio. Avrebbe volentieri rinunciato ad una pallosissima serata dove bisognava sorridere e stringere mani di sconosciuti, tra i commenti delle malelingue signore neoquarantenni e gli apprezzamenti di bavosi sessantenni. Sentì una fitta di gelosia e accarezzò la mano di Kathy all’improvviso, approfittando del rosso del semaforo.

 

   “Che succede?” chiese lei, stupita dal gesto affettuoso.

 

   Genzo, invece di risponderle, la baciò. Sapeva che con le azioni avrebbe sicuramente fatto meno casino che con le parole. Non che fosse dislessico, ma il suo carattere non poteva cambiare, era uno di poche parole e non sarebbe stata di certo una ragazzina a farlo diventare Cicerone.

 

   Varcata la soglia del salone, con Genzo alle sue spalle (nonostante i tacchi) più alto di lei almeno dieci o dodici centimetri, Kathy fu abbagliata dall’ambiente.

 

   Quella coppia attirava l’attenzione di tutti i presenti: lui, il famoso portiere della nazionale di fenomeni, lei così giovane e aggraziata. Al loro arrivo i presenti si voltarono a guardare il preside dell’università Fuyuzuka che si avvicinava meravigliato.

 

   Sembravano due statue greche, lui così maschio, lei così femmina.

 

   “Buonasera signorina Mahlstedt. Sono felice di conoscere il suo accompagnatore – strinse la mano che Genzo gli porse – se mi permette, state molto bene assieme, glielo dico come lo farei con mia figlia”.

 

    Kathy arrossì al complimento. Non si aspettava una reazione del genere e anche se forse qualcuno non se n’era ancora accorto, Genzo le circondava gelosamente la vita e a quel complimento una scossa le percorse la schiena nuda. “La ringrazio. Anche per avermi dato la possibilità di partecipare a quest’incontro, signore”. L’omino canuto sorrise gentilmente e cominciò a farsi strada tra le persone, presentando Kathrin a destra e a manca.

 

   La serata era quasi giunta al termine, Genzo sbuffava come un bollitore e Kathy cominciava a soffrire le scarpe. Si stava facendo tardi e lei ormai aveva preso in considerazione troppo proposte. Ne avrebbe sicuramente dimenticata qualcuna, per cui si avvicinò al ragazzo e gli propose di tornare a casa, offerta accettata all’istante.

 

   Dopo aver salutato e raccolto biglietti da visita tanto da non far più chiudere la cerniera della borsetta, Kathy e Genzo lasciarono la sala degli specchi.

 

   Nel mezzo del corridoio e di un dialogo abbastanza concitato di Kathy, Genzo la strinse e la baciò sulle labbra. Poi si appoggiò sulla sua fronte e sospirò. Lei sorrise e gli accarezzò una guancia. Quando si voltarono, ritornando alla realtà, davanti a loro Perrine Mahlstedt li guardava senza parlare, senza sapere cosa dire.

 

   Mamma…

 

La signora Mahlstedt, una bella donna di trentasei anni scrutava Genzo, inquisitrice.

 

   Mamma, lui è Genzo Wakabayashi, il mio ragazzo

 

   Perrine aveva visto come si erano scambiati quei gesti affettuosi nel mezzo del corridoio e in quel momento temeva per la sua bambina. Quel ragazzo era così bello e affascinante. Le sembrava di averlo anche già visto da qualche parte ma non riusciva a collegare dove.

 

   Il vestito di Armani che portava e la chiavi della Jaguar che stringeva tra le mani inoltre, significavano che economicamente non doveva avere problemi. Il nome dei Wakabayashi poi non le giungeva nuovo, senza le loro munifiche azioni milionarie, molte delle aziende mondiali (tra le quali anche quella per cui lei stessa lavorava) avrebbero fallito miseramente

 

   Signora Mahlstedt è un piacere conoscerla”, Genzo parlò in tedesco e Perrine si meravigliò. Annuì senza nemmeno accennare un sorriso. Assomigliava ad una lastra di ghiaccio, piuttosto che una signora. A Genzo vennero in mente diverse battute sconce, di quelle che si facevano sempre negli spogliatoi dopo le partite sulle mamme degli avversari.

 

   Così, come ogni figlia non hai voluto ascoltare i consigli di tua madre. Non solo ti sei compromessa nella vita privata, ma l’hai anche portato in un’occasione come questa che doveva riguardare te e solo te. Avevi tutta la vita davanti, ti sei gettata tra le mani di un figlio di papà. Se credi che questa sia la felicità, ti sbagli. Quando ti avrà usata a suo piacimento, ti butterà via come fa con i vestiti vecchi, tanto potrà trovarsi sicuramente qualcuna meglio di te. Bambina mia tu sei così bella, così intelligente..  perché Kathrin? Perché?

 

   Kathy trasalì. “Come ti permetti? Come ti premetti di dirmi cosa devo farne della mia vita, se a te per prima non è mai interessata? Mi hai fatto solo del male… io non so nemmeno come si chiama l’uomo che ha deciso per metà la mia esistenza! Mi hai messa al mondo per abbandonarmi a me stessa e ora esci fuori dicendomi che le scelte che ho fatto da sola, senza l’aiuto di nessuno, sono sbagliate. Tu sei stata la prima a buttarmi via come un vestito vecchio. Non mi cercare più, vivi la tua vita. Lasciami stare, sono autosufficiente da quando ho quindici anni, ormai è tardi per le ramanzine”.

