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Autore: zoro145    24/10/2006    1 recensioni
In una piccola cittadina costiera,Selinunte,si svolge la nosta storia,liberamente ispirata alla famosissima saga per PS "Silent Hill".E' il mio primo lavoro,ma spero vi piaccia ugualmente.Ah,nomi e luoghi sono reali,anke se alcuni un pò modificati.
Genere: Parodia, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Selinunt Hill

Selinunte, 30 Agosto 2005

Mi chiamo Riccardo.Il mio cognome non ha più importanza ormai. Ho 15 anni. Non so se qualcuno leggerà mai queste pagine,ma saranno necessarie se qualcuno vorrà ricostruire gli avvenimenti degli ultimi giorni.

Antefatto

Nella ridente Selinunte,la sera del 14 Agosto,tutti si stavano preparando per la lunga notte dei falò in spiaggia.Ma qualcosa di insolito accadeva:davanti la statua di Padre Pio:delle strane figure incappucciate,vestite di nero recitavano strani versi in latino. O almeno il mio amico RLG,anche lui quindicenne, mi ha riferito.

Selinunte, 15 Agosto 2005

Era la mattina dopo Ferragosto,le 6.30 circa.Tornavo dal falò al Cantone, un po’ stordito per il sonno,un po’ per la birra. Non c’era anima viva per strada,tutto era chiuso “Tutto normale”pensai”Saranno tutti a dormire “.Ma qualcosa di strano stava accadendo: c’era una puzza di zolfo nell’aria e una strana nebbia stava avvolgendo piano piano tutto il paesino. Avevo intenzione di farmi un bel cornetto caldo prima di andare a letto,così mi diressi verso il panificio; all’altezza del lido Tuxn incontrai Riccardo La Guardia (da adesso RLG).Riccardo era poco più basso di me,circa 1,75, capelli castani corti, corporatura robusta e spalle larghe.Anche lui era stanco della nottata e sotto l’effetto di alcool o non so di che cos’altro (motivo per cui non do molto credito al suo racconto dei tizi incappucciati).Ma era un po’ nervoso,glielo si leggeva in faccia.

“ Cos’hai?” gli chiesi.

“ Niente,è che ho bussato a casa e non mi ha risposto nessuno.Non ho le chiavi per cui sono chiuso fuori…..”.

“Hai notato che desolazione che c’è?Che strana atmosfera…..”

“Allora lo hai notato anche tu? Pensavo di essermelo immaginato.”

“Vediamo se da Ciccio è aperto”

