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Autore: giulina    27/03/2012    9 recensioni
Lei, capelli rossi tinti e occhi azzurri, si chiamava Polly.
Come il pappagallo di Kurt Cobain e il primo bonsai di sua madre.
Lei si chiamava Polly e tutti la amavano e la odiavano allo stesso tempo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia che si è classificata seconda al "Contest multifandom- Giù la maschera" indetto sul gruppo Facebook "Tutte per una..".

Buona lettura,

Giulia :)

P.s. GRUPPO FACEBOOK: http://www.facebook.com/groups/262965880410553/

P.s.s. Immagine meravigliosa realizzata dalla mia beta/porVno amica/consulente/quellachemisfracassalasbollas/mio grande amore TriggerHappy. La mia Rob <3


                                        Polly wants a cracker.

 

 

                                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lei, capelli rossi tinti e occhi azzurri, si chiamava Polly.

Come il pappagallo di Kurt Cobain e il primo bonsai di sua madre.

Lei si chiamava Polly e tutti la amavano e la odiavano allo stesso tempo.

Sorrideva sempre Polly, di un sorriso a volte sincero e a volte talmente finto da sembrare di plastica.

Dispensava amore in bustine di zucchero ma nessuno era riuscito a sfiorarla se non con lo sguardo. C'era come un muro di cartongesso a proteggerla. Un muro coperto da graffiti di ragazzi di strada e frasi anticonformiste.

Era sincera Polly, e forse è proprio per questo che in molti la odiavano. Senza peli sulla lingua e frasi lasciate a metà, come se l'alcool circolasse sempre nelle sue vene. Raccontava in giro di essere la persona più sincera a questo mondo, ma quella, era una bugia bella e buona.

Odiava essere al centro dell'attenzione, per cui cercava di confondersi nella massa, facendosi passare per una normale ventenne con pochi soldi nelle tasche e poca voglia di studiare per raggiungere la tanto agognata laurea.

Tutti però, dopo un primo sguardo capivano che Polly non era come tutte le altre.

Sognava di aprire una Nutelleria in Alaska nonostante fosse allergica alla Nutella o di coltivare tulipani gialli in Olanda nonostante odiasse il giallo.

Amava ballare la salsa, guardare gli incontri di wrestling alla tv, la cioccolata calda - a cui aggiungeva sempre un po' di zucchero per sentirla ancora più dolce - ed i crackers.

Aveva una fissazione che sfociava in ossessione per i crackers.

Odiava il caffè, le persone che biascicavano mangiando, mordere un ghiacciolo con i denti ed i jeans troppo stretti.

Le persone che la conoscevano avevano iniziato a convivere con queste sue fisse e con il suo carattere altalenante, a volte schizofrenico.

Diciamo pure che era la persona più lunatica di Dublino -o di tutto il mondo- che riusciva ad amarti ed odiarti allo stesso tempo.

Era un controsenso vivente, Polly.

 

 

 

 

 

Era il 6 novembre 1997, quando ad un'ora imprecisata del mattino, Polly si era sentita la persona più felice dell'intero universo.

Non riusciva a smettere, nemmeno mentre camminava sulla via asfaltata cercando di schivare i pedoni indaffarati, di ammirare i suoi nuovi anfibi neri di pelle lucida che calzava ai piedi e che qualche ora prima aveva comprato in un negozietto poco conosciuto nel quartiere di Temple Bar.

Erano l'acquisto migliore della sua vita, insieme alle mutande di Paul McCartney comprate ad una bancarella a Londra quando aveva dodici anni.

Bei tempi quelli in cui era una fanatica dei Beatles!

Era stato il quel momento, quando si era accucciata all'angolo della strada per legarsi ancora una volta - la tredicesima, forse - le stringhe nuove di zecca, che l'aveva vista per la prima volta.

E come poteva non vederla in mezzo a tutta quella gente vestita uguale, con la medesima espressione di tedio stampata sul volto stanco?

Lei aveva lunghi rasta biondi che penzolavano sulla schiena coperta da un top rosso ed una giacca troppo leggera per quel periodo dell'anno. Aveva al lobo dell'orecchio sinistro un dilatatore dalle dimensioni esagerate, per i gusti di Polly, ed un piercing al labbro inferiore che le donava un'aria terribilmente trasgressiva.

