Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: Gwen Kurosawa    25/03/2012    7 recensioni
Allora...questa storia è ispirata alla Kagaminecest e per chi non la conoscesse, vi consiglio di non sclerare durante la lettura. (Se il rapporto fratellastro/sorellastra non vi da fastidio)
La coppia è la solita DarknessShipping.
Il padre di Marina e la madre di Angelo si conoscono grazie ai figli, e si innamorano, ignari del fatto che tra i figli ci sia una relazione.
Ciò che racconto qui è dopo il matrimonio tra il padre della ragazza e la madre del Capopalestra.
E' raccontato in prima persona da Angelo.
I Pokemon non sono presenti, ma le regioni rimangono quelle.
Appena vedete un minuscolo errore, segnalatemelo immediatamente!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ero seduto nella poltrona che c’era nella mia stanza, visibilmente scosso; e davanti a me, Marina piangeva disperatamente.
Ci eravamo legati qualche settimana fa, ma ai nostri genitori non avevamo detto nulla, per paura di un giudizio.
Mentre adesso…
-Maledizione…ho una sfiga…- singhiozzò la ragazza davanti a me, piangendo con maggiore intensità.
Non l’avevo mai vista piangere, quella era la prima volta.
Di solito, Marina nascondeva i suoi sentimenti; ma ora, si stava sfogando alla grande.
-Non sei sfigata…è colpa dei nostri genitori…- sussurrai, tremando appena e stringendo un pugno dal nervosismo: non riuscivo ad accettare che fra poco, io e lei, saremmo diventati fratello e sorella.
Se continuavamo a stare insieme, avremmo commesso l’incesto…ed era una cosa non accettata e punita severamente.
Lei continuava a piangere, ed io non potevo fare nulla…mi sentivo male.
 
-Pronto? Ci sei?-
Mi sentii chiamare.
Aprii leggermente gli occhi, ancora un po’ scioccato da quel sogno, e intravidi Marina in pigiama.
Era un tantino accigliata.
-E’ da tre ore che ti chiamo, cretino!- mi urlò lei, facendomi diventare quasi sordo.
Il sottoscritto, ancora mezzo rincretinito e mezzo addormentato, spalancò gli occhi, impressionato.
-Sono ancora addormentato! Non urlare così di prima mattina!- urlai a mia volta, facendo stupire quella bella ragazza che avevo davanti.
Ragazza…ormai era diventata mia sorella, da quando mia madre e il mio patrigno si sposarono.
Infatti ci eravamo lasciati, ed ora ci comportavamo da normali fratello e sorella.
Marina mi guardò un po’ sorpresa e allo stesso tempo maliziosa.
Ok, dovrò ripeterle che siamo fratello e sorella.
-Angelo, Marina!-
Una voce femminile che riconoscerei tra duemila voci ci chiamò: quella di mia madre.
Infatti si aprì la porta e si intravide una donna dai capelli biondi e gli occhi viola , vestita di bianco.
Ammettiamolo, avevo preso tutto da mia madre; solo il carattere scherzoso era ereditato da mio padre.
-Ancora in pigiama? Forza vestitevi, dovete andare a scuola!- fece lei, sorpresa nel vedere “mia sorella” quasi sopra di me e io mezzo intontito, ancora col pigiama.
Mia madre uscì, blaterando qualcosa del tipo “Non ci sbrigheremo più!”.
Marina mi sorrise imbarazzata, e da lì capì cosa voleva.
-Ok…mi giro…non ti guardo mentre ti spogli…- sbuffai, girandomi verso il muro, infastidito da quella situazione: se eravamo ormai parenti, che bisogno c’era di vergognarsi?
-Grazie…ma vestiti anche tu…- fece mia sorella, tirandomi i miei vestiti abituali in testa, facendomi male perché c’era la cintura.
Presi i vestiti e cominciai a prepararmi: alle mie spalle la ragazza si dava un’aggiustata.
In pochi minuti eravamo già pronti.
Uscii dalla stanza e, afferrando la merenda, andai, con Marina,  di corsa all’esterno della casa, dove ci aspettava il mio patrigno per accompagnarci a Violapoli, visto che ad Amarantopoli non c’era la scuola: al massimo c’era il Teatro.