 

   Kathy strinse la mano del ragazzo e oltrepassò la madre. Voleva allontanarsi, scappare, tornare a casa. Si infilò in macchina e iniziò a singhiozzare, cosa che fece per tutto il tragitto. Il SGGK fermò la macchina davanti alla villetta sul mare e le aprì la portiera.

 

   Kathy aveva lasciato le scarpe sul tappetino dell’auto ed era scesa. Gettò le braccia attorno al collo di Genzo e prese a singhiozzare così forte che nemmeno lui sapeva come comportarsi. Si stava aggrappando con tutte le sue forze, si sentiva completamente annientata.

 

   Genzo le accarezzava piano la schiena cercando di scaldarla, le baciava la tempia dolcemente. Anche lui sentiva un groppo allo stomaco, così la prese in braccio e la portò fino al patio. Sembrava essersi un po’ calmata e aprì la porta. Sanae non era a casa. Fece entrare il ragazzo e si sedette sul divano, vicina a lui.

 

“Mi dispiace Genzo, non avrei voluto coinvolgerti. Le cose tra di noi sembrano andare bene ma per quanto ancora sarà così?”

 

Wakabayashi la fissò incredulo: in realtà, il primo ad essere titubante riguardo la loro relazione era proprio lui. Quella ragazzina lo aveva spiazzato, si era intrufolata nella sua vita per caso, senza dover combattere con nessun’altra per attirare la sua attenzione, senza mai mettersi in gioco del tutto.

 

E lui, c’era cascato in pieno.

Tutti i suoi progetti sul ruolo che le donne avrebbero dovuto occupare nella sua vita stava per essere sconvolto, la sua difesa faceva acqua da tutte le parti e i pali della porta, per la prima volta sembravano veramente troppo distanti l’uno dall’altro per poterla proteggerla.

 

            Voleva essere sincero con lei ma l’avrebbe fatto in modo tale che non se ne sarebbe accorta… anzi forse sarebbe riuscita anche ad odiarlo. E quale momento migliore se non quello?

 

“Non andrà avanti, non può andare avanti”

la fissava in volto, impassibile. Aveva indossato la  maschera da uomo infallibile, quella del ragazzo senza sentimenti, quella del maledetto SGGK a cui le ragazze cadono ai piedi ad un suo schiocco di dita.

 

            Gli stava anche riuscendo bene, la commedia.

Se non fosse riuscito a realizzarsi nel mondo del calcio avrebbe potuto tentare con la recitazione.

 

            Kathy abbassò lo sguardo e non disse nulla. Non riusciva a sostenere il suo sguardo, era la prima volta che lo vedeva convinto delle sue azioni, la prima volta che le stava calpestando i suoi sentimenti, conscio di farlo, senza nemmeno avere la decenza di nascondersi dietro al suo inseparabile cappellino. Si alzò dal divano seguita a ruota da Genzo.

 

            “Credo sia il momento di salutarci”

Kathy si avvicinò alla porta e l’aprì. Appena il ragazzo uscì e accostò la zanzariera si voltò.

Lo vide che stava per dire qualcosa ma non gliene diede la possibilità, afferrò la maniglia della porta e la sbatté contro lo stipite.

 

            Si infilò nella sua macchina sportiva e sbatté le chiavi, il cellulare e il portafoglio sul sedile del passeggero. Dietro di lui sentiva invadente il profumo di Kathy, sapeva che c’era il suo cappotto abbandonato a qualche centimetro dalla sua nuca. Si passò una mano tra i capelli e sospirò tamburellando sul volante. Davanti a lui si materializzò una toyota grigio metallizzata che si accostò senza tanta grazia. Riconobbe all’istante sia l’auto, sia chi ne uscì.

 

            Kathy si era rannicchiata nelle coperte colorate del divano. Si sentiva sola. Terribilmente sola.

 

            Sentì bussare alla porta. Non avrebbe aperto nemmeno sotto tortura se non avesse sentito Kojiro parlare. Si alzò dal divano trascinandosi dietro le coperte e seminandole per la sala. Aprì la porta lentamente.

 

            Kojiro dall’altra parte della zanzariera rimase intontito. Aveva il trucco disfatto ma Kathy era davvero bellissima. Ci fece un pensierino all’istante: se Wakabayashi non fosse stato coinvolto... si riscosse, dimentico del reale motivo per cui era arrivato fino lì.

 

            “Ehi, che succede?”

il mascara le colava lungo le guance arrossate e Kathy si affrettava a cancellarlo via con la punta delle dita. Tirò su col naso un’ultima volta prima di gettargli le braccia al collo, in punta di piedi.

 

            Tutto quello che Genzo vide fu Kathrin aggrapparsi a Hyuga e appiccicare il suo corpo a quello dell’attaccante senza tanti convenevoli. Il primo pensiero fu quello di scendere dalla macchina e prenderlo a pungni ma si rese conto che allo stato s’animo di Kathy (già compromesso da Perrine) aveva aggiunto la sua fantastica decisione di lasciarla.