Detto questo ci incamminammo verso casa di Francesco Sgamaglino (detto Ciccio o Cilo).Ma le imposte del pian terreno erano chiuse .Così salimmo le scale a fianco della casa per provare a bussare al piano di sopra,dove c’è la seconda entrata,sulla Via Pammilo,che in quel momento era sommersa dalla nebbia.Bussammo ma non ricevemmo alcuna risposta. D’un tratto sentimmo urlare aiuto dalla nostra sinistra.Era la voce di Bruno,un ragazzetto che conoscevamo di vista. “Andiamo a vedere” suggerì RLG.Ci avvicinammo e vedemmo in lontananza due sagome scure,di cui una a terra e una in piedi che la aggrediva. Un brivido ci percosse,non capivamo niente,sembrava lo stesse divorando:così scappammo giù dalle scale e scendemmo verso il lido,correndo.Ci fermammo per la stanchezza, con il fiatone e sena capire niente. Un altro urlo ci fece sobbalzare pochi secondi dopo,ma stavolta era una voce conosciuta,la voce di Ciccio:ci voltammo subito,ma l’unica cosa che vedemmo era una sagoma che scompariva nella nebbia. Provammo a seguirlo urlando il suo nome,ma non lo ritrovammo.Scoprimmo però un’altra verità:la strada in quella direzione era bloccata da un cumulo di automobili,probabilmente in seguito a un grande incidente. Ma di Ciccio nessuna traccia. Ci incamminammo nella direzione opposta,con un'unica meta,trovare Giancarlo e delle risposte a quello che stava succedendo.Camminammo sempre nella nebbia,determinati,ma terrorizzati da quell’atmosfera e dal quello che avevamo visto. Ironia della sorte anche la strada per casa di Giancarlo era bloccata,ma stavolta da un palazzo crollato. “Che diavolo sta succedendo?”pensai”Chissà cosa sta pensando RLG? E’ da un po’ che guarda a terra “.Guardando anche io la strada notai un tubo di ferro,doveva essere pesante,ma non era il caso di pensare a certe cose.Essendo bloccata quella strada,l’unico modo per scappare era Via Caboto,parallela a via Pammilo, Salimmo verso casa mia,la superammo e continuammo dritto. A un certo punto sentimmo puzza di carne in decomposizione;la ricollegammo a Bruno,anche se non ne avevamo la certezza..Tirammo dritto senza soffermarci sul corpo.salimmo le scale a ovest più veloci che potevamo,preoccupati di fare la stessa fine del cadavere. Ma,tanto per cambiare, le scale erano crollate.Eravamo disperati ma mi venne in mente che la casa di Giuseppe Cagliari aveva due entrate,una dove eravamo noi,l’altra dava sulla via Caboto. Bussammo,ma non ottenemmo risposta.La porta di casa era in legno,abbastanza fragile:RLG si ricordò del tubo di ferro vicino casa di Giancarlo,e gli venne in mente di usare quello per sfondarla.Preso il tubo e sfondata la porta,scoprimmo che l’altra porta era chiusa e blindata. L’unica via di fuga trovata era il balcone:lo scavalcammo,RLG con più difficoltà a causa del dito rotto, ed entrammo.Ci si presentò una scena raccapricciante :era tutto sporco di sangue,c’era puzza di morto e membra umane sparse a terra. A terra notammo una fotografia di Bruno con la sua famiglia.Era casa di Bruno.Ma anche in questa casa la porta era chiusa a chiave.Chiave che forse avremmo trovato esaminando i resti del cadavere del malcapitato ragazzino.Scesi velocemente sulla strada,mentre RLG mi aspettava.Trovai le chiavi,e dell’aggressore,fortunatamente, nessuna traccia.Ma appena mi riavvicinai alla casa di Peppe, sentii dei passi dentro di me.Mi misi a correre in preda al panico,salii le scale e scavalcai,quella "cosa" era vicino a me,lo sentivo.Ma RLG aprì la porta del balcone e diede una sprangata alla cieca,che fortunatamente colpì quella "cosa"e la fece cadere dal secondo piano:ma non era bastato,la cosa si rialzò per continuare a inseguirci,ma noi chiudemmo la porta del balcone.Il mio amico andò per aprire la porta con le chiavi di Bruno,ma non appena la aprì la richiuse velocemente e si girò a guardarmi:era pallido.”Forse fuori ci saranno delle "cose" come quella di prima” pensai d’istinto.Mi fece cenno di guardare fuori dalla finestra e disse “Sono quelli i tipi dell’altra sera,che recitavano davanti Padre Pio”. Guardai fuori: due file di uomini incappucciati,che sembravano non finire mai,che trasportavano due bare chiuse dalle quali colava del sangue.O almeno sembrava. Guardai RLG: era pallido, si leggeva la paura nei suoi occhi.Anche io probabilmente non ero molto bello da vedere:ero paralizzato,non riuscivo a muovere un muscolo per il terrore. “Chissà chi ci sarà lì dentro?” mi chiesi tra me e me.Sicuramente anche il mio compare pensava la stessa cosa. Aspettammo qualche minuto,poi ci riaffacciammo e vidimo che la strada era vuota così decidemmo di uscire allo scoperto e, spaventati, ci dirigemmo verso casa di Giancarlo nella speranza di trovarlo vivo. Dopo circa un quarto d’ora di cammino, vedemmo di fronte a noi una fila di sagome seminascoste nella nebbia; sembrava che ci stessero aspettando, non capimmo subito chi fossero finchè non fummo a pochi metri da loro. Io ero rimasto paralizzato dal terrore, riuscii soltanto a sentire:”Fuga!!”.”Che hai detto?” chiesi girandomi verso RLG ma non ebbi risposta: lo vidi correre disperatamente e scomparire all’orizzonte.2Bell’amico” pensai mentre mi affrettavo a raggiungerlo,convinto anch’io che in fondo scappare fosse l’ unica cosa sensata in quel frangente. Corremmo senza mai voltarci finché non fummo sicuri di averli seminati; durante la fuga mi parve di vedere una bambina, affacciata ad un balcone, ridere tenendo tra le braccia una bambola ma ero troppo occupato a scappare per fermarmi ad osservare meglio. Chiesi ad RLG se anche lui l’avesse vista, ma mi rispose che probabilmente me l’ero solamente immaginata.

