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Autore: C r i s    27/03/2012    2 recensioni
Se una maschera riuscisse a modellare le nostre azioni, saremmo in grado poi di fermarci?
I gesti divengono lo specchio di ciò che siamo, di ciò che abbiamo e di ciò che vorremmo. Ma se quei gesti sommergono la vita di menzogne, qual è la migliore strategia per far sì che l'inganno non combaci con la realtà?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia ha partecipato al Contest indetto da Elle, Cinzia e Lela. Grazie dell’opportunità!

 
Cris' Corner.

Preferisco inserirlo prima della storia, quest'angolo e cercherò d'essere breve! Quando ho scritto questa storia, non ho immaginato nessun volto al quale potessi legare questa lei. È scivolata sulla carta da sola e ha mosso piccoli passi, rappresentando quello che mi frullava per la testa. Ognuna di noi nasconde una piccola parte di sé, probabilmente la parte che più ci rappresenta, e la terremo per noi, quel giorno in cui avvertiremo d’esserci smarrite. Le difficoltà sopraggiungono, destabilizzandoci, e, per quanto una mano amica possa tendersi nella nostra direzione, siamo pur sempre noi a doverla afferrare e darci una piccola spinta, per rialzarci in piedi. Per cui, il mio messaggio è: abbiate fiducia nelle vostre capacità, ognuno può distinguersi nel mondo, e non grazie a delle maschere.


 

Inganno.
 

.Le donne hanno una maschera per ogni occasione.


 









 