Stava leggendo un giornale appoggiata ad una cabina telefonica, con uno zaino verde militare che giaceva ai suoi piedi ed un cane, un bastardino di taglia media, che cercava di attaccarsi alle gambe dei passanti simulando un rapporto sessuale.

-Tu!- Aveva gridato all'improvviso Polly, all'indirizzo della sconosciuta, alzandosi di scatto in piedi e correndo spedita verso di lei.

-Niente marjuana oggi, mi spiace- Aveva risposto la sconosciuta, gettando un'occhiata di sufficienza alla rossa.

-Sono meravigliosi!- Aveva esclamato Polly, inginocchiandosi ai suoi piedi, incurante di poggiare le ginocchia sull'asfalto sporco, dove un qualche centinaio di gomme da masticare giacevano dimenticate.

Il bastardino le si era avvicinato ed aveva incominciato ad annusarle il viso per valutarla come possibile candidata all'accoppiamento.

-Ti sei fatta, per caso?-

-Dove li hai comprati?-

-Forse sono io ad essere fatta...- Aveva riflettuto ad alta voce la bionda, scuotendo appena la testa.

-Sono due mesi che li cerco per tutta Dublino. E sono rosa come li voglio io!-

A quel punto la ragazza aveva abbassato lo sguardo confuso sulle sue gambe troppo magre, fasciate da un paio di calze nere fino ai polpacci, coperti da scaldamuscoli di lana rosa che aveva cucito lei personalmente.

Era un asso con i ferri da maglia.

-Ti piacciono?-

Polly aveva guardato la ragazza di fronte a sé con occhi speranzosi, illuminandosi di un caldo sorriso.

-Li vorresti?-

Polly aveva annuito furiosamente allungando timidamente una mano per sfiorare uno dei due scaldamuscoli.

-Preferiresti questi scaldamuscoli o cinque grammi d'erba?-

Da quel momento, Robin Glasgow non era più riuscita a scollarsi di dosso Polly, i suoi occhi azzurri speranzosi ed i suoi pacchetti di crackers integrali.

Aveva anche dovuto regalare i suoi scaldamuscoli, a quella pazza a piede libero.

 

 

 

 

 

 

Anche il 20 febbraio 2002 rappresenta una data fondamentale nella vita di Polly.

Quel giorno Dublino era coperta da un alto strato di neve talmente bianca da fare male agli occhi, ma nonostante questo, tante erano le macchine che si muovevano sulle strade ghiacciate della città e tanti i ragazzi che correvano sui marciapiedi scivolosi per riuscire ad arrivare in tempo a lezione.

Polly osservava la neve da una finestra appannata, con un poncho arancione sulle spalle scosse dai brividi di freddo, in una mano una tazza di cioccolata calda e nell'altra un pacchetto di crackers salati.

Un'accoppiata vincente, bisogna dire.

-Odio gli uomini-

Zia Clohtra aveva rotto così il silenzio che durava da qualche minuto all'interno di quella stanza spoglia,mentre nel suo letto dalle sbarre di ferro, strusciava senza sosta le gambe pelle e ossa sotto al lenzuolo bianco che puzzava di disinfettante.

La Signora Eeda, sdraiata nel letto accanto al suo dalle lenzuola del medesimo odore, aveva annuito sentendo le parole della vicina, alzando anche una mano ossuta sopra la sua testa per ribadire il suo essere d'accordo con la donna. O forse stava soltanto scandendo il ritmo della canzone sudamericana che arrivava alle sue piccole orecchie dalla radio accesa sul comodino di quella stanza dalle pareti di un pallido verde acqua.

-Anche a me dolgono i gomiti-

-Certo Eeda, certo. Vuoi un po' d'acqua?- Aveva domandato gentilmente Polly, avvicinandosi di qualche passo alla donna.

-Non sono pazza, piccola bambina impertinente- Aveva risposto l'anziana, mentre la dentiera le si spostava di parola in parola leggermente più a sinistra. A breve le sarebbe caduta in grembo.

-Non ho detto che è pazza, forse un po' sorda-

-Non voglio una torta!-

-Che vecchia ciarlona..- Aveva biascicato a mezza voce zia Clohtra, mentre ingoiava cinque o sei pasticche di vario colore e forma.

-Zia, tra qualche anno sarai come lei- Polly aveva sorriso all'indirizzo dell'anziana signora dai lunghi capelli bianchi e le labbra rosso fuoco, e si era seduta sulla sedia pieghevole al suo fianco.