Si sentiva un leone in gabbia: il fatto che lei non avesse aspettato più di dieci minuti per buttarsi nella braccia di un altro lo infastì a tal punto che mise in moto l’auto e ripartì a gran velocità attirando l’attenzione dei due, incrementata da qualche imprecazione di Kathrin.

  

TOKYO, 16 DICEMBRE

 

La giornata della fatidica partita contro la Corea del Sud si avvicinava. Kathy, nonostante tutto, continuava a mantenere i contatti con i ragazzi della squadra.

 

Kojiro, dopo aver passato la nottata a casa di Kathy tra una chiacchiera e una bella tazza di tè ai fiori di loto di Sanae, aveva compromesso il suo già instabile rapporto con il portiere. E quella sera in particolar modo, il SGGK gli avrebbe volentieri spaccato la faccia.

 

Taro passava più tempo di Sanae in compagnia di Kathy e tra di loro si era instaurata una solida amicizia, basata sul rispetto e la fiducia reciproci e questi nuovi legami, altro non facevano che istigare l’autocontrollo di Genzo, che sembrava non essersi completamente ripreso dal distacco della tedesca.

 

Sanae e Kathy avevano trafficato tutto il girono per preparare una bella cenetta tra ragazze. Finalmente le manager si sarebbero riunite e tutte avevano espresso il chiaro desiderio di riavere nel gruppo “l’infiltrata”. Yayoi si sarebbe sicuramente cimentata nel preparare uno dei suoi fantastici antipasti e Yoshiko avrebbe preparato le famose tortine allo zenzero dell’Hokkaido.

 

Poco dopo le sette e mezza erano già tutte riunite intorno al divano. Sul tavolino di cristallo Sanae aveva poggiato un piatto di vetro colorato con le tartine e aveva preparato i bicchieri con i drink.

 

Yoshiko fu l’ultima ad arrivare, accolta da un caloroso abbraccio di Patty, che le aveva aperto la porta.

 

“Ragazze, ma siete splendide! Kathy hai tagliato i capelli!”

 

Tra i pettegolezzi, le risate e le prese in giro la serata passò velocemente, come succede quando si è tra ragazze e si sta lontane per lunghi periodi di tempo.

 

“Kathy... come va con Wakabayashi-kun?”

 

Fu Yayoi ad affrontare l’argomento, rimasto taboo praticamente per tutta la sera. Kathy si limitò a stringersi nelle spalle e sorridere. Non avrebbe parlato di lui in quel frangente. Non perché non si fidasse di loro, ma sapeva che si sarebbe rovinata la serata. Farsi compatire non le piaceva, sapeva che perdere la testa per il SGGK aveva i suoi rischi, lei aveva scelto di correrli ed ora doveva fare i conti con i relativi effetti.

 

A distoglierle dall’imbarazzo era stata proprio Sanae che aveva afferrato i cappotti e aveva ordinato a tutte di correre nella sua stanza a darsi una ritoccata al trucco. Avrebbe combattuto con le fidanzatine perfette e le avrebbe trascinate con sé nella discoteca più bella di Tokyo anche se non sapeva cosa sarebbe aspettato loro: l’ultima volta in cui aveva sentito Tsubasa era stata durante la mattinata quando lui le aveva mandato un sms.

 

KATHRIN MAHLSTEDT, TOKYO, 17 DICEMBRE

 

Sanae l’aveva avvertita. In fondo, con tutti i locali notturni che esistevano in quel formicaio che era Tokyo si sarebbero per forza dovuti incontrare in quel posto? Non era poi un locale a tre piani?

 

Un brivido di freddo le percorse la schiena quando lo vide, strafottente e nel suo solito alone di mistero, circondato dai ragazzi della squadra, davanti ai primi bottoni slacciati della camicia, il suo Jack e cola. Il suo abbigliamento così lineare ed elegante. Anche se aveva messo i suoi Levi’s 501 sotto la giacca elegante, sembrava che la scelta fosse stato compito di un costumista.

 

Magari glielo ha consigliato davvero lo stilista della famiglia Price.. pensò malignamente.

 

Si sentì avvampare come una ragazzina e improvvisamente si chiese quanti giorni fossero trascorsi dall’ultima volta che lo aveva incontrato. Era di una bellezza imbarazzante, maschia, possente, forse quasi indecente.

 

Si corresse: i suoi pensieri, erano indecenti.

 

Eppure non riusciva a smettere di guardarlo ed era ben conscia del fatto che prima o poi, come solo lui sapeva fare, si sarebbe sentito osservato e avrebbe incrociato i suoi occhi.

 

Magari prosciugandole la lingua e privandola dell’ossigeno che le circolava, a fatica, nei polmoni.

 

I commenti estasiati di Yoshiko e le lamentele di Sanae la riportarono alla realtà e le bastarono una manciata di secondi per realizzare che almeno quattro ragazze si stavano mettendo in bella mostra, cercando di accaparrarsi lo sgabello sulla migliore linea d’aria delle profonde pozze di petrolio che erano gli occhi del SGGK.

 

Stupide, si limitò a commentare tra sé e sé.

 

Consapevole del fatto che avrebbe voluto con tutte le sue forze appartenergli ancora, si limitò a guardare con un’occhiata a dir poco minacciosa le ragazze che erano intente a contemplare il SGGK.