Hai sempre desiderato d’essere qualcun altro.
Ogni mattina lo specchio ha dimostrato ai tuoi occhi ciò che la vita può permettergli e da quegli stessi occhi, piccole lacrime hanno sgomitato verso la luce, combattendo con la forza costante delle catene che, impassibili, hanno sostenuto la fedeltà del buio.
Hai asciugato quegli occhi, promettendoti che il domani avrebbe portato una guantata d’armonia in quelle iridi smorte, ma consapevole che quel domani non sarebbe mai giunto, giacché mai voluto realmente da te.
Hai inforcato la tua felpa anonima, specchio della tua stessa espressione, e sei sgattaiolata fuori di casa. Hai osservato strade, semafori, negozi, persone allo stesso egual modo: sono numeri, così come lo sei tu, per loro.
E hai guardato con la medesima espressione coloro che, come amici, si spacciano per parte del tuo mondo.
La bellezza che regna in te annaspa nell’oceano di maschere che compongono la tua persona, la realtà smarrisce la bussola per emergere dall’oscurità e il tuo cuore singhiozza, per ripristinare un battito abituato alla menzogna, da te impostagli.
E ora la osservi, quella figura.
Disegni, con la carezza di uno sguardo, il volto smunto dall’entusiasmo. Una volta era così bello toccarlo, assaporarne la consistenza e pensare che nulla fosse più bello che quell’entusiasmo dipinto di rosa sulle tue guance.
Le labbra rosse e piene di un tempo salutano con una smorfia indefinita il passato e realizzano il presente, definito da crepe e morsi minuscoli, inflissi sulla tua carne, come un castigo automatico. Il violaceo che contorna il tuo sguardo non demorde, s’intensifica man mano che i secondi trascorrono e succhiano via l’entusiasmo che ti ha caratterizzato, tempo addietro. Le dita palpano una tempia, scorrono lungo le ossa del viso e sfiorano una ciocca di capelli, libera dalla prigionia costante del fiocco. Il bronzo ricade sulle tue spalle, scruti con parsimonia il risultato di attenzioni meticolose che hai riposto in loro per ore e ore e intrecci una ciocca sull’indice.
Cosa stai diventando?
Hai sempre definito che la bellezza appartenesse a chi fosse determinato a esporre il proprio cuore, a chi di segreti non ne avesse, a chi, nonostante le circostanze, riuscisse a sostenere il mento alto e combattere la propria battaglia senza mai chinare il capo.
E non è ciò che hai fatto tu.
Eri bella, un tempo. Amavi le tue rotondità, quei capelli chiari che sottolineavano la tua carnagione pallida, quello sprazzo di lentiggini che addolcivano i tuoi lineamenti, quelle felpe dai colori sgargianti che riflettevano l’allegria dei tuoi occhi.
Ora non hai rotondità, non hai l’oro nei capelli e camuffi le imperfezioni del viso con cumuli e cumuli di trucco, incurante dei danni che stai provocando alla tua vita. L’anonimità di cui ti sei circondata nuoce al tuo cuore, eppure anestetizzi il dolore, fingendo che sia soltanto questione di tempo.
Ma sai che non è così.
Credi che sia questa, la bellezza. Lo specchio può appoggiare la tua illusione, può farti credere che dinanzi a lui ci sia ciò in cui tu speri, ma quanto puoi essere sorda ai richiami della realtà?
Perché non è così che provi amore per te. Non è così che la gente dovrebbe provare ammirazione, per te. Non è così che dovresti provare orgoglio; e lo sai.
Non demordi.
Hai lavorato a lungo per questa sera e ti prefiggi di non lasciarti andare. Per una notte, desideri sfruttare ciò che sei diventata, per riscattarti della sofferenza immagazzinata nel cuore.
A nessuno importa ciò che sei, fino a quando non diventi qualcuno. E, per qualcuno, la gente intende un prototipo di se stesso. Comincia a guardarti, non appena in te riconosce il bizzarro o il simile; talvolta bizzarro e simile coincidono e non hai la percezione di cosa sia bene o male in entrambi i casi. Tu hai deciso di prendere il simile e sfiorare il bizzarro, consapevole che, assumendo queste due qualità, avresti ottenuto la vittoria.
Ma a quale prezzo?
Per loro, non eri nessuno e, per loro, hai deciso di diventare quel qualcuno, di cui mai saresti stata fiera.
Non meritano le mie lacrime, ti sussurrasti una volta. Lo ripetesti ancora e ancora, osservasti il tuo riflesso sciupato e risucchiato dall’effetto della crudeltà nella tua vita e decidesti, in un impeto di rabbia, di divenire chiunque avessero voluto che tu fossi. Rimboccasti le maniche di una nuova giacca, cambiasti colore e taglio di capelli, perdesti giorno dopo giorno massa fisica fino a divenire la metà di quella che eri un tempo. E, i primi a risentire di questo cambiamento, furono i tuoi occhi. La luce si spense dentro di essi, fino a divenirne un ricordo lontano.
Gli stessi occhi che ti piacevano tanto, di quel marrone liquido, intenso, profondo, che mai avresti cambiato, in altre circostanze. Il cambiamento avviene, talvolta del tutto radicale, talvolta distribuito a dosi; e, in entrambi i casi, provoca la perdita di una parte di te, forse la migliore.
Una veste bianca ricade sul tuo corpo, copre le innumerevoli smagliature che testimoniano la valenza dell’orgoglio insediata dentro di te, mentre i capelli, rappresentati da una massa indomabile di ricci, accarezzano la schiena. Mai portati così lunghi, noti con una morsa allo stomaco. Una piccola corona d’alloro regna sul capo e la sistemi in un gesto accurato, programmato nei minimi dettagli. Muovi le dita dei piedi nei sandali raso terra, legati lungo le gambe da fili di cuoio, e chiudi gli occhi.
Quando li riapri, dinanzi a te compare l’immagine di una perfetta sconosciuta, che questa sera porterà un filo di giustizia nella tua vita.
 