-Comunque, perché odi gli uomini? Sei diventata lesbica alla veneranda età di ottantacinque anni?

-Lesbica come la tua amica Robin?-

-Lei è bisessuale, zia-

-Lo avevo sospettato da come l'altro giorno guardava il dottor Harrison. Però fissava pure il sedere di quell'infermiera del terzo piano..-

-Sorvoliamo, per favore. Allora, perché odi gli uomini?-

-Non tutti gli uomini, solo il dottor O'Shea-

-È cinese?-

-Padre turco e madre irlandese-

-Non deve essere un bel vedere- Aveva risposto Polly mentre la signora Orsula, altra ospite di quella stanza, che giaceva addormentata da ormai ore nel letto d'ospedale alla sua destra, aveva prodotto un suono molto animalesco con la bocca.

Forse era arrivata la sua ora.

-Con la cataratta all'occhio sai che non ci vedo molto bene ma non sembra così male. Comunque, è uno stronzo-

-Quale orso?- Aveva domandato con voce spaventata la signora Eeda, alzandosi leggermente dal cuscino su cui la sua testa aveva ormai fatto il calco, con i capelli grigi sparati in tutte le direzioni e la dentiera sempre più in caduta libera.

Polly non l'avrebbe toccata nemmeno con un'unghia.

-Nessun orso, vecchia!-

Eeda si era sdraiata di nuovo sul materasso, soddisfatta della risposta scortese della donna.

-Comunque, mi ha proibito di andare alla festa-

-Che festa?-

-Quella di carnevale che si terrà nella sala conferenze dell'ospedale!-

-Ma è la festa per i bambini ricoverati al Pronto Soccorso!- Aveva risposto Polly, guardando severamente l'anziana.

Un episodio simile era avvenuto anche qualche mese prima, in occasione della festa di Halloween, quando la zia Clohtra si era impuntata di voler andare a fare 'dolcetto o scherzetto?' nelle camere degli altri pazienti ricoverati.

-Cos'è questa discriminazione? Mi sono anche fatta comprare le orecchie da topolina da un infermiere-

Polly si era alzata dalla sedia di plastica e si era avvicinata alla finestra dai vetri ghiacciati, in sottofondo il russare della signora Orsula.

-Vuoi andare alla festa, zia? Sei consapevole che potresti rimetterci le penne?-

-Il rischio fa parte di me-

Polly aveva sospirato, ingoiando l'ultimo pezzo di cracker che aveva tra le mani.

-E festa sia..-

-Sì, sì per Dio!-

-Vedi Dio, Clohtra?!- Aveva domandato sbalordita Eeda, guardandosi intorno con aria frastornata.

Forse era venuto per lei!

-Eeda, se vedi una luce, seguila!-

 

 

 

 

 

Polly amava i centri commerciali. Quelli enormi, in cui non trovi mai l'oggetto che ti serve, quelli dai corridoi lunghissimi ed infiniti, dai mille articoli che non utilizzerai mai nella tua vita ma che vuoi assolutamente comprare.

Quelli pieni di vita, dove le persone spingono il carrello della spesa con piacere, guardandosi intorno come se fossero in un'altra realtà bellissima.

Polly adorava perdersi nel reparto giardinaggio, leggendo ogni etichetta applicata sui sacchetti dei semi di fiori di vario genere, guardare i bambini davanti ad uno scaffale colmo di giocattoli ed una ragazza a dieta fissare ammaliata i dolci delle vetrine della pasticceria.

A Polly piaceva osservare le espressioni delle persone, il modo in cui si muovevano con agilità sul pavimento lucido, nonostante i mille oggetti che tenevano tra le mani perché non erano riusciti a trovare un carrello, e i loro occhi quando andavano a pagare alla cassa.

Ecco, Polly amava quel momento in cui una risata era sicuramente assicurata.

Quello che adorava di più in assoluto però, era andare a fare la spesa in quegli enormi centri commerciali con Robin.

Sbuffava, si lamentava, spingeva il carrello a fatica e molto spesso lo dimenticava in qualche reparto. Le persone le gettavano sempre un'occhiata incuriosita e lei, frequentemente, rispondeva con il dito medio o a parole, che erano addirittura peggio del gestaccio.

-Cioccolato o vaniglia?-

-Domanda scontata- Aveva risposto Polly alla domanda della migliore amica, mentre leggeva assorta un fumetto trovato per caso in una panchina al Phoenix Park, il parco in cui avevano mangiato a pranzo un panino al volo.