In tre - quattro minuti circa, che per me passarono lentamente perché continuavo a guardare mia sorella accanto a me, arrivai a scuola.
Davanti all’entrata, c’erano Valerio e Chiara, dei nostri amici: fortunatamente stavano insieme e non erano parenti.
Io andai a salutare Valerio, essendo uno dei miei migliori amici; mentre Marina corse verso Chiara, salutandola.
Mentre le ragazze parlavano per conto proprio, Valerio mi fece cenno di andare in un posto appartato per discutere.
-Senti…ma ti stai abituando ad avere Marina come sorella?- mi domandò lui, dopo che ci spostammo verso il negozio che c’era dietro, seriamente preoccupato.
Io abbassai lo sguardo: che stupido e deficiente che ero.
-No…sono contentissimo che ora io la posso vedere ogni giorno, dormire insieme a lei, litigare, ammazzarla, strangolarla…però questo “legame familiare” mi blocca…- cominciai a dire, aggiungendo un pizzico di comicità a quella situazione molto grave e complessa.
L’amico mi squadrò, confuso.
Lo capivo: io avevo l’idea dell’incesto tra fratelli e lui faceva il mio psicanalista.
-Uff…qua la situazione è grave…- sbuffò Valerio, reggendosi la testa con la mano, in cerca -presumevo- di una soluzione.
-Secondo me, dovreste tornare insieme…fregatene dei vostri genitori…tanto siete fratelli giuridicamente, non consanguinei!- s’illuminò dopo, sicuro, dando anche a me sicurezza.
Valerio, quando si impegnava, era un genio.
-Si ma…- stavo per obiettare, se la campanella non suonasse.
-Angelo, andiamo in classe!!-
Marina mi chiamava in un modo…particolare, a mio avviso.
Avevo pure diciotto anni, ma sembravo un ragazzo di dodici, che non sapeva come comportarsi con la ragazza che ama.
“Devo riprendermi…lei non mi fa rincretinire così tanto!” pensai, mentre mi avviavo verso l’interno della scuola, decisamente annoiato nell’iniziare una nuova lezione.
In quella scuola, le classi erano divise non per un anno, ma per tre, infatti la mia sezione era la “under 16”.
Mi dispiaceva solo che quell’anno sarebbe stato l’ultimo.
Entrai in classe, dove c’era la professoressa di Latino, che guardava dei compiti.
Quel giorno ero talmente scemo che mi ero dimenticato il dizionario a casa quando c’era il compito in classe!
Con questo orrendo pensiero in testa, andai a sedermi nel mio banco, dove la fortuna mi fu favorevole, visto che la mia compagna di banco era mia sorella/sorellastra.
-Qualcosa non va?- mi domandò Marina, preoccupata e appoggiando una sua mano sulla mia coscia.
Questo non doveva farlo: cominciai a sentire un caldo tremendo avvolgermi, come se fossi nel deserto del Sahara.
-Mi sono dimenticato il dizionario!- ansimai, sia dal panico per il compito, sia per la mano di lei sulla mia coscia.
Anche anche se andavo bene in latino; ma ero sicuro che, senza il dizionario, avrei fallito.
Lei sorrise dolcemente e prese dal suo zaino nero due dizionari.
-Mi ero accorta che lo avevi dimenticato…eccolo!-
Con delle parole dolci, mi diede quel maledetto dizionario che mi spaccava la schiena ogni volta che lo portavo.
Ripensandoci, in quel momento, non era poi così tanto maledetto.
Iniziò il compito: mia sorella era, in alcuni momenti, in difficoltà; perciò la aiutavo io, per un po’, poi la professoressa mi spostò.
Finito il compito, cominciai a fare due ore di Italiano e una d’Inglese; dopo di che, io e Marina uscimmo dalla scuola e, con il mio patrigno, ritornammo ad Amarantopoli.
-Sentite ragazzi…- cominciò a parlare l’uomo, mentre io ero già sceso e mia sorella stava andando a casa per connettersi ad Internet, ormai diventato la sua quasi unica ragione di vita.
-…Io e vostra madre andremo a Kanto per lavoro…- continuò a parlare, se non fu interrotto da mia madre, che era uscita da casa, facendo cadere mia sorella che si apprestava a scappare in camera.