"O MIO DIO…!” sentimmo urlare attraverso la nebbia davanti a noi. Ci avvicinammo con cautela: lo spettacolo che ci si presentò ci fece capire il motivo di quella strana esclamazione. Nino Panino, famoso paninaro di Selinunte, era stato orribilmente ucciso, impalato all’ interno del suo camioncino, con lo spiedo sul quale era solito fare arrostire il kebap(piccola vendetta personale degli scrittori). Giancarlo guardava fisso la scena con gli occhi sbarrati. Giancarlo è un ragazzo di 14 anni , ma ne dimostrava almeno 17: era alto 1,85, molto robusto, capelli neri e di carnagione molto chiara. Ci facemmo avanti , gli misi una mano sulla spalla in segno di conforto, ma quello non mi riconobbe e fece istintivamente un passo indietro guardandomi, terrorizzato. Capì solo dopo qualche attimo chi eravamo e ci abbracciò felice di sapere che non era rimasto solo. “Picciò, sono felice di vedervi, non avete idea di quello che ho passato!”  “Invece io temo di sì!” rispose RLG e gli raccontammo la nostra storia. Eravamo molto stanchi e spaventati, la nostra unica preoccupazione in quel momento era trovare un rifugio dove recuperare le forze così chiedemmo a Giancarlo se ci potesse ospitare a casa sua. Rispose senza esitazioni di sì. Prima di andarcene mi venne in mente di cercare delle provviste e/o qualcosa di utile all’interno del furgoncino. Quando entrammo notai subito l’aria gelida e pesante. L’interno era molto illuminato dalle lampade a neon; c’era il silenzio più assoluto: sentivo chiaramente il respiro e i battiti cardiaci dei miei amici;solo un ronzio,probabilmente dell’aria condizionata,accompagnava quei suoni. Fortunatamente trovammo dei coltelli, del pane,della carne e qualcosa da bere.

Ci incamminammo verso casa di Giancarlo.Ripassammo davanti al palazzo dove avevo visto la bambina.Guardai meglio la finestra,ma non c’era nessuno. A terra notai però un articolo di giornale.Era datato a una settimana prima,l’8 Agosto ma di 20 anni fa,del 85.Nella foto era ritratta una bambina con le trecce lunghe,con in braccio una bambola. L’articolo diceva che si chiama Elizabeth Smith, era la figlia di due turisti inglesi in vacanza a San Vito. L’8 Agosto era scomparsa in circostanze misteriosei. Giancarlo,mentre leggevo l’articolo, notò che dietro c’era scritto col sangue "TANTO E’ TUTTO INUTILE".