-Mele rosse o verdi?-

-Verdi-

-Arance?-

-No, prendi tre pacchi di merendine alla crema-

Polly era così: 90% zuccheri all'interno del suo corpo da eterna ragazzina.

-Allora, mi spieghi cosa stai cercando?-

-Un costume da Carnevale per la festa che si terrà all'ospedale di zia Clohtra- Aveva risposto Polly, mentre si dirigeva a passo svelto, con ai piedi le sue fedeli Converse verdi fosforescenti, verso il reparto 'giocattoli'.

-Ma io sono invitata?- Aveva chiesto Robin, mentre si legava i rasta biondi, più corti di qualche anno prima, in una specie di coda improvvisata. Sul collo scoperto c'era un tatuaggio, ovvero il nome del pesce rosso che era morto quando lei aveva sedici anni: Mazzinga.

-Puoi venire soltanto se mi prometti che non ti metterai il costume da Candy Candy porca dell'anno scorso o da Hitler. Ci saranno dei bambini-

-Anche infermiere? Magari Michelle, quella del terzo piano. Ha due labbra meravigliose..-

-Rob, ho la pelle d'oca- Le aveva risposto Polly, mentre un brivido le percorreva la schiena.

Nel reparto giocattoli, c'era un angolo dedicato completamente ai costumi di Carnevale.

A Polly brillavano gli occhi mentre con le mani toccava quegli abiti così strani e senza senso.

Alla sua mente riaffiorò un ricordo particolare: il Carnevale del 1995, quando aveva appena quindici anni.

Lei, mezza ubriaca in un locale nel centro di Dublino, mentre ballava al ritmo di una canzone pop anni '70, con il suo costume da Marge Simpson completo di parrucca blu elettrico che penzolava da una parte e dall'altra e che le tirava i capelli dolorosamente.

La sua prima ubriacatura, primi baci, prime amiche e primi attimi di follia.

-Rob, l'ho trovato-

-Il fumo? L'erba?-

-Il mio costume, Rob, il mio costume di Carnevale-

 

 

 

 

 

 

 

Polly sembrava non aver mai partecipato ad una festa di Carnevale in vita sua, ma se vogliamo dirla tutta, era proprio così.

Quando aveva sette anni, sua madre Joey, l'ultimo giorno di Carnevale, le aveva comprato un vestito rappresentante una vaschetta di patatine fritte ad una bancarella a sud di Dublino insieme ad un sacchetto di coriandoli colorati.

Prima di arrivare al Merrion Square Park però, dove altri bambini come lei avrebbero festeggiato il Carnevale, la vecchia utilitaria azzurra della madre aveva deciso di abbandonarle a metà strada.

Quando Polly era riuscita a raggiungere il parco erano ormai le otto passate, il buio era calato e sembrava essersi portato via tutti i bambini insieme al Carnevale che lei non era riuscita a festeggiare. Aveva regalato il suo costume ad un bambino che mendicava alla stazione, se non altro.

All'età di quattordici anni, invece, il suo compagno di corso, Archie Allan, aveva deciso di dare una festa di Carnevale nella sua casa in campagna, poco fuori città. Aveva anche scelto il costume qualche settimana prima dell'evento: Yoko Ono, la famosa moglie di John Lennon.

Peccato che il giorno prima della festa, quando era anche riuscita a trovare una parrucca meravigliosa che aveva pagato con i risparmi del suo lavoro come dog-sitter, aveva preso la varicella.

Aveva passato la serata seduta sul divano sfondato in salotto, con una scatola di biscotti dietetici in mano, vestita da Yoko Ono con tanto di parrucca. A suo padre era quasi venuto un infarto quando l'aveva vista a notte fonda ancora nella medesima posizione, credendo di essere davanti al fantasma del suo sogno erotico per eccellenza.

Forse era per questo motivo che la sera del 22 febbraio 2002, Polly sembrava essere ritornata indietro di qualche anno, e desiderava quasi confondersi con tutti quei bambini saltellanti e vestiti con colori accesi a cui fregava solo divertirsi e mangiare a non finire.

-Polly, mi viene da vomitare..- Le aveva detto Todd, un bambino di cinque anni ricoverato al St. James Hospital qualche giorno prima perché si era fratturato il polso cadendo da un albero di mele.