 
Lui ti scruta, con un sorriso dipinto sulle labbra. E sai che quel sorriso non proviene dal cuore, bensì dalla sua indole ricolma d’oscurità.
Ti sorride, trasmettendoti l’insicurezza che si annida e si espande nel tuo animo come una macchia d’olio, contamina in maniera definitiva il tuo cuore e lo impregna di un’oscurità mai conosciuta prima.
E, nonostante tutto, sai di non poterlo odiare. Non sai cosa significhi un simile sentimento e nonvuoi saperlo. Ma una piccola voce, ridotta a un sussurro, preme contro il tuo orecchio, suggerendoti che è quella sensazione d’inadeguatezza a ridurre i tuoi propositi positivi, che è quel sorriso a dimostrarti quanta poca stima ci sia in giro per te.
«Non m’interessi», arriva come una pugnalata ad orecchie, testa, polmoni, cuore.
Una frase talmente piccola da sembrare innocua, eppure contenente il fulcro dell’oscurità che ha preso possesso del tuo cuore e delle tue azioni.
Ripensi ai primi sorrisi, di quelli gentili, di quelli curiosi. Alle prime attenzioni, così spontanee e genuine. Ai primi momenti in cui la soddisfazione regna incontrastata, laddove altro non esiste se non una luce talmente accecante da farti chiudere gli occhi e trasmettere concetti tramite la semplice forza di un sorriso.
«Non credo d’aver mai provato interesse alcuno per te»,grossi macigni si scagliano contro la tua testa, copri le orecchie, sperando che cessino d’assillarti, ma non smette.
«Come nessun altro».
Le tempie pulsano, il sangue circola in maniera eccessiva lungo le vene e i tuoi occhi si nascondono dalla verità, che pungola il cuore con un coltello dalla punta aguzza.
«E se ti stai chiedendo il perché, guardati».
Uno specchio. Dalla forma ovale, dalle rifiniture accurate e dal vetro sottile. Compare dal nulla e ti si presenta dinanzi al viso. E ti osservi. Per la prima volta, capisci davvero che in te c’è qualcosa che, agli occhi degli altri, non va. I capelli legati verso l’alto, il viso paffuto e le labbra troppo grandi. Il collo soffocato dal mento rigonfio e le lentiggini troppo numerose per passare inosservate.
È questo che la gente nota, appena mi guarda?,il pensiero ti tormenta, diviene un ossessione che ti spinge a scostare il tuo riflesso.
Odio.
Il sentimento si accende dentro di te come una fiamma e divampa, distruggendo onore e rispetto per te stessa. Ovunque si abbatta, consuma le tegole di legno della tua persona e sparge cenere sul tuo animo disintegrato.
Lui sorride, non ha mai smesso di farlo, perché ne ha motivo.
«Non sei neppure all’altezza di guardarmi in faccia».
Il tuo cuore si convince d’essere inferiore, di non poter sostenere alcuna competizione, dinanzi a tale evidenza. Sai che, come lui, tutte le persone di cui ti circondi avranno la superbia di riservarti quello sguardo e quel sorriso e riconosci di non avere il coraggio di sopportarlo ancora.
«Quando lo sarai, potrai dimostrarmi che avevo torto. Fino a allora, ricordati che lo specchio non mente».
 
 
E lo specchio non ha mentito.
Ti dimostra costantemente che cedere alla tentazione della vendetta è stato un gesto stupido, ti ha privato di tutto ciò che ti ha sempre distinta dalla massa, ha spento la luce d’armonia nei tuoi occhi e riflette ciò che ormai sei diventata per te stessa: una sconosciuta, senza arma e senza lode.
L’unica cosa che sai è che questa è la tua sera.
Che lì, sul letto, una maschera aspetta soltanto d’essere indossata e che, pur non avendo intenzione di svelare le carte, avrai la tua rivincita. Camminerai a testa alta tra le persone che hanno incendiato la tua vita e cospargerai la benzina sulle loro teste, affinché possano soffrire tanto quanto hai sofferto tu, con lo scoppio di una piccola miccia.

***

 
 