Ci guardammo in faccia, con un’ espressione mista di stupore,paura e curiosità.Mentre io continuavo a rileggere quell’articolo,ci incamminammo verso casa di Giancarlo. Nonostante disti pochi minuti, la nebbia e l’ansia ce li fecero sembrare interminabili.Arrivammo a destinazione senza problemi. Entrammo in casa e barricammo la porta;non c’era corrente elettrica,per cui eravamo al buio.Un poco di luce filtrava dalle serrande e bastava a farci distinguere le sagome all’interno. disse Giancarlo.Ma neanche il tempo di finire la frase,un rumore ci fece sussultare:dietro di noi qualcosa si muoveva nel buio. Era Evra,la governante rumena di Giancarlo. La conoscevo solo di vista:era diciottenne,ma ne dimostrava molti di più;era una bella ragazza,sia nei lineamenti,sia nelle forme, capelli e occhi neri. O almeno così era:non appena si avvicinò e la luce le illuminò il viso,un brivido ci percosse e ci fece sobbalzare. Aveva gli occhi rossi,da cui colava del sangue che scivolava su delle gote pallidissime e piene di cicatrici.Una lunga lingua nera faceva capolino da una bocca sdentata. Lo spettacolo era orribile. D’un tratto fece un balzo in avanti e afferrò il collo di Giancarlo e insieme caddero a terra. Raccolto tutto il coraggio che avevamo in corpo, io sferrai dei calci nei fianchi di quel "mostro" e,dopo che questo ebbe mollato la presa, RLG le piantò un coltello sulla schiena.Le pareti bianche vennero sporcate da uno schizzo di sangue nero. Rialzatosi Giancarlo, ne piantò un altro sulla gola, privandola delle ultime forze. Cademmo tutti in ginocchio: eravamo stanchi e impauriti. Mangiammo solo un po’ di pane,ma la puzza del corpo ci impedì di gustarlo. Senza neanche accorgercene ci addormentammo.

Selinunte, 16 Agosto 2005

Ci svegliammo alle 3 di notte circa. Appena svegliato mi accorsi subito che RLG non era in casa. Lo trovai fuori con il coltello sguainato. “Sto facendo la guardia”  mi disse. “Una buona idea “ pensai. Intanto anche Giancarlo ci raggiunse fuori. La strada a destra era ancora bloccata,mentre a sinistra scorgevamo delle figure che emettevano strani versi. L’unica via di salvezza era il mare.Pensammo così di dirigerci al porto. Misteriosamente non c’erano barche ormeggiate;quelle poche che erano raggiungibili erano state troppo danneggiate. La nebbia era troppo fitta per vedere a più di dieci-venti metri oltre la punta del molo. RLG si volse verso la città mormorando “Come ha fatto questo posto a ridursi così?” Ci voltammo e vedemmo in effetti che la Selinunte che conoscevamo non esisteva più:al suo posto c’era solo un triste paese deserto,avvolto in una fitta foschia e circondato da un’aura sinistra.”Già” pensai tra me e me. Giancarlo nel frattempo stava osservando ancora il mare. Quando ci voltammo verso di lui ci indicò un punto in acqua: in un banco di alghe galleggiava, probabilmente ormai da molto tempo, il corpo di un ragazzo che conoscevamo molto bene, Giuseppe Mammana. Il corpo era ormai in preda alla decomposizione, ma erano ben visibili i suoi lineamenti, e oltre a questi, i segni di un’aggressione. “Anche lui……”commentò Guancarlo che lo conosceva meglio di tutti. Ripercorremmo il molo senza dire una parola, a causa anche della vista di altri corpi in mare, purtroppo di gente conosciuta. Ci sedemmo sulle panchine del lungo mare per decidere il da farsi.”Ragazzi, facciamo il punto della situazione”dissi”dal Danimarca non possiamo salire verso lo Zabbara,e per scendere allo Scaro dobbiamo per forza optare per il giro largo” “E quindi?” intervennero gli altri due “E quindi possiamo solo sperare di uscire dal paese dalla via Cavallaio.Potremmo andare alla stazione a vedere se ci sono autobus ancora funzionanti……oppure andarcene semplicemente a piedi” “Beh,vale la pena tentare” disse Giancarlo. E ci incamminammo verso la stazione dirigendoci verso ovest. Arrivati quasi sulla cima della curva, un’automobile ci sfrecciò accanto e si diresse verso la pineta, inseguita da due "cose". Ritenemmo giusto andare a controllare,anche perché avevamo trovato un mezzo di trasporto. Corremmo per qualche minuto e ci ritrovammo di fronte la barra che impedisce l’entrata di veicoli nella pineta: l’auto era ferma con uno sportello aperto,ma del conducente e degli aggressori nessuna traccia. Mentre io e Giancarlo controllavamo l’orizzonte oltre la sbarra, RLG diede un’occhiata all’interno del veicolo: sfortunatamente era senza chiavi ma trovò nel sedile del passeggero una rivoltella e un pacchetto con una ventina di proiettili. A quel punto le cose erano due: o cercare il conducente del veicolo, e fuggire poi con l’auto,o proseguire verso la stazione. Non sapevamo che fare,e RLG suggerì di dividersi in due gruppi. Ma come fare una cosa simile? Solo in tre significava che un gruppo sarebbe stato composto da un singolo elemento……Presi la rivoltella appena trovata “Ragazzi io con questa vado a dare un’occhiata alla stazione……voi state in guardia, al limite provate a difendervi con i coltelli o qualunque corpo contundente vi capiti a disposizione. Ci vediamo qua alla macchina fra un’oretta.” Intanto si era fatto mezzogiorno.