 

E si sentì subito colpevole.

 

Quali diritti voleva accaparrare su di lui? A cosa poteva appellarsi in quel momento, se non ai ricordi? E sapeva che se si fosse lasciata andare ai ricordi sarebbe stata risucchiata nel buco nero da cui era spuntata un mazzo di giorni prima.

 

Sanae le aveva promesso che si sarebbero divertite come delle sedicenni ubriache. Era giunta l’ora di lasciarsi andare.

 

Yoshiko si era lanciata addosso a Matsuyama e Yayoi si era limitata ad accarezzare la testa di Jun. Tra di loro, in  ogni caso, quella più scocciata sembrava proprio essere Nakazawa che si era avvicinata con il broncio e rispolverando l’animo bollente della piccola Anego, aveva esordito con un diretto “Non avevate altri posti dove andare a divertirvi?!” per poi afferrare per un braccio Kathy e gettarsi in pista, lasciando Artù allibito tra la cerchia dei suoi cavalieri della tavola rotonda.

 

Kathy era rimasta qualche passo indietro, incapace di manifestare alcuna reazione.

 

Guardava fissa negli occhi Genzo e i suoi occhi di ghiaccio sembravano diventati freddi e impenetrabili. Taro si alzò di scatto e si precipitò verso di lei, gli era bastata un’occhiata fugace verso Tsubasa per comprendere e prima che succedesse il pandemonio si era avvicinato e la aveva salutata affettuosamente. Osservò le mosse intirizzite di Genzo, porre fine al suo drink e chiederne un altro al barman.

 

Alla fine aveva perso lui l’affronto, alzandosi e lasciandola impalata come un baccalà a fissare il vuoto o era stata lei a perdere senza nemmeno utilizzare la cavalleria?

 

Dopo una lunghissima mezz’ora dove aveva cercato di non pensare e si era gettata in pista con Sanae doveva ammettere di essersi anche divertita. Aveva comunque capito che il SGGK non le aveva ancora staccato gli occhi di dosso, come a volerla controllare, studiandola nei minimi particolari.

 

Si consolò pensando che, perlomeno, dalla brutta fine della loro relazione qualcosa di buono ci aveva guadagnato: aveva riconquistato l’agognata taglia quaranta in poco meno di un mese ed era spesso uscita per vetrine, trovando i nuovi pezzi che indossava anche in quell’occasione.

 

Il suo dieci centimetri di tacco le stava distruggendo le caviglie. Certo, le piacevano un sacco i tacchi alti e anche se non ne aveva realmente il bisogno, per uscire ne sfoggiava un sacco di modelli elaborati, particolari e dolorosissimi.

 

Ecco spiegato il motivo del suo istantaneo desiderio di sedersi al banco per far respirare i suoi poveri piedi. Yoshiko e Yayoi erano andate in bagno e Tsubasa aveva raggiunto Sanae in pista, colto da un’improvvisa fitta di gelosia, dopo che uno spaventapasseri – come lui l’aveva istantaneamente definito – stava cercando di provarci con la sua fidanzata.

 

Kathy stava per chiedere il suo Malibu e Ananas, quando sullo sgabello a fianco al suo, la figura imponente di Kojiro Hyuga faceva la sua prima apparizione.

 

“Cosa beve, signorina?” chiese prima di abbracciarla e baciarla sulla guancia.

 

Si scusò per non averlo salutato in precedenza ma lui la tranquillizzò raccontandole che non era presente al loro arrivo perché era impegnato a dissuadere una sua ammiratrice che stava insistendo un po’ troppo per i suoi gusti.

 

Kathy sorrise.

 

Dai racconti di Sanae, Kojiro doveva essere il negativo di Genzo, difettoso, con lo stesso insopportabile carattere. Stranamente con lei però, Kojiro, si era sempre comportato da vero gentleman e aveva anche avuto modo di spiegare il perché di quella situazione prima che diventasse imbarazzante.

 

Quella ragazza gli ricordava la più piccola delle sue sorelle quando sorrideva ed era finito con l’affezionarsi a lei anche se aveva avuto davvero poche occasioni per passare del tempo in sua compagnia.

 

Il barman appoggiò davanti a loro il vodka lemon di Kojiro e la consumazione di Kathy.

 

Kojiro le stava parlando del più e del meno, senza mai avvicinarsi alla questione Wakabayashi e Kathy gliene era infinitamente grata. Apprese che in Italia, la vita di un calciatore doveva essere davvero movimentata: inaugurazioni, festini, presenze nel mondo della mondanità, relazioni sentimentali con una Velina. Che diavolo erano le Veline? E chi aveva inventato un nome tanto stupido?

 

Ah, certo. Annuì, comprendendo la relazione necessaria di Hyuga.

 

La Tigre si fermò all’improvviso.

Immaginava che li stesse osservando e sorrise sornione rivolto a Kathy.

 

“Non è giusto che una bella ragazza come te si strugga per un testa di cazzo come quello. Mi dispiace tesoro, ma a Torino ho giusto un paio di relazioni da mandare avanti e per quanto tu sia deliziosa non riuscirei a sostenerne un’altra. Possiamo comunque divertirci.. credo”- poi dopo aver pensato un po’ aggiunse- “e insomma, sono giovane e fresco, non posso mica fare la fine di Matsuyama o dell’altro rammollito di Oozora!”

