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Autore: Flaqui    27/03/2012    5 recensioni
La seconda volta, però, era stata la peggiore.
Il vento era così forte, quella sera, che avrebbe potuto mettersi a gridare senza che nessuno lo sentisse.
Così, almeno, gli aveva detto Charlie.
Non gli piaceva quell’uomo. Era davvero troppo loquace e a lui non piacevano i chiacchieroni. Era una delle poche cose che sua madre gli aveva fatto presente.
Non fidarti di quelli che non sanno controllare la loro bocca.
E Charlie parlava decisamente troppo. Lui, invece, non era riuscito ad aprire bocca, terrorizzato come era. Un groppo di panico gli aveva attanagliato la gola, come se un pugno invisibile gli avesse stretto una morsa intorno al collo.
Era la sua prima vera missione, quella.
Era la sua prima vera missione, quella.
Alla C.C. era arrivato da quasi un anno. I primi mesi era stata dura. Franka pretendeva la perfezione, quando parlavano, quando lottavano, quando mentivano.
Franka voleva tutte le mosse giuste.
Niente sgarri.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutte le mosse giuste

 

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La mano la prima volta che successe non voleva smettere di tremare, continuava a farlo senza che potesse fare nulla per fermarla. E lui sentiva gli occhi bruciare, e si impose di non piangere, di non farlo, perché lo sapeva che quando bruciavano in quel modo volevano solo riversare le loro lacrime e affidare un po’ di dolore.
Ma un ragazzino di tredici anni che ha appena ucciso un uomo di quaranta non può permettersi di piangere. Non può mostrare debolezza. Questo lo sapeva.
Era cresciuto in strada, lui. Sapeva cosa erano la fame, il freddo, il dolore. La solitudine.
Poi era arrivato Michael e le cose erano cambiate.
Erano amici, loro. Per quanto possono essere amici due ragazzini che, egoisticamente parlando, dovevano semplicemente preoccuparsi di sopravvivere. E si trovava bene, con lui.
Michael aveva i capelli rossi, rossi.
Ginny, la figlia del fornaio che a volte dava loro un po’ di panini, quelli bruciati che non voleva nessuno, lo chiamava “Pel di Carota”.
Michael quando le parlava arrossiva tutto, diventava più scarlatto dei suoi capelli, balbettava e giocherellava con le mani. E poi iniziava a ridere, emettendo degli squittii troppo acuti. Luca lo prendeva sempre in giro, diceva che sembrava una ragazzina innamorata.
E ora non c’era più.
Per colpa di un idiota con un coltello che si era ubriacato troppo e l’aveva scambiato per un cassonetto dell’immondizia, gettandosi addosso. Luca era rimasto paralizzato, fermo nella pozza di sangue, a guardare gli occhi di Michael, marrone cioccolato, che si affievolivano sempre di più.
Aveva preso il coltello dal pavimento e l’aveva usato contro l’ubriaco. Era stato un atto di difesa, si era detto, per tranquillizzarsi, anche se non era così. Perchè l’ubriaco era crollato per terra e sembrava quasi dormire, quando l’aveva colpito.
E poi, semplicemente, si era messo a correre.
 