Giancarlo e RLG avanzarono piano verso la pineta. Sentivano spesso fruscii inquietanti provenienti dalle siepi ai lati della strada, altre volte rumori di passi,come se qualcuno li seguisse,ma poi nessuno….Giunsero fino alle scale che conducevano al lido della Pineta,ma ancora nessuna traccia,quando udirono un urlo agghiacciante provenire dal bosco oltre il lido. Poi scorsero delle figure muoversi fra gli alberi e si nascosero dietro degli arbusti sul lato destro della strada. Le due "cose" camminavano strisciando i lunghi e sudici arti a terra. Passarono davanti i due ragazzi che ebbero così la possibilità di guardarli meglio. Avevano una forma umanoide,con entrambi gli arti, superiori e inferiori, gonfi alla fine, come a zampa di elefante, di un colorito roseo striato da vene da cui scorreva sangue nero, come se fossero dei pezzi di carne putrida. Non avevano volto, ma solo du piccoli buchi a metà viso, e una bocca larga quanto la loro "faccia", con più file di denti. In quel momento i due si sentirono il sangue gelare nelle vene ed emisero un gemito che purtroppo venne avvertito da quei mostri: si voltarono verso gli arbusti e fecero dei lenti passi in avanti. I due ragazzi indietreggiarono istintivamente, dimenticando di essere a circa 15 metri di altezza dalla spiaggia sotto di loro…..Caddero giù, rotolando per una trentina di secondi, su un terreno sabbioso con però pericolosi spuntoni di pietra. Nella caduta persero i sensi. Le creature, come se soddisfatte dell’accaduto,se ne andarono senza infierire sui corpi apparentemente senza vita.