La ragazza l'aveva fatto subito scendere dalle sue braccia, che l'avevano stritolato per gran parte della serata, e l'aveva portato dalla madre che si era spaventata per il colorito verdognolo della pelle del figlio.

Polly se l'era data a gambe levate ed aveva acchiappato una bambina dai capelli rossi vestita da Pippi Calzelunghe che stava prendendo un panino al buffet in un angolo dell'enorme sala congressi, che era stata decorata a fatica nel pomeriggio da alcune infermiere e dottori dell'ospedale.

-Hey Pippi, ti va di concedermi un ballo?- La bambina non era riuscita nemmeno a risponderle che già stava volteggiando tra le braccia della rossa, sulle le note di un famoso brano degli Oasis.

La canzone aveva coperto le urla spaventate della povera anima.

Dopo quasi un'ora di balli e canti, Polly aveva raggiunto Robin che stava fumando seduta su una sedia pieghevole, incurante del cartello di divieto scritto a caratteri cubitali sopra la sua testa e la signora Eeda che sedeva comoda su una sedia a rotelle accanto a lei, il cui viso sciupato e solcato da rughe, non era più visibile perché coperto da una nuvola densa di fumo grigio.

-Ti diverti, Roby?-

-Da morire, stavo appunto discutendo con Eeda di quanto questi bambini siano teneri come agnellini-

-Hai mangiato i tortellini?- Robin aveva voltato il viso in direzione dell'anziana signora che le aveva posto la domanda stupita e le aveva quasi ringhiato contro.

-Eeda, la vuoi una cannetta?-

-Ma non voglio pescare!-

-Io invece vorrei tanto mandarti a cagar..-

-Robin!- L'aveva rimproverata l'amica, dandole uno scappellotto sulla nuca. -Smettila di parlare come uno scaricatore di porto e vieni a ballare con me!- Aveva continuato a parlare Polly, mentre muoveva le anche al ritmo della canzone rock che stava uscendo dagli altoparlanti.

-Vorrei tanto ma devo tenere compagnia ad Eeda, sia mai che ci lasci proprio mentre sto ballando la Macarena con te-

Polly aveva sbuffato e si era avvicinata al centro della pista dove la migliore ballerina di tutti i tempi si stava esibendo in un tango su sedia a rotelle.

Sua zia Clohtra muoveva spalle, braccia e testa, provvista di orecchie da topolina, con una scioltezza incredibile e una sensualità innata.

Un ragazzo vestito con un pigiama a righe e dei guanti gialli stava in piedi davanti a lei e le teneva le mani, spingendola su e giù per tutta la stanza con la sedia a rotelle. Si muoveva anche lui a tempo di musica e sorrideva a sua zia con una spontaneità particolare.

Polly avrebbe voluto sapere il colore dei suoi occhi.

Mentre osservava quella scena con il sorriso sulle labbra, qualcuno le era andato addosso facendole quasi perdere l'equilibrio.

Era una bambina dai capelli castani tagliati sotto le orecchie, travestita da Pocahontas.

Polly l'aveva presa in braccio prima ancora che la piccola se ne potesse rendere conto. Quando capì cosa stava succedendo e chi l'aveva rapita, era ormai troppo tardi: Polly era già scesa in pista per provare un nuovo ballo caraibico.

 

 

 

 

 

-Sul piano etico, il culo è più onesto della faccia. Non inganna, non è maschera ipocrita.-

-Non è sua, questa frase-

-No, del caro Tinto Brass. Un genio-

-Un maiale, direi-

-Dipende dai punti di vista-

-Quindi secondo lei, per capire se una persona mente o no, dovrebbe guardarle il culo?-

-Adoro la sua intuizione-

-Lei è pazzo, e pure un pò porco, se mi posso permettere- Il ragazzo si era messo a ridere, scompigliandosi i capelli biondi con la mano fasciata da un guanto giallo.

Polly non riusciva a capire come potesse non sentire freddo con solo quel leggero pigiama a righe addosso. Il vento di Dublino era come un rasoio sulla pelle scoperta.

La ragazza continuò a guardarlo mentre tirava fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto rosso di sigarette ed un accendino.

Polly rimase in silenzio ad osservarlo fumare, notando come le sue labbra screpolate si chiudessero sul filtro e i suoi occhi azzurri -di un azzurro talmente azzurro che Polly non aveva mai visto- si socchiudevano appena quando un filo di fumo li raggiungeva.

