C'era una volta...
C'era
una volta un treno rosso-verde-blu-bianconero che macinava
incredibili distanze oltre i confini conosciuti della Terra.
In
questo treno, scherzo del destino(o volere divino?), due giovani
entrarono nello stesso triste scompartimento.
Il
primo a tirare la manopola consunta ed infelice era stato un tale
alto, statuario, dopo essere rimasto lunghi istanti ad osservare la
targhettina di un oro pallido accanto alla porta.
Un
moretto ansante e goffo era entrato tutto trafelato pochi minuti
dopo.
“Scompartimento
N.333” diceva l'insegna. Entrambi i passeggeri, prima di
accomodarsi e sistemare le ingombranti valige di ricordi, erano
rimasti attratti da quel numero simbolico nella sua eccezione
ripetuta, che sapeva di statica santità, di un che di
rassicurante
di cui avevano bisogno, un qualcosa a cui appigliarsi nei gorghi e le
maree della vita.
Senza
nemmeno guardarsi presero posto vicino al finestrino, l'uno di fronte
all'altro.
Strano
spettacolo si prospettava di fronte a chi apriva loro la porta!
Un
energumeno biondo e dagli occhi di uno slavato azzurro cielo, dal
libro che leggeva, scrutava di sbieco chi aveva rotto il silenzio
profondo in cui si stava inghiottendo, davanti a lui un ragazzo
minuto, col volto di bambino, disegnava sul vetro polveroso del
finestrino misteriosi paesaggi lunari tenendo gli occhi chiusi,
strizzati quasi allo spasmo, i bulbi che si muovevano a ritmo con le
mani nell'oscurità.
Tutti,
anche i più temerari, dopo aver sbirciato nella stanza
chiudevano lo
sportello con forza, decisi più che mai a non andare mai
oltre le
loro vite tranquille e piene di incongruenze, per paura di non
raggiungere un traguardo e, spezzati come bambole, non poter
più
tornare quelli di prima.
Il
treno era partito da ore-giorni-anni-secoli-millenni ed i due
compagni di viaggio ancora non accennavano a parlarsi, ognuno troppo
perso nel proprio folle obiettivo da poter pensare ad altro.
Finito
il disegno di un drago di carta che sputava stelle di fuliggine dalle
scure fauci bidimensionali però il moretto, scosso da
qualcosa che
veniva dal profondo, parlò, la voce tremante per l'emozione
che
lacerava di speranza il cuore.
-Tu
sai, t tu s sai -balbettò- tu sai qual'è la
Verità del mondo?
Il
biondo, come risvegliato, sobbalzò impercettibilmente al
sentire,
più che quella domanda, quella voce. Voce melodiosa e dolce
di una
ninnananna, voce incredula di bambino imprigionato in un corpo
troppo grande, magica di luoghi mai visti e neanche immaginati fino a
quel momento.
Un
piccolo fremito e tutto si era fatto di nuovo buio e silenzioso, solo
una piccola scintilla sfavillava ancora nel suo cuore nero, come
tanti anni prima della sua maledizione, quando spinto da un desiderio
insano aveva iniziato a cercare con una perizia e un' attenzione
pazza cosa a questo mondo potesse rendere felici.
Passa poco, o forse tantissimo, nei suoi pensieri cristallizzati dalla ragione.
-Dimmi
qual'è e finalmente potrò capire e allora
potrò fare di
conseguenza!- chiede ancora l'anima in pena, con un finto tono
lamentoso che troppo fa sottendere la disperazione che ormai si
arrende a se stessa, la tragedia di che vive riponendo la fiducia
negli altri e, quando si rende conto che credere nel prossimo
è
inutile, cosa sia mai importante nella vita, cosa sia il suo scopo se
non servire, la sua Verità se non amare.
Gli
occhi turchini si scuriscono un poco, assottigliandosi nel pensare.
La
verità? Cosa importa della verità quando si
può essere felici? E
quel ragazzo non può dirsi felice senza sforzo? Tutto in lui
irradia
luce, tutto in quel corpo esile e slanciato, in quelle mani piccole e
affusolate, in quel viso dolce e sereno ispirano quello stato di
beatitudine a cui porta la felicità.
