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Autore: nals    26/03/2012    5 recensioni
Il giorno in cui Daniele la vede per la prima volta il cielo ha deciso di strizzarsi per bene, piangere veleno e rigettare i suoi tormenti. Un cappellino di lana verde ad ingabbiare ciocche d’oro, due gambe lunghe, lunghissime, e un cappottino rosso...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il rosso prude

 

 

 

 

 

 

1#

Il giorno in cui Daniele la vede per la prima volta il cielo ha deciso di strizzarsi per bene, piangere veleno e rigettare i suoi tormenti. Un cappellino di lana verde ad ingabbiare ciocche d’oro, due gambe lunghe, lunghissime, e un cappottino rosso. Non rosso, ma rosso rosso come le guance sferzate dal freddo; una tonalità di quelle calde, ma meno umida ed invitante delle sue labbra gonfie.
Legge. Il respiro incollato alle pagine ingiallite, lo sguardo ingordo d’inchiostro scuro. Mangia, lecca e ingurgita righe; la pioggia, intanto, ingoia lei. Daniele continua a chiedersi cosa lo trattenga dall’allungare l’ombrello, sorriderle o sussurrarle un semplice “ciao”. Sente la sua bocca serrata, l’immobilità della lingua premuta ai denti e quello strano magone a fermentare nello stomaco. Ha finito per credere che si scioglierà alla fine e che l’acido in pancia annienterà lui, quando il tram cigola, irriverente, frenando la sua corsa. Sale, scrollando l’ombrello e biascicando un “buonasera” stentato al conducente. Lei rimane immobile, oltre il vetro allagato d’acqua.
Una macchia di colore colata sul marciapiede.
Che si chiami Giorgia, Daniele lo scoprirà poi. Che tutto quel rosso pruda, anche.
 

 

 

 

 

 

2#

Daniele se la trova lì tutti i venerdì sera, la ragazza che un giorno diventerà Giorgia. Lo scheletro ferroso di una pensilina ingobbito sulle loro teste, il sole nascosto oltre i colli, il cappellino verde a ingabbiare ciocche d’oro. Lo sguardo di lei perso tra parole d’inchiostro e gambe lunghe, lunghissime, da guardare, sfiorare, con lo sguardo e con le mani.
E’ bella Giorgia. E’ bella nelle sue spalle curve, quasi a volersi chiudere dentro, a farsi piccola piccola e diventare invisibile; è bella nel suo broncio concentrato, nel naso piccolo e arrossato. E’ Marzo inoltrato, ma è freddo. Freddo quanto le sue dita. Belle da guardare, belle da sentire addosso, sotto la maglia, sulla pelle.
Legge Shakespeare, Giorgia. Daniele ha intravisto il “cbeth” di “Macbeth” al loro terzo incontro.
Ha sorriso, pensando a quanto lui non lo sopporti invece, Shakespeare. Non si tratta di autentico disprezzo in realtà, di inclinazione forse e intolleranza. Probabilmente la fissa per Romeo e Giulietta di sua sorella non ha giovato, ecco.
 

 

 

 

 

 