Ignaro di tutto ciò io in pochi minuti, abbastanza tranquilli devo dire, arrivai nei pressi della stazione. La zona era deserta oltre che di persone, purtroppo, anche di mezzi di trasporto. Passando accanto al campetto da calcio senti degli strani rumori, come di palleggi.”Chi potrebbe fare una cosa del genere in un momento simile?” pensai. Entrai nel campetto dal buco nella rete, ma non vidi muoversi nessuno. A terra però, vicino un pallone da calcio macchiato di sangue c’era un corpo dagli abiti familiari. Non potevo crederci “Non può essere lui,non è giusto!” e invece purtroppo era proprio il corpo del povero Giuseppe Allegra, ragazzino di Napoli che anche se più piccolo di noi era un nostro grande amico, quasi un cuginetto. Mi voltai per l’orrore e notai che nell’area di rigore c’era del sangue disposto in maniera strana.”Sembrano lettere, una parola” dissi a voce bassa. In effetti avevo ragione o quasi: era un indirizzo “Via Marco Polo N° 108, mmmm, è dove c’è il Pierrot”. Il Pierrot è il ristorante del padre di un nostro amico, Dario Agoglitta, chitarrista capellone e dall’aria un po’ assente. Non sapevo cosa potesse significare, ma una cosa era certa: dovevo dirigermi là. L’oretta era quasi passata così mi diressi verso la Pineta. Pochi minuti di tragitto in discesa e arrivai alla strada d’accesso della pineta. Vidi nella nebbia due figure avvicinarsi a me “Saranno i ragazzi,mi hanno visto” pensai.ma mi sbagliavo. Dall’andamento convulsivo delle due figure capii che non erano i miei amici. Ma era tardi non appena realizzai che erano le due "cose" che avevano inseguito l’auto, una di queste si mise a correre nella mia direzione e mi saltò addosso con un balzo quasi felino. Io d’impulso alzai la rivoltella che avevo in mano e sparai tre colpi di cui due andarono a segno,uno in testa e uno presumibilmente nel petto. Dalla "cosa" schizzò un getto nero e cadde a terra avvinghiandosi. L’altra, probabilmente spaventata o non so cos’altro, scappò via verso il molo. Corsi verso la macchina, ma di Giancarlo ed RLG nessuna traccia. Provai a chiamarli ma fu inutile. Entrai nell’auto, chiusi le sicure e mi concentrai sul da farsi: dovevo andare al Pierrot, ma come?

Da li l’unica soluzione era ritornare alla stazione e da li scendere verso i templi e poi arrivare al Pierrot da dietro;gli altri forse li avrei incontrati per strada. Stetti qualche minuto in auto immaginando il tragitto. Con la speranza che forse gli altri avevano solo avuto un contrattempo, mi morsi un polpastrello e col sangue scrissi sul parabrezza “Sono al Pierrot”. Il dolore non era più nulla in confronto a quello che stavamo passando. Mi allontanai stringendo in mano la rivoltella.

Persi circa un quarto d’ora per arrivare al ristorante. La nebbia era sempre più fitta, e mi parse fosse diventata pian piano notte. La porta del Pierrot era socchiusa: la aprii piano tenendo la rivoltella puntata a braccio teso. Il locale era deserto, e nessun rumore echeggiava nell’aria, tranne un rosichio sinistro. Addentrandomi il rumore si faceva sempre più forte. Capii che la fonte del rumore era dietro l’angolo. Lo girai di scatto,con la pistola puntata, e fui colto da un grande stupore. Non era un mostro a rosicchiare il corpo del povero Dario Agoglitta, ma una persona. Si accorse subito della mia presenza e si alzò in piedi. Fui sconvolto ancora di più: dai capelli e dagli abiti capii che quello davanti a me era il mio amico Ciccio. Era molto pallido, i capelli gli si erano lisciati ed erano ancora più neri; due canini affilati facevano capolino dalla bocca ancora sporca di sangue: sembrava un vampiro. Stava per avvinghiarsi contro di me, quando un vetro si ruppe: una "cosa" gli balzò addosso. I due fecero una capriola e rotolarono per qualche metro. Poi Ciccio si rialzò e saltò fuori dalla finestra, inseguito ancora dal mostro. “Strano” pensai “ Ma non dovrebbero attaccarsi fra di loro……che diavolo sta succedendo, e soprattutto cos’è successo a Ciccio?” Mi avvicinai alla finestra per cercare di capire dove fossero scappati,ma la nebbia impediva di vedere a più di due - tre metri di distanza. Mentre ero ancora voltato sentii la porta dietro di me aprirsi: mi girai di scatto e vidi Giancarlo e RLG fermi davanti a me,ansimando,forse per la corsa, e con alcune ferite sul corpo.Mi raccontarono cosa gli era successo. Perdevano però troppo sangue,così proposi di andare alla guardia medica che, anche se deserta ci avrebbe fornito le medicazioni per i due. Durante il tragitto, che durò solo qualche minuto, gli raccontai della scena a cui avevo assistito. Arrivati alla guardia medica forzammo la serratura ed entrammo. Li era tutto tranquillo,forse anche troppo, ma non avevamo tempo per preoccuparci di questo. Li medicai come potei e, presi da uno strano torpore, ci addormentammo. Era come se quelle poche ore ci avessero stancato come un intero giorno. Fu questo il mio ultimo pensiero prima di perdere completamente conoscenza.