Cammini tra la folla, con un bicchiere di spumante tra le mani.
Dietro la maschera, i tuoi occhi lavorano per riconoscere il momento adatto per agire. Riscontri un ammasso indefinito di maschere, cumuli di persone che, come te, per una sera vogliono essere diversi.
Riconosci Emily, in un angolo, seduta su una poltrona, in compagnia di un uomo dal mantello di velluto e dagli stivali neri. Le sue labbra sono contornate di rosso e il sorriso non l’abbandona neppure per un attimo. Sorride, com’è solita fare, per dimostrare che lei tutto può. E, questa sera, ribadirà il concetto.
Riconosci Laila, con indosso delle orecchie da coniglio, che passeggia nella sala con una finta disinvoltura, mentre una maschera cela i suoi occhi intimiditi. Sai che cercherà d’insabbiare i suoi ostacoli mentali per vivere delle circostanze diverse, quella sera. Proprio come te.
Riconosci Piper, con una maschera rossa in viso, che balla al centro della pista in compagnia di un uomo. Gli stringe le spalle con una debole presa e si guarda attorno, come se sentirsi al centro dell’attenzione le provocasse fastidio; invece le piace. Perché Piper non è mai osservata, non è mai soggetta a un complimento e il pensiero che per una sera, invece, il fulcro dell’attenzione sia lei, la inquieta, ma la elettrizza al tempo stesso.
Tutto per una maschera.
L’amarezza s’insidia in te, per un attimo. E ti chiedi, per quale motivo bisogni camuffarsi dietro della plastica, per sentirsi realizzati. Per quale motivo, tu non possa sentirti fiero di te stesso, giorno dopo giorno.
Le tue riflessioni sono interrotte, non appena incontri lo scopo del tuo cambiamento. Le fiamme divampano dentro di te, così come l’ultima volta. Eppure gestisci l’incendio e lo senti affievolire, soppresso dalla forza di volontà che smuove le gambe e le porta nella sua direzione.
Lui è immobile, con un calice sospeso in aria e un sorriso divertito sulle labbra, mentre intrattiene i propri minuti in una conversazione scialba con una donna dai capelli rossi e mossi.
Senza inibizioni, poggi una mano sul suo braccio, senza sapere d’aver catturato la sua attenzione sin dal tuo ingresso. I suoi occhi strabuzzano dall’inaspettata visita, scruta con attenzione la tua maschera, ma è fin troppo cieco per accorgersi che lì ci siano i tuoi occhi.
Com’è sempre stato.
Non sta guardando te, con quel sorriso. Guarda l’idea di una perfetta estranea. Ed è quello che vuoi.
Ricambi il sorriso e lo inviti, taciturna, a un ballo. La rossa osserva indispettita la sua mano che si muove verso la tua, per stringerla e condurla verso la pista da ballo. Poggia l’altra, libera, sul tuo fianco e conduce i vostri corpi al ritmo della musica, annusa, senza dare nell’occhio, il profumo di cannella che emanano i tuoi capelli e un ennesimo sorriso sfugge dalle sue labbra.
Ti stai insediando nella sua mente, fai leva sulla sua curiosità e non ti esponi più del dovuto. Sai che è questo che gli piace, come uno scontro di caccia: inseguire la preda, raggiungerla, leggere nei suoi occhi il timore d’essere conquistata e, nell’atto, strapparle anche l’anima, per poi gettarla in un turbine d’inutilità.
Questa sera, sarai tu il cacciatore e lui la preda.
«Coincidenza notevole, seppur situazione bizzarra: Apollo e Dafne nella stessa stanza ed è Dafne a raggiungere Apollo», sussurra al tuo orecchio, senza abbandonare il tono ilare che l’ha sempre contraddistinto.
Ti limiti a sorridere, perché a lui non piacciono troppe chiacchiere.
E questa sera farai tutto ciò che è in tuo potere per assecondarlo.
La vicinanza ti priva del respiro, non provi alcuna attrazione nei suoi confronti, ma semplice desiderio di sopprimere quel sorriso e tutto ciò che abbia a che fare con i tuoi ricordi.
«Ti ho notato da quando sei arrivata», confessa con malizia, confidando nel fatto che sia stata tu ad avvicinarsi e che sia tu quella interessata.
Hai notato i miei occhi?, è la domanda retorica che echeggia nei tuoi pensieri.
Pur sfilando la maschera, non l’avresti fatto. È la risposta che ti concedi, senza delusione.
«Sarei arrivato io da te, alla fine», prosegue imperterrito, lasciando che la presa sul fianco aumenti, per poi scivolare lungo la schiena.