-Staremo via una settimana e visto che Angelo ha ben diciotto anni…può badare benissimo a Marina!- aggiunse lei, salendo nella macchina del mio patrigno, e mi sorrise in modo malizioso.
L’ho sempre saputo io, che quella donna era malefica.
E parliamo di mia madre!
Ne sapeva una più del diavolo.
Io, mentre cercavo di non arrossire, mi girai e vidi Marina divenire rosso fuoco.
Era molto carina quando diventava così rossa: spesso la prendevo in giro, quando succedeva.
Avrei voluto obiettare, ma quando mi voltai di nuovo, i miei se ne erano già andati: non mi rimaneva altro che stare una settimana solo con mia sorella.
Entrai in casa, con la ragazza dark –come l’avevo soprannominata io- tra le mie braccia, un po’ scosso per la notizia ricevuta poco tempo prima.
-Angelo…- sibilò lei, guardando il parquet che avevamo comprato qualche settimana fa, imbarazzata.
Non ne capivo il motivo: o perché doveva stare con me, da sola, per una settimana; o perché la stavo abbracciando. 
-Sto andando a farmi i compiti…- balbettò, divenendo non più rossa, ma viola dalla vergogna, e cercò qualcosa in cui sfogare il suo nervosismo, e guarda il caso, trovò la mia mano.
Me la strinse con una forza talmente elevata che mi morsi un labbro per non urlare dal dolore.
-Ma domani è domenica…come mai vuoi farteli ora, quando di sabato non li vuoi fare?- domandai io, confuso e stupito dalla domanda di Marina, ed ero un po’ intontito per la mano: non aveva particolare forza, ma aveva le unghie lunghe.
Inutile dire che mi graffiò la mano sinistra.
Lei non disse nulla, semplicemente mi guardò negli occhi e se ne andò, chiudendosi a chiave nella stanza.
Io sbuffai leggermente, ma subito dopo cercai di non pensarci e andai nella cucina, per vedere cosa aveva lasciato mia madre, oltre la verdura. –visto che una certa ragazza di mia conoscenza era vegetariana-
Aprii il frigorifero e notai che era mezzo pieno di verdura –per la felicità di mia sorella- e c’era anche un po’ di carne.
“Meno male…pensavo mi avessero abbandonato!” pensai, sbuffando leggermente.
Passarono un paio di minuti: io avevo acceso il televisore per vedere se c’era qualche film horror o giallo –essendo i generi di film che prediligo di più- ; anche se di pomeriggio non facevano di certo dei film del genere.
Mentre mi apprestavo a prendere un DVD in cui io e Marina avevamo scaricato da Internet dei film, mi sentii chiamare.
-ANGELO!!!!!-
Di solito non urla, e quando lo fa…rischia di farmi diventare sordo, anche a un paio di metri di distanza.
Il sottoscritto, sempre sbuffando, andò nella stanza che condivideva con la ragazza, ultimamente mezza isterica.
Aprii la porta e notai mia sorella disperarsi.
-Che ti prende?- domandai, incuriosito da quella disperazione di lei, e anche intenerito: era sia carina che simpatica quando si deprimeva, per via dei compiti di matematica/scienze/latino.
-Non riesco a risolvere questa equazione!- piagnucolò Marina, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso di me, con fare malizioso.
Io sorrisi: il qui presente Angelo Kurosawa non era cretino.
-Ok, io ti aiuterò…se tu mi dai qualcosa in cambio!- dissi, maliziosamente, e così facendo la spaventai un po’, infatti indietreggiò.
Lei annuì nervosamente e andò a sedersi per fare i compiti; nel frattempo io prendevo una sedia dalla cucina per aiutarla nei compiti.
Dopo una buona mezz’ora, mia sorella finì i compiti e mise i libri di lato, decisamente stanca; anche se quello stanco dovevo essere io, visto che li avevo fatti io, in pratica.
-Bene, abbiamo finito…ora mi connetto su Internet e…-
Non le diedi il tempo di finire la frase, che la baciai di colpo, senza pensare alle conseguenze.