3#

E’ aprile e il cielo sorride. Il sole sembra un tondino pallido e gelido lassù in fondo, un solco di chiaro nel manto dipinto d’azzurro. Azzurro, azzurro, azzurro.  Come gli occhi. I suoi occhi.  E’ un colore sbiadito, quello delle iridi di Giorgia. Una tonalità che sa di vuoto e venale, ma che ti si arena addosso come colla. La sera l’azzurro diventa calce: invadente, ladra, liquida. Ti ruba lo sguardo, ti costringe a guardare, ti fa rimanere. Perché c’è sempre qualche goccia che Daniele non riesce a ignorare.
Oggi non trangugia storie, Giorgia, l’acqua non ingoia lei. E’ lui a essere masticato, invece. C’è il blu smorto a scorrergli addosso come lava, gli si secca sulla pelle e gli s’infila dentro. Dentro, dentro.
Si sente stupido, Daniele. Non avrebbe dovuto portarsi quel libro. Non avrebbe dovuto nemmeno comprarlo, in realtà. Come se gli interessasse. Sa solo di quella porta spalancata, dell’“Oro colato” inciso sull’insegna e della caterva di scaffali colmi. Non avrebbe dovuto portarsi quel libro, no. Nemmeno comprarlo, in realtà.
Sa solo dei suoi passi svelti, Daniele, dello sguardo annoiato della commessa dai capelli rossi, di quella strana fragranza ad impregnare ogni angolino di carta e vuoto e dei libri. Tanti, tanti, tanti libri. Ammassati in ordine. Libri, sì, e Shakespeare.
Vorrebbe tanto che qualcuno lo risucchi, ora.
Non avrebbe dovuto rubarle il cibo, non a lei. Lei che vive di storie di carta, lei che ingurgita sillabe ed emozioni. Lei che gli si arrampica addosso, che gli ruba il respiro.
Azzurro, azzurro, azzurro.
Ingoia saliva e vergogna, Daniele. Il libro scivola nella borsa.
“Ofelia mi fa pena.”
Azzurro. Azzurro. Azzurro.
Daniele sgrana gli occhi, trattenendo imprecazioni e respiro.
La testa scatta a sinistra, ma l’azzurro non c’è più. Gambe lunghe, lunghissime, scivolano sull’asfalto tiepido. Tagliano il vento. Uno squarcio rosso e verde, sempre più lontano.
“A me faccio pena io.” Avrebbe voluto dirle. Ma il tempo è passato e venerdì prossimo è troppo lontano.
Il tram cigola a due centimetri dal suo naso. Lo inghiottisce in un attimo, così come l’asfalto ha inghiottito lei.
 

 

 

 

 

 

4#

“Non legge oggi?”
Si volta a guardarla, Daniele. Non più con la coda dell’occhio, no. La guarda tutta, le mostra il viso e i suoi occhi verdi. E’ bella.
“E lei?”.
Sorride, Daniele, chiedendo. Di quel sorriso canzonatorio e impertinente, di quel sorriso che fa impazzire, gli aveva detto una volta Laura. Una delle sue tante ragazze da una settimana.
Sorride. Pensando che – se si fosse trattato di qualche altra – avrebbe finito per rubarle baci e gemiti già da un pezzo. Sorride come Giorgia. La cui risata – che sa di dolcezza e verità – è intrappolata nella fossetta sulla guancia destra, mescolata alla mezza pancia dell’ultima “e” o sul puntino della “i”, incastrata in quell’azzurro limpido e sbiadito che ha smesso di tormentarlo.
Guarda la processione di macchine adesso o il cagnone peloso accoccolato sull’altro lato della strada.
“Sono Giorgia.” Mormora.
“Daniele.”
Due sorrisi. E il vento.
La corriera arriva. Lei sorride ancora, lo sguardo puntato chissà dove.
“A venerdì, Giorgia di Macbeth.”
“Chi lo sa, Amleto.”
La risata del ragazzo sostituisce il “buonasera” stentato di ogni sera.
Giorgia è la solita macchia calda sul marciapiede.  Ma non si scioglie più.
 

 

 

 

 

 

5#

Il cappellino verde è sparito. Le ciocche d’oro rincorrono il vento, ma forse è il vento a rincorrere loro. Il rosso c’è ancora, però. Nella trama del cappottino corto, nel calore fioco del sole morente e sulle labbra, quelle labbra.
Daniele arriva correndo e il sorriso di lei è già suo.
“Ciao Giorgia di Macbeth.”
“Buonasera a te, Amleto.”
“Non ricordi più il mio nome?”
“Daniele.”
Le mani si sfiorano in una stretta e lui le sorride. Di quel sorriso che fa impazzire, gli disse una volta Silvia. Una delle sue tante ragazze da una settimana.
Le dita si cercano, si rincorrono e si trovano. Non parlano. Le parole non servono, non servono quasi mai. O forse sì.
Daniele prova a pensarci, poi ci rinuncia.
Il tempo è sospeso sulle loro teste, imbrigliato in poco spazio - tra la pelle-, quando la corriera arriva.
E’ puntuale nei sui tre minuti di ritardo e cigola forte e si ferma.
“A venerdì.”
La porta rimane aperta per un po’ di tempo in più, il conducente sbuffa spazientito.
Le maniche del cappottino di Giorgia attorno al collo di Daniele prudono, le labbra rosse invece bruciano.
Sono lì, proprio lì. Sulle sue.
“A venerdì, Amleto.”
La chiusura delle porte gli mangia le parole.