Alzi il mento nella sua direzione, i vostri sguardi non combaciano: è troppo intento a scrutare le tue labbra, risaltate da un velo di gloss, che sai perfettamente quanto gli piaccia. La tentazione s’impossessa di lui, lo osservi in balia degli istinti e soffochi un ghigno di vittoria, non appena sporge la sua bocca verso di te e porti il capo all’indietro.
Prosegui nella danza, incurante della sua lieve irritazione.
«Stai cercando di provocarmi, ninfa?», la mano sale lungo la spina dorsale, fino ad agguantarti la nuca, e soffochi un brivido di repulsione.
È questione di tempo, continui a ripeterti per somministrarti forza.
Le sue labbra sgusciano lungo il tuo orecchio, per cadere sul collo latteo. Socchiudi gli occhi e soffochi l’impulso di fuggire, non appena le sue labbra entrano in contatto con la tua pelle. Lui non percepisce la tua tensione; non gl’importa di te.
Scansi con docilità le sue labbra, poggi una mano sul suo petto, fasciato da una stoffa bianca leggera, e sorridi, un sorriso che prelude che lui ti seguirà.
Indietreggi e gli porgi le spalle, mirando alle tende bianche che svolazzano, a causa dell’aria notturna. Senti il suo sguardo folgorarti la nuca e procedi, con il sapore della vittoria sul palato. L’aria della notte infligge la sua presenza sul tuo volto, non appena abbandoni alle tue spalle il chiacchiericcio delle persone e ti esponi al silenzio dell’aria.
I suoi passi ti raggiungono e sai d’aver ottenuto ciò che volevi.
«Cos’è, giochiamo al gatto e al topo?», l’irritazione è appena udibile nella sua voce.
Per quanto abbia cercato di negarlo, si è lasciato conoscere più di quanto abbia creduto possibile e tu ne sei consapevole.
Inclini appena il capo, sei tentata di sfilare la tua maschera, ma non lo fai.
Come se fosse la maschera, la fonte della tua forza.
«Non avrai intenzione di trasformarti in una pianta da giardino», ironizza, lui, nella sua beata ignoranza.
E, dal tuo canto, rabbrividisci per la cruda verità delle sue parole.
Hai cercato di cambiare, affinché fosse lui a riuscirne leso. Invece, sei stata coinvolta tu e soltanto tu.
Lui tornerà a casa questa sera, ci dormirà su e domani tornerà in pista, cercando d’infrangere altri cuori. E il tuo, invece? Potrà ricomporre i cocci o dovrà prendere in considerazione l’idea di restare un prodotto difettoso per tutta la vita?
«L’ho già fatto», è la tua replica.
Ruoti nella sua direzione e ti concedi il lusso di guardarlo dritto negli occhi.
Ma lui non capisce, non può capire.
«E non ne sono fiera. È stata la disperazione a portarmi a questo punto. Non credo tu possa mai capire cosa significhi», la voce è dura, le imponi un tono fermo, composto, perché sai che è così che dovrà essere. «Conosci la mitologia greca, no?», fai leva sulla sua istruzione precaria e pieghi le labbra in una smorfia divertita, notando la sua espressione irritata, dalla breve umiliazione inflittagli.
«Non sarei conciato in questo modo, altrimenti», ribatte lui, convinto delle sue parole futili.
«Allora saprai anche il significato del mio costume», una per una, quelle parole assumono un significato ben delineato nella sua mente, eppure continua ad ostentare, attende che sia tu a illuminarlo.
«Non pretendo nulla da te», porti le dita lungo il fiocco della maschera, sfiori il tessuto con il timore che, togliendola, tutto il coraggio acquisito possa scomparire.
Non demordi, non puoi farlo.
Non sarà una maschera a renderti una donna.
«Dafne ha rinunciato a se stessa, pur di sfuggire ad Apollo. Si è annullata, perdendo completamente la concezione del bene e del male. Ha reagito seguendo il buio annidato dentro di sé, con la speranza di sfuggirgli. Ed è così che mi sono ridotta», la maschera cade, così come tutte le tue convinzioni, le tue ragioni.
Non è il coraggio a mancare, ma la volontà. Tutto ciò in cui hai creduto fino ad ora, viene spazzato via nel momento in cui la maschera sfila via dal tuo volto. Hai timore dello specchio, perché sai di non riconoscere te stessa nel suo riflesso.
Era così bello quando prima potevi farlo, vedere le tue imperfezioni e sorriderci su, quando sfioravi una a una le tue lentiggini e pensavi a quanto fossero buffe.