 

Kathy sorrise, aveva capito perché Kojiro si stesse comportando così con lei e molto probabilmente si aspettava il peggio.

 

Il dj stava blaterando qualcosa che Kathy non comprese appieno.

 

Hyuga si alzò e convinse Kathy a ballare con lui “Dolcezza, in realtà non so ballare, ma con i lenti ho sentito dire che funzionano anche quelli un po’.. lignei”. Ci volle qualche secondo perché lei si sentì in equilibrio sulle scarpe e questa volta non era di certo perché le facessero male le scarpe.

 

Aicha, adattata in inglese, era loro canzone.

 

Ed era stato lui a chiamarla Beauty per tante volte, quando voleva prenderla un po’ in giro e scherzare con lei. Si convinse che il freddo allo stomaco che stava provando lo avesse procurato il Malibu e Ananas con ghiaccio, anche se non riusciva a prendersi davvero così gioco di se stessa.

 

Kathy chiuse gli occhi all’improvviso, sentiva le lacrime bruciarle le ciglia e raschiarle la gola.

 

Si chiese perché diavolo si era lasciata trascinare in quella situazione tanto ambigua. Si era trattenuta per davvero per poche strofe della canzone, perché tutto sommato Kojiro era diverso ma assomigliava al suo Genzo.

 

Così alto e così muscoloso, le spalle larghe e gli addominali scolpiti, i capelli che aveva finalmente accorciato scendevano ordinatamente scomposti e gli sfioravano il lobo delle orecchie.

 

Non era particolarmente elegante ma era a conoscenza del fatto che un sacco di ragazze in quel momento la stessero invidiando.

 

Appoggiò il capo sul mento di Kojiro sospirando.

“Io sto davvero male” disse soltanto.

 

Si sorprese, ammendo a se stessa il proprio stato d’animo. La Tigre non aveva avuto il bisogno che lei glielo confidasse. Aveva solamente intuito due o tre particolari e quando era arrivato al tavolo con gli altri e aveva trovato Wakabayashi che osservava assatanato quella ragazza, non gli ci era voluto molto tempo per fare due più due.

 

Kathy alzò gli occhi, Kojiro le stava accarezzando la testa dolcemente. Gli aveva detto di stare tranquilla, non avrebbe dovuto raccontargli nulla. Avrebbe solo dovuto fermarlo quando fosse giunto il momento. E Kathy sapeva che il momento ormai era giunto, stava per avere un collasso nervoso.

 

Aveva davvero cercato di passare una bella serata divertendosi oppure desiderava ardentemente che Genzo la osservasse fare la stupida con Hyuga per tutta la sera e ripensasse ai bei momenti che avevano condiviso?

 

Si diede dell’idiota, sapeva benissimo a cosa l’avrebbe riportata quella canzone. Non avrebbe retto ancora per molto e aveva bisogno di rinfrescarsi il viso prima che sciogliesse in pochi secondi il lungo e accurato make up che le aveva fatto Yoshiko, per cui, si scusò con Kojiro e si diresse verso il bagno delle ragazze.

 

Quando entrò nell’angusto bagnetto delle ragazze si sorprese che in uno spazio tanto ristretto si fossero concentrate almeno una quindicina di ragazze. Tutto quel cicaleccio la infastidì e riuscì ad individuare un paio di ragazze che la osservarono stupite. Una delle due si era per fino avvicinata e le aveva chiesto se poteva provarci con Genzo.

 

Parlò in tedesco, cercando di sembrare più seria possibile, cercando di limitarsi a far capire a quelle due che non aveva intenzione di parlare di Genzo e che non voleva accaparrarsi dei diritti su di lui.

 

Quando si ritrovò ancora una volta fuori dal bagno e la musica alta la colpì nuovamente, strinse tra le mani la sua borsetta e andò a salutare tutti quanti. Voleva andare a casa e voleva prendersi la macchina, tanto sapeva che le ragazze avrebbero rimediato un passaggio, in ogni caso.

 

Le altre ragazze cercarono di convincerla a restare ancora per un po’. Si erano anche offerte di tornare a casa prima a patto che lei si fermasse con loro.

 

L’unica che si astenne da ogni commento, che la guardò negli occhi e capì, fu Sanae che sotto sotto si sentiva anche in colpa. Le sorrise e annuì abbassando mestamente il capo, cercando di farle capire che avrebbero poi parlato a casa.

 

Kathy cominciò a salutare i ragazzi uno ad uno, lasciando per ultimi Kojiro e Genzo. Ma la Tigre la stupì ancora una volta facendosi lanciare le chiavi della macchina da Taro per accompagnarla a casa e Misaki, che aveva chiarito all’amico la situazione, sapeva che avrebbe fatto la cosa giusta e che il vero obbiettivo di Hyuga non era Kathy, ma Genzo.

 

Aveva davanti Genzo che la osservava con disprezzo. La sua solita impassibilità, tranne quella stretta che gli stava tagliando l’angolo delle labbra. Lo faceva quando era nervoso, cercando di non farsi notare, torturava con i canini l’angolo del labbro inferiore. Glielo aveva visto fare poche volte, quando litigavano o quando doveva disputare una partita davvero importante. Lo fissò dritto negli occhi senza riuscire a salutarlo.