-Non mi ricordo come siamo arrivati a parlare di culi e di maschere...- Disse Polly ad alta voce, riflettendo sugli ultimi minuti della loro stramba conversazione.

E dire che si erano conosciuti poco prima, anzi, si erano incontrati per caso su quella panchina nel giardino interno dell'ospedale, vicino alla sala conferenze da cui arrivava a malapena la musica e le grida dei bambini che continuavano a ballare senza sentire nessuna stanchezza.

Lui era il ragazzo che aveva ballato con sua zia e Polly l'aveva subito riconosciuto. Non riusciva a capire se per i suoi capelli biondi di un biondo mai visto oppure per il suo travestimento insolito.

Forse le era rimasto impresso nella mente il suo sorriso imperfetto.

Quando aveva capito chi fosse il ragazzo seduto sulla panchina che l'avrebbe ospitata per la fine della serata, Polly non c'aveva pensato due volte e si era seduta, a fatica a causa del costume, accanto a lui.

Avevano iniziato a parlare senza rendersene conto.

-Non so dirle, siamo partiti dai travestimenti...-

-Già, ed io le ho chiesto perché indossa un pigiama e lei mi ha risposto che è una banana in pigiama, come quella del cartone animato, ma che ha perso la testa del costume poco dopo essere arrivato alla festa-

-Già, mi sembra di aver notato una ragazza dai rasta biondi aggirarsi nel punto in cui l'avevo lasciata..-

Polly era rimasta in silenzio, aprendo un pacchetto di crackers che aveva nascosto in una piccola tasca del costume, fingendosi indifferente.

-Ci sono tanti pazzi a questo mondo!-

-E lei, perché è vestita da...zucchina?- Il ragazzo aveva osservato con occhio critico il suo abbigliamento ed aveva spento la sigaretta sul marmo della panchina.

-Una melanzana, sono una melanzana. C'erano in ballottaggio questo costume e quello a forma di lucertola gigante-

-Ha fatto un'ottima scelta, allora-

Si erano messi entrambi a ridere e Polly aveva guardato alle sue spalle, sentendosi improvvisamente osservata.

Contro il vetro della sala conferenze, infatti, c'era spiaccicato il viso di Robin che teneva tra le mani un foglio bianco con una frase scritta con un pennarello nero: “Se non te lo fai te me lo faccio io!” Il peggio era cosa aveva posato sul pavimento vicino ai suoi piedi: una testa a forma di banana.

Polly le aveva fatto segno di lasciarla stare ed era tornata a prestare attenzione alle parole del ragazzo seduto accanto a lei.

-Scusi, che cosa mi ha detto? Mi ero un attimo distratta-

-Che devo andare, tra poco inizia il mio turno di notte-

-Gigolò?-

-Dottore, se vogliamo essere precisi- E dicendo queste parole si era alzato in piedi, sorridendole mentre si infilava i guanti gialli alle mani che dovevano essere ghiacciate.

Si era allontanato di qualche passo dalla panchina, dalla quale Polly non si era mossa, ed aveva aperto la bocca per parlare ma l'aveva richiusa subito dopo.

L'aveva riaperta una seconda volta e questa volta, a fatica, delle parole erano uscite dalla sua bocca.

-Comunque, io sono Theodor-

-Che nome da vecchio!- Aveva riso Polly, osservando la faccia scandalizzata di quel ragazzo che non poteva avere più di ventisette anni. -Io sono Polly-

-Nome da cane- Aveva risposto a tono Theo, sorridendole di sbieco.

-Questione di punti di vista!-

Il ragazzo era rientrato dentro la sala che stava ancora sorridendo.

Polly gli avrebbe voluto dire che aveva gli occhi più belli di tutta Dublino, ma quello, forse, glielo avrebbe confessato un'altra volta.

 

 

 

 

 

Peccato che Polly non vide più Theodor né all'ospedale né a Dublino; sembrava quasi svanito nel nulla, come se quella sera su quella panchina, ci fosse stata solo lei e una sua fantasia.

Credeva di essere pazza, e forse lo era veramente.

-Robin, cosa dovrei fare secondo te?-

-Affiggere dei volantini all'interno del St. James- Le aveva risposto l'amica impegnata nel tagliarsi l'unghia dell'alluce del piede destro, seduta comodamente sul divano sfondato della rossa.