Selinunte, XX Agosto (forse) 2005

Fui l’ultimo a svegliarmi. Giancarlo e RLG erano già in piedi a chiacchierare e a mangiare dei cornetti duri, che avevano preso dal bar Danimarca lì accanto: me ne offrirono uno: era duro e secco, ma era l’unica cosa che c’era. Non so perché ma sia io che loro avevamo la sensazione che fosse passato molto più di una sola notte da quando ci addormentammo.

Mentre discutevamo Giancarlo prese la rivoltella e la puntò verso la porta: si era accorto che qualcuno o qualcosa si era appostato lì dietro. La porta si spalancò piano e ci apparve una figura alta, dalla folta chioma e abiti neri; si reggeva a malapena in piedi, era ferito, era Ciccio. “Allora siete vivi” disse con voce ansimante ma in cui si poteva percepire un tono di sollievo. “Ciccio” urlammo in coro abbracciandolo. Ci svenne tra le braccia, e io lo potei guardare meglio: non aveva più i tratti che avevo notato l’altra sera. Aspettammo un paio d’ore che rinvenisse: ci volle un po’, ma alla fine si riprese del tutto. Ci raccontò che parecchi giorni prima un gruppo di figure incappucciate si era intrufolato in casa sua per prenderlo. Era riuscito a fuggire dalla porta sul piano terra, provò a fuggire fuori città correndo come un pazzo ma la strada che portava fuori città era interrotta da un burrone interminabile e quelli riuscirono a catturarlo. Da quel momento non ricorda più niente. Era strano, ma ci fidavamo di lui, e quindi era vero. Fuggire era impossibile. Uscimmo anche per prendere un po’ d’aria "fresca". Selinunte era davvero deserta stavolta: neanche le urla o i muggiti delle "cose" che sentivamo di solito. In un modo o nell’altro tutte le strade erano bloccate. Rimanemmo a camminare senza niente di cui curarsi fino a sera, in cui si concluderà la nostra storia. Saranno state le sei del pomeriggio. Eravamo sulla spiaggia dello Scaro, e un rumore sinistro ci accompagnava, come di racchettoni di legno. Ci avvicinammo alla fonte del rumore. A pochi metri il rumore cessò, e Giancarlo inciampò su una carcassa. Guardando meglio a terra notammo che i corpi erano due. Sembravano due anziani. In quel momento il sole cominciò a tramontare. Niente di strano se non fosse che Ciccio cominciò a mugugnare. Cadde a terra. RLG andò per rialzarlo, ma lo lasciò subito: lo aveva visto in volto, e non era più quel Ciccio. Era come lo avevo visto io giorni prima. Saltò addosso al mio amico, ma Giancarlo ebbe il tempismo di sparargli alle gambe. Lo pseudo - vampiro cadde a terra,ma non sembrava demordere. Noi scappammo senza guardarci indietro e ci rifugiammo di nuovo alla guardia medica, e ci barricammo dentro.