 

Forse neanche voleva.

 

Se l’avesse salutato avrebbe mostrato bandiera bianca al nemico e non era nemmeno sicura che lui avrebbe poi considerato né tanto meno ricambiato il suo saluto. Per cui si riscosse e voltandosi fece  un gesto con la mano a tutti, prima che sentisse una giacca enorme sulle spalle e il braccio di Kojiro che le circondava la vita.

 

La macchina si trovava a pochi metri dall’uscita. Il freddo le tagliava la faccia e un paio di lacrime solitarie le si erano quasi congelate sulle guance già arrossate. Hyuga le aveva anche aperto la portiera e non capiva perché ci mettesse tanto a entrare in macchina.

 

La riaprì e si ritrovò davanti ad una scena raccapricciante: Kojiro si teneva tre dita sulle labbra e tra loro scorreva del sangue. Anche Genzo aveva un segnaccio che si stava gonfiando sullo zigomo destro e si premeva forte una mano sotto le costole. Si guardavano in cagnesco.

 

Se Tsubasa stava cercando di trattenere il SGGK, Taro lo imitava con la Tigre e Sanae aveva assistito alla scena a pochi passi dal gruppetto.

 

Sconvolta, sbarrò gli occhi e sbatté lentamente le palpebre. La Golden Combi aveva mollato la presa, tutti i ragazzi della squadra erano usciti dal locale e il gruppetto stava attirando l’attenzione di qualche curioso. Kathy non fissò nessuno, il suo sguardo sembrava perso nel vuoto.

 

“Taro, per piacere, ho bisogno di andare a casa. Kojiro grazie di tutto. Non avresti dovuto, mi dispiace”

 

Gli porse un fazzoletto prima di voltarsi verso il SGGK. Lo osservò, piantandogli gli occhi negli occhi, con disprezzo e senza proferire parola si infilò in macchina, seguito da Misaki che si mise alla guida e si allontanò velocemente.

GENZO WAKABAYASHI, TOKYO, 17 DICEMBRE

 

Genzo immaginava che quello non sarebbe stato il locale adatto. Per tanti motivi: era un luogo troppo frequentato, troppo conosciuto, sempre stracarico, ma si trattava di uno dei più belli della città e non se l’era sentita di rifiutare.

 

Era anche a pezzi per l’allenamento a cui erano stati sottoposti e il pensiero di poter passare una spensierata serata tra amici lo risollevava parecchio.

 

Magari si sarebbero ritrovati a prendersi in giro l’uno con l’altro alticci per le troppe consumazioni ordinate, o avrebbero fatto un paio di quelle stupide scommesse sulle ragazze e avrebbero torturato i fidanzatini, pagandone qualcuna perché si sedesse sulle ginocchia di Matsuyama, che tra tutti, era quello meno portato ad assimilare alcool.

 

Per lui la serata avrebbe potuto finire come un tempo, quando si risvegliava nell’appartamento di una bella ragazza di cui conosceva a malapena il nome e da dove sarebbe poi sgattaiolato via nel cuore della notte.

 

Sospirò e seguì il gruppo per sedersi al tavolino indicato dal gestore del locale, che riconosciuti i ragazzi sembrava aver riservato loro il tavolo migliore: quello abbastanza nascosto dal quale si godeva della migliore visuale sulla pista e lungo tutto il bancone del bar.

 

Una bella ragazza in minigonna, truccata in modo piuttosto pesante si avvicinò con un blocchetto che spuntava da una tasca e chiese cosa avrebbe dovuto portare, per poi raggiungerli una manciata di secondi più tardi con ogni tipo di snack e una grossa coppa di frutta di stagione immersa nel ghiaccio.

 

Su di lei si intavolò la prima serie di grotteschi commenti e battute a susseguirsi.

 

I poveri malcapitati come al solito, cercavano di limitarsi nello sfottere gli altri perché sapevano che li avrebbero di certo fatti morire e le litigate che seguivano con le loro ragazze erano devastanti.

 

Jun si guardò la camicia per l’ultima volta e si rese conto che aveva scelto quella che preferiva, per cui esordì con una preghiera “… non fatemi bruciare anche questa”.

 

Genzo sorrise ripensando alla volta che tempo addietro, Misugi e Yayoi avevano da poco traslocato nel loro modesto attico per intraprendere una convivenza che si era rivelata a dir poco disastrosa le volte in cui il ragazzo usciva con gli amici.

 

Quella ragazza sembrava tanto dolce e carina, ma secondo i racconti del suo ragazzo era gelosa quanto Medea e per evitare interminabili scenate e musi lunghi per giornate intere, Jun era stata costretto a nascondere la propria camicia in macchina e a darle fuoco prima di uno degli allenamenti, davanti agli occhi del gruppetto di compagni di squadra.

 

Altre volte l’aveva portata di nascosto in lavanderia suscitando ancor più sospetti. Prevedeva una mesta fine anche per quella Ralph Lauren nuova.

 

Il SGGK aveva preso il suo solito Jack e cola e si guardava intorno stranito.