Restammo a baciarci per una trentina di secondi, infiniti a mio parere, poi ci staccammo per assenza di ossigeno.
Ancora ero troppo giovane per morire soffocato a causa di un bacio.
Marina divenne color pomodoro maturo, mentre io ero abbastanza tranquillo.
-Angelo…non potremo tornare insieme, ostacoleremo la relazione tra mio padre e tua madre!- fece lei, abbassando lo sguardo, divenendo ad un tratto triste e malinconica.
-Preferirei non vederti triste…e poi…- cominciai a parlare, un po’ teso, come al mio solito.
-…Me ne frego di loro…in fondo noi possiamo fare tutto ciò che ci aggrada, visto che non siamo fratello e sorella di sangue!- feci io, seguendo lo stesso ragionamento che aveva fatto Valerio prima che iniziasse a scuola.
Mia sorella non disse più nulla: si limitò ad annuire e andò nel mio letto, sdraiandosi.
Da quel movimento, cominciai a seguire il mio istinto, e successe ciò che mai doveva accadere.
In quella stanza, avvenne la nostra morbosa unione.
 
Erano le nove di sera e noi due ci davamo le spalle, coperti dalla coperta del mio letto.
-Non dovevamo farlo…che diremo ai nostri genitori?- mi domandò, affranta e stanca, Marina, guardando il muro.
Io mi voltai, incuriosito da quella domanda.
-Non diremo nulla…e poi abbiamo ancora una settimana per noi!- ridacchiai, cercando di farla sorridere…e così avvenne: un piccolo sorriso di fece strada nel suo volto.
Mi avvicinai al suo volto e le consigliai di addormentarsi e di non pensare a nulla.
Ottimo consiglio si, ma io non lo applicai, visto che quella notte rimasi sveglio, pensando a ciò che era successo tra di noi.
Solo nelle mattinate mi addormentai, ma mi alzai qualche oretta dopo, visto che dovevo preparare la colazione sia per me, sia per la mia compagna –chiamarla sorella mi da un po’ di fastidio- , visto che non sapeva cucinare.
Mi ricordai che il mese scorso lei, in occasione del compleanno di mia madre, cercò di preparare una torta, ma la fece bruciare tutta nel forno.
Quel giorno, dovetti preparare io la torta; mentre Marina se ne stava in disparte, triste.
Mentre pensavo a quell’avvenimento, facevo uscire dal forno dei cornetti preparati in casa –ovvero quelli che erano congelati-
Li stavo sistemando sul tavolo, quando quella gran pigrona di mia “sorella” si svegliò e mi raggiunse in cucina.
-Perché prepari la colazione? Lascia fare a me!- cercò di dirmi, ma io la precedetti, in un modo molto sarcastico.
-Vorrei mangiare, in questa settimana!-
La mia compagna si accigliò molto e cominciò ad innervosirsi, e si avvicinò pericolosamente a me.
Mi prese per il colletto della camicia che mi ero messo, e mi baciò, stranamente.
Dico stranamente perché prima che i nostri genitori si sposassero, ero sempre io quello che la baciava, non viceversa.
La nostra relazione la nascondemmo a lungo, solo Valerio e Chiara erano a conoscenza del nostro rapporto.
Solo molto più avanti, avremo detto tutta la verità ai nostri genitori, ovvero dopo che Marina avesse raggiunto i diciotto anni.

 
 
 
Spazio Autrice:
 
E’ un tantino lunga, ma grazie ai Kagamine, mi è venuta questa stramba idea.
E’ solo una prova, se è bella o no.
Ero indecisa se ispirarmi alla Kagaminecest o alla Dragonshipping. (mi spiace solo che Sandra sia antipatica, insieme ai suoi Pokemon!)
Poi, un qualcuno mi ha spinto tramite telefonata e scleri in una sola telefonata (l’interpellato si farà vivo)…quindi diciamo che è dedicata una parte a lui.
Una parte è dedicata alla Fede (Blair Michaelis) che le ho mandato la storia a pezzi; ed una a Pimpi-chan.
Secondo il mio “programma” –ideato grazie alla scuola- dovrei pubblicare una song sempre su questi due (che è in elaborazione), una su Kenny e Lucinda e una piccola shot.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Gwen Kurosawa