“ Non vi lascerà in pace fino a quando la sua sete di sangue e di vendetta non si sarà placata” disse una voce dietro di noi. Nella penombra era seduto un tizio incappucciato. “Chi sei?” gli chiesi. “Il mio nome non ha importanza. Ma sono un membro del XII Ordine”  “ E che diavolo è?” chiese Giancarlo. “ E’ un gruppo formato da persone che conoscono i segreti dell’occulto meglio di ogni altra cosa; nel mondo accadono tanti fenomeni inspiegabili alla scienza moderna, ma non alla scienza dell’occulto. Noi siamo i suoi scienziati” “E allora sapreste dirci cosa succede qui?” disse RLG. “ E’ una storia lunga: anni fa una bambina….” “ Elizabeth Smith immagino….” dissi io. “Bene,sapete già la storia. Quella bambina non scomparse misteriosamente: venne rapita da quello che voi conoscete come sig. Di Mario” “Il putiaro l’avrebbe rapita?” “Rapita e stuprata per essere esatti. Dopo che il simpaticone si divertì con la ragazzina, in una giornata di nebbia la gettò fra gli scogli del molo. Ma la bambina non morì sul colpo. Le onde la trasportarono sulle rive del Lido Zabbara, dove venne trovata e portata in ospedale. La bambina era però in stato comatoso e i genitori la lasciarono qui in ospedale. Ma anche se senza conoscenza, Elizabeth nel suo profondo provava un odio smisurato verso la persona che la condannò a quello stato pietoso e il paese in cui avvenne. Un odio incommensurabile covato per ben vent’anni, che adesso si è rovesciato fuori e scaraventato verso questa piccola e ridente cittadina” Stette poi in silenzio. Noi non potevamo credere a ciò che sentivamo, ma in effetti era la spiegazione più "sensata". “Ma voi cosa avete fatto a Ciccio? Perché lui è così e noi no?” chiesi.”Purtroppo il vostro amico è servito al nostro rito per eliminare il male….Era il più adatto. Attraverso arcane formule abbiamo imprigionato tutto l’odio di Elizabeth dentro di lui. Ma il male si fa vedere solo di notte. Se riuscissimo a ucciderlo in quello stato porremmo fine a tutto, alla vendetta della piccola. Altrimenti questa si espanderà verso i paesi vicini. Ma gli unici che possono fermarlo sono i Ghoul, mostri informi che attaccano qualunque cosa dia segni di vita: una soluzione inumana, ma indispensabile. Strano come voi siate rimasti vivi in tutto questo, ma probabilmente è stata solo fortuna. O sfortuna. Ora il vostro amico vi cercherà accecato dall’odio. E io non posso aiutarvi”. Detto questo scomparve avvolto da un’aura nera.

Non parlammo per ore. Ognuno in silenzio commentava nella sua mente quello che avevamo appena udito. Io in un vecchio portatile trovato lì decisi di mettere per inscritto gli avvenimenti di questi ultimi giorni.

Lo sento, è vicino, ci ha fiutati, o forse ricorda solo che questo è il nostro nascondiglio………I suoi passi……….carichiamo la rivoltella, impugniamo i coltelli……..forse possiamo salvarci…….

FINE

Questa ragazzi è la prima storia che scrivo una parodia di Silent hill ambientata in un piccolo paesino della Sicilia.. Non tutti posso apprezzarla al meglio, non conoscendo i luoghi in cui ambientata e i personaggi che li abitano, ma spero comunque che vi abbia appassionato anche solo un po’, che vi abbia trasmesso qualcosa. Questo racconto è stato iniziato con la supervisione dei veri RLG, Giancarlo e Ciccio, ed è dedicata a loro e a tutti i miei amici di Selinunte, primi fra tutti Peppe "Cagliari" e Martino,Gioacchino, Giorgio, Gigi, Piero,Renato, Dario,Alessia,Martina,Testa di Mela,la Meretrice Francesca e Flavia (complimenti per la serie C?).Un saluto a tutti e arrivederci a "Selinunt Evil"

Riccardo "Zoro" Marino

Selinunte 20-08-2006

   
 
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