 

Sembrava davvero essere tornato tutto come una volta, quando Kathy non era perennemente nei suoi pensieri. I ragazzi intorno a lui continuavano a puntare e commentare le ragazze che sfilavano a pochi passi da loro.

 

Va bene che erano entrati davvero tardi e che, ingiustamente, il tavolo era stato loro concesso solo in via del tutto onoraria da un gruppo di giovani che aveva deciso di limitarsi ad entrare normalmente, con tutto offerto da Misugi&Co., magliette, autografi e fotografie comprese; ma dopo poco più di venti minuti Taro e Kojiro stavano spalla spalla a confabulare su quale tipo di ragazza fosse più adatta: una rossa tutto pepe che ballava con delle amiche o una brunetta ricciolina con uno sguardo terribilmente sensuale o ancora sulla bionda tutta curve che stava generosamente mostrando il proprio decolleté ad uno dei baristi, spalleggiata dalle amiche che le facevano segno dal tavolino nell’angolo della sala dove si trovavano.

 

Matsuyama aveva appena fatto una battutaccia a Hyuga, conscio del fatto che sarebbe scattato in piedi e si sarebbe lanciato sulla bionda dimostrandogli esattamente il contrario.

 

Gli bastarono pochi secondi per convincerla, che dalla sua posizione Genzo lo vide passarle una mano dietro la schiena e baciarla all’improvviso davanti alle amiche scioccate e al barista che si rodeva dietro il bancone. Sorrise dichiarando un Hikaru già sconfitto ancor più umiliato.

 

Abbassò il viso sul suo bicchiere e cominciò a giocherellare con i cubetti di ghiaccio.

 

Stava studiando la situazione e cercando una qualche ragazza su cui poi scommettere di riportare ai compagni almeno il suo reggiseno. Uno dei loro squallidi giochini che non facevano altro che aumentare la fama da sciupafemmine che quel borioso di un SGGK si era creato dai tempi dell’adolescenza in terra germanica.

 

Quando alzò lo sguardo per cercare la malcapitata individuò una biondina di schiena con un taglio scalato poco sotto le spalle, di un caldo colore di grano dorato, che accarezzava un top legato dietro il collo, con una stampa scozzese dalla base azzurra, e un paio di jens neri che coprivano per intero una soffocante scarpina dotata di un tacco quasi per certo molto, molto alto. Non era una di quelle ragazze secche secche, non lo vedeva ma già immagina un bel seno florido e le gambe tornite, fasciate nel tessuto spesso del pantalone.

 

Decise che quella sarebbe stata la sua preda.

 

All’improvviso gli sembrò di aver sentito la voce di Nakazawa e a confermare la sua terribile previsione, si erano manifestate le altre ragazze, già incollate ai loro rispettivi fidanzati.

La biondina che aveva tanto studiato finalmente si voltò e per Wakabayashi fu  a dir poco uno shock.

Aveva tagliato i suoi capelli, ma che diavolo aveva fatto nell’arco di tempo che non si erano visti per diventare tanto diversa? Cominciò a mordersi l’angolo del labbro.

 

Gli stava puntando gli occhi addosso, sentiva quelle iridi di ghiaccio infiammarlo tutto intorno.

 

Si impose di non alzare più lo sguardo, per non incrociare lo sguardo di lei e riuscì a perdere il controllo solo nel momento in cui lei era stata sorpresa dal gesto di Misaki. L’aveva sentito alzarsi di scatto e raggiungerla allegro, per abbracciarla e salutarla affettuosamente.

 

Avrebbe voluto tiragli un pugno dritto dritto in faccia, eppure si limitò a stringere convulsamente i pugni sulle cosce, cercando di provare un dolore fisico più forte della gelosia.

 

Dio, aveva ammesso di essere corroso dalla gelosia che provava per quella ragazza anche se non gli apparteneva più.

 

Era stato lui a volerlo in fondo, di che doveva lamentarsi? Del fatto che la serata tra maschi era andata a farsi fottere o che i suoi perversi pensieri che aveva dedicato a quel figurino si fossero istantaneamente distrutti rivelando di essere  malsane proiezioni di momenti realmente vissuti?

 

Afferrò malamente il bicchiere e pose fine all’esistenza del cocktail prima di alzarsi e allontanarsi dal tavolo, con la scusa di chiedere qualcos’altro e sfuggire alle occhiate inquisitrici – così come le vedeva – della sua Kathy.

 

Razza di idiota. Era quasi un mese che quella ragazza non gli apparteneva più. Non era sua.

 

Nella mezz’ora che seguì l’incontro, Genzo, il cui sangue ribolliva furiosamente nelle vene, passò il tempo con un cruccio indecifrabile e disperso nel mutismo assoluto. Non aveva risposto o partecipato a nessuna delle conversazioni, non aveva fatto alcun cenno quando tutti si erano alzati e si erano sparsi per il locale. Quasi non aveva considerato la ragazza che gli era passata più volte davanti al muso, intento com’era nell’osservare Kathy e fare lo scan di tutti gli esseri viventi di sesso maschile che le si avvicinavano e la sfioravano.

 

Era rimasto solo, seduto al tavolino, tentato a raggiungere la ragazza quando anche lei sola si era seduta sullo sgabello del bancone e gli stava mostrando ancora una volta la profonda scollatura del top e un filo di perizoma azzurro fare capolino tra i bordi ben definiti dei suoi indumenti(sebbene fosse sempre stata un tipino dolce e riservato, sapeva come vestirsi e le piaceva farlo).