Non avrai più quell’innocenza, non tornerà più.
Ma se ci lavorassi su?,è ciò che pensi in un attimo d’illuminazione.
Non è mai troppo tardi per imparare a conoscersi; la gente compie questo passo ogni giorno, imparando a esplorarsi e cogliere una sfaccettatura diversa in ogni singolo passo mosso.
Alzi gli occhi e lo scruti, senza maschere, senza finzione, senza inganno.
E lui scruta te, senza avere la minima impressione di chi tu sia.
Continua a vedere una sconosciuta e sai il perché: non ti ha mai conosciuta.
E ne sei felice.
Felice perché non hai nulla da perdere, nulla da rimpiangere. Hai tutto il tempo a disposizione per dedicarlo a te stessa.
Ti avvicini con passo leggero e gli depositi la maschera tra le mani.
«Le persone sono troppo legate alle proprie convinzioni. Se avessi accantonato i tuoi preconcetti, a quest’ora né io né tu saremmo stati qui, l’uno di fronte all’altro, senza avere la benché minima idea di chi fossimo».
E ti allontani, gli poni le spalle, con la compostezza di chi crede in se stessa e di chi pone fiducia nel suo sorriso, nei suoi movimenti, nei suoi pensieri.
Lo accantoni, conscia del fatto che sì, quella sera tornerà a casa, come ogni altra sera, e penserà a quest’incontro, incapace di domare il fuoco della curiosità e del rimorso; impotente, dinanzi l’impossibilità di tornare indietro e colmare i propri dubbi.
Gli occhi svolazzano per l’intera sala e tornano di nuovo su Emily, seduta nella stessa identica posizione di prima, a sorseggiare dal proprio calice, in compagnia di un uomo diverso, travestito da giullare di corte. Questa volta il suo sorriso è tenue, quasi intenerito dal discorso che stanno trattando.
Laila è davanti al tavolo del ricevimento, con una tartina tra le dita, che intrattiene una discussione con i tre moschettieri. Sembra convinta delle proprie idee e le maneggia con fierezza.
E Piper, in compagnia di alcune principesse medievali, propina loro dei consigli sulle acconciature del tempo storico, accompagnando il discorso con deboli movenze delle braccia e un sorriso soddisfatto sulle labbra.
È proprio vero che le donne hanno una maschera per ogni occasione.
Anche tu l’hai avuta.
Hai avuto una maschera sul volto fino a ora, celando ai tuoi occhi chi realmente fossi.
Te ne sei liberata, però.
Per quale motivo aspettare che sia un mezzo indiretto a realizzarci?
Il coraggio dev’essere imposto da ciò in cui crediamo, non da ciò che può proteggerci. E talvolta l’esperienza ne varrà la pena, commettere errori per poi tornare sui propri passi, scegliere una direzione anziché un’altra per poi accorgersi di dover tornare nuovamente al bivio e imboccare l’altra. E nessuno saprà se sarà mai quella giusta, potrebbero essere entrambe sbagliate, ma in fondo, sono poche le cose alle quali non puoi sfuggire e, fin quando vuoi essere tu l’artefice del tuo destino, chi ti vieta di modificare il corso dei tuoi eventi?
Stringi le mani attorno alle braccia per proteggerti dalla brezza della sera, scendi le scale dell’edificio ricolmo di luci e musica, il mormorio delle chiacchiere abbandona le tue orecchie fino a divenire un ricordo lontano e, per un ultimo istante, ti concedi di rivolgere uno sguardo al passato.
Perché è lì che giacerà.
Con sorpresa, scruti la figura di lui, inerme in cima alle scalinate di marmo, che sorregge la tua maschera. E sai che sarà l’unica cosa di te che gli apparterrà. Gli hai rilasciato tutto l’odio che ti ha trasmesso, gli hai restituito l’oscurità che è permeata dalle sue parole e hai sentito il peso sulle spalle svanire, come se un’enorme montagna si fosse sgretolata, sotto un semplice sbuffo di vento, davanti ai tuoi occhi.
E un sorriso di gratitudine affiora sulle tue labbra. Estrai dalla piccola borsetta legata al polso un cerchio, che si rivela essere uno specchio, talmente piccolo da camuffare la propria esistenza.
Eppure ti osservi, dopo tanto tempo, e riesci a percepire in te la parvenza di una persona, e non di un’anima incolore.
Adesso sei libera dal tuo stesso inganno e puoi sorridere, un sorriso di quelli veri, quando ti osservi.
Quelle lentiggini, tutto sommato, non sono così male.

 
 

Fine.

   
 
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