 
La seconda volta, però, era stata la peggiore.
Il vento era così forte, quella sera, che avrebbe potuto mettersi a gridare senza che nessuno lo sentisse.
Così, almeno, gli aveva detto Charlie.
Non gli piaceva quell’uomo. Era davvero troppo loquace e a lui non piacevano i chiacchieroni. Era una delle poche cose che sua madre gli aveva fatto presente.
Non fidarti di quelli che non sanno controllare la loro bocca.
E Charlie parlava decisamente troppo. Lui, invece, non era riuscito ad aprire bocca, terrorizzato come era. Un groppo di panico gli aveva attanagliato la gola, come se un pugno invisibile gli avesse stretto una morsa intorno al collo.
Era la sua prima vera missione, quella.
Alla C.C. era arrivato da quasi un anno. I primi mesi era stata dura. Franka pretendeva la perfezione, quando parlavano, quando lottavano, quando mentivano.
Franka voleva tutte le mosse giuste.
Niente sgarri.
La casa in cui stavano per entrare era di una persona importante. Un francese che aveva qualcosa che sarebbe servita ad uno dei tanti scopi e progetti dell’organizzazione. Luca non sapeva cosa fosse, ne perché ne avessero bisogno.
Franka gli aveva detto che prima o poi gli sarebbe stato tutto rivelato ma che, per il momento, si sarebbe dovuto semplicemente attenere agli ordini assegnati.
Erano entrati in giardino. Era grande e ben curato, si poteva notare anche nell’oscurità. Le siepi di tasso delimitavano i confini della bella dimora gentilizia con le vetrate a rombi. Luca era rimasto a guardare l’ingresso, affascinato ma, dopo uno spintone particolarmente forte da parte di Charlie, che gli stava dietro, impaziente, aveva preso a camminare furtivamente come gli aveva insegnato Franka.
La casa, dentro, aveva una grossa scalinata centrale, bianca di legno, che portava ai piani superiori.
-Dividiamoci- aveva detto Charlie –La borsa è nel laboratorio. Oppure nello studio. Io vado di sopra, tu vai sotto-
Luca aveva annuito e, quando l’altro si era allontanato, si era diretta con passi veloci verso la terza porta a destra, quella dello studio, proprio come nella mappa che Franka gli aveva fatto studiare a memoria nell’ultimo mese.
La porta era stranamente socchiusa e Luca si era mosso con maggiore attenzione, insospettito. Uno che si aspetta di essere derubato da un’associazione mafiosa non lascia la porta del suo studio aperta.
In ogni modo la stanza era vuota. Con una rapida occhiata aveva adocchiato la scrivania, nel centro della camera. Sul piano in legno massello c’erano delle foto. Il francese con una ragazzina e con un bambino.
Ha dei figli.
Non che abbia importanza.
Non ne ha mai.
E, proprio sotto la scrivania, in un cassetto a scomparsa, la valigetta per cui erano venuti. Si avvicinò lentamente, cercando di ideare un piano per impossesarsene senza doverla toccare a mani nude. Se l’avesse fatto sarebbe scattato l’allarme e tutto sarebbe finito male.
-Fermo dove sei!-
La voce l’aveva fatto gelare sul posto. Un uomo. Un nemico.
-Voltati lentamente e solleva le mani.
Si era voltato, il terrore che lo scuoteva nel profondo, il cappuccio calato a coprirgli il viso. Non avrebbe funzionato a lungo, però, e sperava con tutto il cuore che Charlie, magari chiedendosi perché ci metteva tanto a tornare, venisse a cercarlo.
-Togliti il cappuccio-
Era un poliziotto. Forse. Aveva una pistola, comunque. E, al momento, stava boccheggiando sorpreso nel ritrovarsi davanti un ragazzino, invece che un efferato omicida, come probabilmente si aspettava.
-Ma sei una ragazzino…- aveva sussurrato, infatti –Dove è il tuo complice?-
-Sono solo-
-Non è possibile che mandino…- Si era bloccato, mentre aggrottava ancora di più le sopracciglia –Quanti anni hai?-
-Sono solo- aveva continuato a ripetere lui, troppo impaurito e immobile per provare solo ad articolare un suono differente.
L’uomo aveva scosso la testa. Sempre tenendolo sotto tiro l’uomo aveva portato alla bocca la sua ricetrasmittente e aveva sussurrato che gli servivano rinforzi. Poi aveva snocciolato nervosamente l’indirizzo. Luca si mosse nervosamente.
Se solo si fosse avvicinato. Non poteva attaccarlo da quella distanza. Per non parlare poi di quella pistola ancora puntata verso di lui.
-Come ti chiami?- l’agente era insistente. Luca, però, aveva serrato le labbra e quello aveva stranamente sorriso. –Okay. Non me lo vuoi dire. Io sono Nicolas. Ho una figlia della tua età… dovresti avere sui quattordici anni, vero?- non aveva abbassato la pistola, ma le sue difese si. Lo si leggeva dalla postura. Luca fece un impercettibile passo in avanti. –Senti, non so come sei finito in questa situazione, ma può finire diversamente. Può non finire male.
L’uomo aveva guardato la valigetta che ancora stringeva convulsamente. –Devi solo darmi una valigetta. Andrà tutto bene, avanti. Lo vedo che sei spaventato-
Luca non era spaventato. No. ma il sudore, il tremito delle mani, il calore improvviso che sentiva dentro. Non aveva senso. era stata quella mano tesa a spaventarlo. Era stata la gentilezza, la comprensione.
-Andrà tutto bene, figliolo…-
Poi tutto era successo rapidamente. Gli aveva afferrato la mano e, tempo un secondo, Charlie gli era spuntato dietro, uccidendolo con un gesto veloce. Luca l’aveva fissato boccheggiando e Charlie gli aveva detto che era necessario ucciderlo.
-Ti ha visto in faccia, razza di cretinetto-
Poi avevano preso la valigetta ed erano corsi via.
Quella notte si era infilato a letto con tutti i vestiti. Il tremito non era ancora passato. Magari non era stata colpa sua. Non era colpa sua.
Ma lo era. Se non si fosse fatto vedere senza cappuccio quell’uomo sarebbe stato ancora vivo. Si tirò su le coperte fino a coprirsi anche la testa, come se quello avesse potuto proteggerlo dal poliziotto morto in quel piccolo studio. Ma sentiva i suoi occhi che lo fissano, bucando muri e porte e coperte.
In quel momento gli era venuto in mente che quell’uomo non avrebbe più teso la mano a sua figlia.
Che spreco farlo con me per l’ultima volta.



Angolo Autrice

Non chiedetemi da dove è uscita questa cosa...
So solo che, mentre leggevo una bellissima storia di Harry Potter (Ab umbram lunem) mi sono messa a fantsticare e alla fine mi è uscita questa cosa su Luca... la storia non è segnata completa perchè non so nemmeno io come definirla...
Tecnicamente avrei in mente un continuo ma, se non vi dovesse stuzzicare molto come idea, ditemelo, che la cancello o la interrompo qui, semplicemente...
Ora vorrei davvero fare un ringraziamento a tutte quelle persone che mi sono sempre accanto, che continuano a recensirmi nonostante gli aggiornamenti a distanza di mesi e la mancanza di recensioni...
Non è facile avermi come "collega" lo so, ma ce la sto mettendo tutta per cercare di essere più costante!
Spero davvero che la storia possa interessarvi!
Fra
   
 
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