 

Hyuga le si avvicinò. Dov’era finita l’altra bionda tutta curve? Cosa voleva quel maledetto da Kathy? Se solo avesse… si ritrovò a pensare che sarebbe stato più tranquillo. Se Kojiro ci avesse provato con Kathrin lo avrebbe pestato a sangue, come avevano già fatto tante volte, in passato. E come aveva evitato di fare in una particolare occasione.

 

A complicare la situazione c’era stato quell’incompetente di disc jockey che si dilettava a torturarlo con i suoi dischi osceni. Tra tutte le canzoni che c’erano in circolazione, quale situazione avrebbe dovuto scaldare in un locale del genere, quando per ogni persona che decideva di metterci piede poteva scommettere la giugulare che sarebbe finita a letto con uno sconosciuto?

 

Se la ricordava quella canzone maledetta, perché sembrava averlo fatto apposto nella settimana precedente a svegliarlo dolcemente, sollevarlo da un sogno che stava prendendo forma in modo maniacale. Quando l’aveva spenta, non molto delicatamente, aveva strappato i fili e l’aveva tirata contro il muro in uno scatto di isteria, per poi buttarsi sotto la doccia per riprendersi.

 

In linea d’aria davanti alla sua postazione, il quadretto di Kojiro e la sua ex, teneramente abbracciati, sembrava di fargli vivere una situazione da film dell’orrore. Nei seguenti dieci minuti aveva la vista annebbiata e respirava a fatica, la rabbia stava per avere il sopravvento e il cuore glielo dimostrava sbattendo tanto forte a fargli sentire male anche allo sterno.

 

A camuffare quella situazione si erano riuniti tutti intorno al tavolo, Hyuga compreso che lo osservava inquisitore dall’alto del suo metro e ottantasei. Lo fissò duro, il viso contratto in una smorfia ambigua, l’angolo del labbro torturato.

 

 

TOKYO, 17 DICEMBRE (primo mattino)

 

Merci, mon amour

 

A Kathy era rimasto un briciolo di sense of humor ed era sicura di volerlo utilizzare per ringraziare Taro. Era stato così gentile, l’aveva accompagnata senza proferir parola, nel silenzio denso che aleggiava nell’abitacolo dell’automobile.

 

A bientôt mon cœur

 

Rispose il ragazzo abbracciandola e schioccandole un bacio fraterno sulla fronte. Gli faceva tanta tenerezza, sballottata come un giocattolo per le sfide sadiche che si lanciavano Hyuga e Wakabayashi.

 

Kathy stava per richiudere la porta quando l’immagine di Genzo le si materializzò davanti. Affannato, con lo zigomo gonfio, spinse la zanzariera e si avvicinò a lei, spingendola in casa e chiudendosi la porta alle spalle.

 

In una frazione di secondo le strinse la mano tra la sua e l’avvicinò a sé passandogli l’altra dietro la schiena. I loro visi erano vicini ma il SGGK non era sicuro che ciò che aveva in mente sarebbe stato davvero una mossa azzeccata.

 

Si stava giocando il tutto per tutto.

 

Posò le labbra sulle sue delicatamente, sfiorandogliele appena. Kathy sembrava impietrita, il cuore le batteva all’impazzata, non sapeva se accettare o rifiutare il bacio di Genzo.

 

Era ancora perdutamente innamorata di lui?

 

Lui la baciò con più passione, sentiva la sua mano grande sfiorarle la nuca in una carezza carica di desiderio e si abbandonò tra le braccia di Eros. Che poi quella notte si fosse impossessato del corpo di Genzo, non faceva molta differenza.

 

Era ricaduta nella sua trappola l’ennesima volta. In fondo, le bastava guardarlo per perdere di nuovo la testa e quelle settimane passate lontana da lui l’avevano spiazzata, le avevano lasciato un senso di malinconia e di tristezza per tutta la giornata.

 

“Genzo tu non puoi comportarti così. Io non sono la tua marionetta, non puoi calpestare così ignobilmente i miei sentimenti, non è giusto, non te lo permetto”

 

Il ragazzo l’abbracciò senza parlare. Si beava di quel contatto fisico, gli era mancato tanto accarezzare il suo corpo, stringerla tra le braccia. Forse per la prima volta nella sua vita, capiva che non era lui quello da proteggere. La strinse di più.

 

“Non sono bravo con le parole. Ho sbagliato Kathy, ho sbagliato tutto. Volevo che tu mi odiassi, non avrei sopportato di vederti soffrire. Ma... l’ho visto da come mi guardavi che tra noi non era cambiato niente. È vero, mi sono comportato da fottuto bastardo ma non riesco più a starti lontano. Cerca di capirmi, io non posso legarmi alle persone, non posso permettermi di fare soffrire chi mi vuole bene davvero, soprattutto se si tratta di te”

 

“Sì, sei proprio un fottuto bastardo Wakabayashi” Kathy sospirò e appoggiò la testa al torace muscoloso del ragazzo, circondandogli gelosamente la vita.

 

Era tornato da lei, finalmente.

 

  
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