Eppure
le sue sottili labbra si increspano in una supplica straziante, i
suoi occhi nascosti gridano pietà dalle loro celle.
Sente
che la sua risposta farà soffrire quella specie di angelo
che gli
sta vicino, e quasi ne gode, mentre parla: -La verità
è che la vita
è fatta di sofferenza e di dolore, che nonostante questo
accomuni
tutti gli uomini ognuno si crede migliore degli altri e li disprezza
e quando viene il momento di uscire da questa triste vita ci si sente
sfortunati, infieriamo sul nostro destino e nel nostro ultimo lamento
malediciamo chi si ha di più caro dandogli la colpa della
nostra
caducità. E tu dimmi, come si può essere felici
in un mondo come
questo?-
Il moro inspira, espira a fondo, prima di liberare gli occhi dal loro torpore, come grandi perle brune dalle loro umide conchiglie, poi lo guarda dentro e quello sguardo color cioccolato sfa tutti i suoi scudi contro il bene e il male dell'altro, prima del dolce abbraccio con cui lo avvolge in tutta dolcezza, prima di quel sussurro all'orecchio che leva quella patina di mediocrità che separava gli occhi profondi e liberi dalla vita: -Se questa è la Verità, la felicità è...-
Un grido profondo e roco rompe le sue parole, le due teste del mostro portano via a brani di carne la salvezza, gli occhi nocciola si chiariscono mentre il sangue zampilla vermiglio dal corpo esanime, inondando la stanza.
Germania
si sveglia
di soprassalto, scosso da fremiti convulsi, battendo i denti per il
gelo che viene da dentro, da quel suo cuore che in fondo al petto non
vuol morire travolto dalla ragione.
Per riflesso si gira
nel letto, sbarra gli occhi nella ricerca di qualcosa di familiare
che lo possa far calmare.
Lo trova subito,
Italia accanto a se lo fissa con i suoi stessi occhi smarriti,
perduti in un incubo diverso e simile dal suo.
Che fare?
Con poca convinzione
si sorridono, decisi a non mostrare ancor di più il proprio
dolore.
Si stringono la mano
e solo quel contatto sembra dare a tutti e due più coraggio.
Questo basta,
rigirandosi nella dura brandina riprendono a dormire pregando
congiuntamente, con affanno, di non fare mai più un sogno
del
genere.
Chi lo sa che non ci
riescano, anche in guerra la speranza è l'ultima a morire!
C'era una volta un valoroso cavaliere che partiva per una crociata, alla sua dama aveva chiesto di aspettarla, lei è rimasta lì, immobile nel corso dei secoli, a guardare in lontananza, a sperare che lui ritorni.
C'era
una volta un bambino nero come la notte che spiava la sua servetta
fare corone di fiori.
Un
giorno un corvo di pece lo rapì, i suoi occhi non capirono
mai il
male di guardare solo all'esterno ogni cosa.
C'era una volta un bambino, solo, solo come un cane, ma che sapeva fingere il sorriso più bello del mondo ed un altro che lo ammirava perchè lo credeva sincero.
C'era una volta un ragazzo che piangeva sempre per gli altri e mai per se stesso.
C'era una volta un ragazzo che non sapeva cosa fossero le lacrime per eccesso di dolore.
C'era l'erede di un grande impero e chi tentò di emularlo tre volte.
C'erano due giovani contrastanti come il bianco sul nero; non volendo mai deludere gli altri, avevano dimenticato loro stessi.
C'era chi per paura di sbagliare aveva fatto troppo, e chi troppo poco.
C'era.....
Buon
pomeriggio!
E'
da tanto che non
ci si vede nevvero?
E' che i miei mi
hanno solennemente proibito di andare al computer fino a
quest'estate, ma oggi non ci sono quindi ne ho approfittato :).
Bene...che dire
d'altro?
Ho scritto questa
storia quasi un anno fa e oggi la pubblico con qualche miglioria
tecnica appresa nel frattempo.
Hope you like it!
Akai