-Sarebbe un'idea fantast..-

-Un'idea orrenda. Chiedi in giro, Polly Pocket, informati!-

-Ho già chiesto alla signora Eeda e lei mi ha risposto che nessun dottore che si chiami Teocleziano lavora nell'ospedale-

-Non ho mai visto una vecchia così sorda...-

-Non ho ancora risolto il mio problema, Rob!-

-Alla faccia del colpo di fulmine! Spero che tu gliel'abbia perlomeno data!-

 

   

 

                                                                                                                                            

 

 

Era passata un'altra settimana e del Dottor Theodor-sorriso-splendente nemmeno l'ombra.

Quel giorno Polly aveva passato metà del pomeriggio a parlare con infermiere e addetti alla pulizia del St. James Hospital, alla ricerca del suo uomo misterioso.

-Rob, basta, mi arrendo..-

-Era ora! Senti, un mio amico mi ha chiesto di dirti che gli piacerebbe molto avere un tete a tete con te. Accetti?-

-Per tete a tete cosa intendi?-

-Accoppiamento selvaggio nel suo garage dove ha un materassino gonfiabile-

 

                                                                                                                         

                                                                                                                                                

 

 

 

Era il 18 marzo 2002 quando alle 8 e 45 della mattina aveva ricevuto una chiamata dall'ospedale, con la quale la informavano che sua zia Clohtra aveva avuto un principio d'infarto.

Polly si era precipitata in ospedale, dimenticandosi anche di avvertire Robin, e in pochi minuti era arrivata al capezzale della donna moribonda.

In verità, tanto moribonda non era se giocava a Canasta nella sua stanza insieme ad altre pazienti messe molto peggio di lei, in quanto a soldi persi, naturalmente.

Aveva vinto centocinquanta euro tondi tondi, quella vecchiaccia.

-Zia, ma non avevi avuto un infarto?!-

-Infartoche? No, un po' di tachicardia quando questa vecchia ciabatta della signora Clotilde mi ha fatto fuori quaranta euro! Niente di grave, tesoro-

L'aveva rassicurata la donna mentre scopriva le sue carte ed esultava raccogliendo con sguardo avaro e potente tutti i soldi che c'erano sul tavolo di legno in mezzo alla stanza.

Polly era usciti furibonda dalla stanza ed era entrata senza sapere nemmeno dove andare, dentro all'ascensore pubblico che ospitava un'infermiera e un paziente anziano in sedia a rotelle.

Stava per mettersi a piangere, ne era cosciente e sentiva qualcosa pungere dietro le palpebre che frizzavano.

-Sua zia sta bene- Una voce bassa vicino al suo orecchio l'aveva fatta sobbalzare e finire con le spalle alla parete dell'ascensore.

I suoi occhi erano celesti come se li ricordava, forse ancora più belli di quella sera.

-Lo so che sta bene, è per questo che piango-

Theodor aveva sorriso sentendo l'affermazione della ragazza e le aveva passato il pollice sotto l'occhio destro.

-Ha vinto duecentocinquanta euro a Canasta, dovrebbe essere fiera di lei-

-Io la uccido e la cremo-

-Com'è violenta, Polly-

-Ma lei, come fa a conoscere mia zia?- Aveva chiesto improvvisamente Polly, rendendosi conto in quel momento di quello strano fatto.

-Sono il dottore di sua zia, Theodor O'shea-

-Quasimodo! Ma lei non doveva essere un uomo orripilante?-

Il ragazzo era rimasto qualche secondo in silenzio, mentre l'infermiera che stava dividendo con loro l'ascensore aveva camuffato una risata con un colpo di tosse improvviso.

-Mamma mi ha sempre detto che ho una bellezza finlandese. Questo significa che mi ha sempre mentito?-

Polly si era messa a ridere, nascondendo la bocca nella sua sciarpa rossa e abbassandosi il cappello di lana sugli occhi.

-Io direi più bellezza animale-

-Oddio, questo non so se prenderlo come un complimento-

Erano scoppiati entrambi a ridere, quella volta anche l'infermiera che non si era nascosta dietro una mano.

-Allora, Polly, se lo farebbe offrire un cracker da me?-

Forse quella era l'occasione giusta per dirgli che non aveva mai visto un sorriso bello come il suo.

-Dottor O'shea, lei ha una dentatura perfetta, lo sa?-








   
 
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