 

 

 

 

 

 

6#

Venerdì è tra due giorni; nessuno dei due ha voluto aspettare ancora.
Non urla, Giorgia. Respira affannosamente e basta. Strizza gli occhi, ingoia il dolore e gli si stringe addosso con forza e desiderio.
Le mani bianche e piccole sulla schiena di lui. Stringono, toccano, accendono.
Daniele è dentro di lei. E fa piano. Piano, come se Giorgia possa frantumarsi con poco. Le bacia la bocca, il naso,  il collo. Piano.
E continua a muoversi. Fa scivolare le dita sulle gambe bianche e sorride. Le sorride sulla bocca. Sono belle come le aveva immaginate: lunghe, lunghissime.
Poi si ferma, le labbra ad un soffio da quelle di lei: rosse rosse, gonfie, umide. Giorgia socchiude gli occhi e lo tira a sé. Vuole un bacio. Ne vuole altri. Daniele l’accontenta.
E’ bella Giorgia. Bella come non lo è stata mai nessun altra. Bella nel rossore delle guance, bella in quel suo chiedere senza farlo per davvero, bella nel sorriso abbozzato.
Ci sono le labbra di Daniele sul suo naso. Leggere, dolci, come lo zucchero filato.
Altre spinte, altri sospiri e il piacere sopraggiunge per entrambi.  Daniele le bacia il collo, la bacia tutta. E lei gli si accoccola addosso.
Il suo respiro sul collo, la sua felicità tra le dita.

 

 

 

 

 

 

7#

Il venerdì è arrivato in contemporanea al primo acquazzone di maggio.
La corriera è passata da un pezzo, ma Daniele non ci è salito. L’ombrello è fradicio d’acqua, rannicchiato su se stesso come un ragno di ferraglia affogato in una pozza d’acqua e fango. O solo fango.
Giorgia non ingurgita righe, oggi; l’acqua non ingurgita lei.
Mastica Daniele, forse. Daniele che ribolle di male e rabbia. Daniele che ingoia il vuoto.
Giorgia non c’è.

 

 

 

 

 

8#

Le lenzuola bianche sono gelide. Il sole acceca e le labbra, sulle sue labbra, sono troppo pallide, poco gonfie.
I gemiti di Marianna, Alessia…o come diavolo si chiami la ragazza con cui Daniele sta facendo sesso, rischiano di fargli scoppiare la testa.
C’è troppo chiasso, c’è troppo fiato.
Le gambe sono lunghe abbastanza, però
Sorride e la bacia. Le ficca la lingua in gola, stringendola con tutte le forze. Le si preme addosso. Spinge, spinge, spinge.
E lei urla, urla, e si contorce in preda al piacere.
Vorrebbe silenzio, Daniele. Vorrebbe il rosso, anche.
Ma il rosso prude.
Prude, si dice. E spinge, spinge ancora.
Prude.

 

 

 

 

 

 

I venerdì si rincorrono, Daniele arranca, affannandosi, con loro. Ingoia speranze e rabbia, ma Giorgia non c’è.
Non c’è rosso, non c’è verde, non c’è niente.
Si sarà sciolta, pensa.
Probabilmente qualcosa in lui si sarà sciolto con lei.
 
 

 

 

 

 

Lei, lei, lei.
Una macchia colata sull’asfalto.
Rosso e sangue dappertutto. L’odore di Daniele ancora addosso.
Ma lui non sa. Non sa nulla.
In quel nulla però, il rosso prude. Fa male. Male.
E prude.
E muore.
Assieme a Giorgia.
Muore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nalì’s space.

Ehm…O.O
Vorrei tanto trovare un senso a questa “storia”. Probabilmente un senso ce l’ha, ma io ne intravedo così tanti, che inquadrarne uno, o tutti, sarebbe impossibile. Lascio la parola a voi, nel caso in cui ne abbiate voglia.
Alla fine Daniele e Giorgia hanno deciso di prendersi il mio cervello. Io ho dovuto solo trovare una scusa valida per quella scomparsa finale.
Giorgia ha deciso di andarsene, sì. Io ho dovuto definirne il “come”.
 
(Sono una persona cattiva, so anche questo.)
 
Grazie. A chiunque abbia dato un briciolo di possibilità a questa “non-storia”. Sapere che siate giunti fin qua giù, mi riempie di gioia.
Grazie, davvero **
 

 

Nals.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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