I've been waiting for someone new, to make me feel alive.
Quel pomeriggio, Kurt, se
ne stava con le mani in mano. Era strano quello per la fatina. In
genere aveva
sempre qualcosa da fare, non stava mai fermo. Se non era cantare
– perché i
suoi vicini avevano avuto il coraggio di lamentarsi – era
spolverare i miliardi
di premi che aveva vinto durante la sua attuale carriera. Kurt Hummel
era
l’orgoglio di suo padre. Aveva realizzato i suoi sogni, ma
molto più, per
quanto questo importasse a Burt, era sempre rimasto se stesso. Tante
persone
avevano provato a buttarlo giù, a convincerlo che non andava
bene. Tante
persone avevano provato a mettergli i piedi in testa; lo avevano
offeso,
spintonato, picchiato, deriso, insultato. Respinto, illuso, deluso;
Kurt Hummel
nei suoi venticinque anni ne aveva passate tante, soprattutto al liceo,
eppure
per lui questo era un bagaglio culturale. Qualcosa da portare sempre
con se,
qualcosa che mai avrebbe dimenticato. Mai Kurt Hummel aveva mollato.
Mai si era
lamentato. Eppure, avrebbe potuto farlo tante volte, perché
sì, la sua vita fino
a Blaine Anderson non aveva senso. Blaine gli aveva cambiato e
stravolto la
vita. Aveva dato un sapore dolce a tutte le botte che, in precedenza,
aveva
preso. Blaine era la sua salvezza. Era lo sciroppo alla tosse canina,
era la
nocciola del suo cioccolato. Era una parte importante di se, e ancora
oggi,
ricordava come si erano conosciuti. David Karofsky, l’aveva
spintonato quel
pomeriggio a scuola. Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il
vaso. Aveva
chiesto, supplicato, implorato i suoi genitori di trasferirlo in una
nuova
scuola: la Dalton Accademy. Costava un occhio della testa, è
vero, ma sapeva
che suo padre non avrebbe mai più permesso che qualcuno gli
alzasse le mani.
Ricorda ancora come si sentì, quella sera, quando chiuso in
camera sua con le
gambe tirate sul petto, piangeva. Piangeva per se stesso, e un
po’ per quel
David Karofsky che lo stava maltrattando. Non capiva, Kurt Hummel cosa
ci fosse
di sbagliato in lui, o meglio, in quel ragazzo. E’ sempre
stato molto
orgoglioso di se stesso e non uno scimmione
qualsiasi avrebbe buttato giù il suo muro di sicurezze.
Eppure, si sentiva
male. Soprattutto devastato. Come se qualcuno fosse entrato nella sua
proprietà
privata che era il suo animo; come se avessero scavato a fondo
finché non
ebbero trovato quello che cercavano. E David, anche se
involontariamente, aveva
trovato quello che più lo devastava: non
essere abbastanza forte, non essere abbastanza. Davanti a
Blaine, Kurt
diventava totalmente insicuro. Si sentiva piccolo come una goccia
nell’oceano,
come se davanti a Blaine non esistesse. E forse, il ragazzo moro un
po’
bassino, non aveva mai fatto niente per fargli credere il contrario.
Blaine non
era cattivo, non lo faceva apposta, ma era un animale da palcoscenico,
e sul
palco valeva la stessa regola che vigeva nella natura: il
più forte vince. Blaine all’epoca era
più forte. Aveva passato
le stesse cose che Kurt aveva passato, anzi... forse ancora peggio. Era
stato
pestato a sangue e lasciato morente sul ciglio della strada,
finché suo fratello
Cooper non lo ebbe trovato, portato a casa e curato, come fosse un
cucciolo. Ma
Blaine, o forse Kurt, era stanco. Stanco di quella relazione, stanco di
qualcuno
che lo tenesse legato. Erano stanchi l’uno
dell’altro. E l’amore era anche
saper lasciarsi andare, lasciar andare una relazione che non funziona
più.
Saper dire ‘Basta, non funziona
più, e
per il nostro meglio, è meglio lasciarsi.’
E Blaine e Kurt, due persone per
bene, conoscevano l’amore. Conoscevano ogni passo di una
relazione e quando
decisero che la loro era giunta al termine, si abbracciarono, come non
avevano
mai fatto. Come se la loro relazione iniziasse e si concludesse
lì. E’ quel
tipo di situazione che non ti aspetti, soprattutto, quando sei convinto
che
tutto vada per il verso giusto, succede. Qualcosa che inevitabilmente
di rovina
la giornata, la vita. Succede. Succede che ad un anno inoltrato, non si
ami più
una persona nello stesso modo. Erano passati sei mesi da, quando David
Karofsky
era tornato nella sua vita. Da quando Kurt l’aveva trovato in
mezzo alla
strada, col cuore spezzato. Sei mesi da quando Kurt si era preso il
cuore del
ragazzo e aveva provato a ripararlo, come se fosse un vaso rotto. Come
se, i
cocci di quel vaso taglienti, non potessero scalfirlo. In effetti, Kurt
ne
aveva passate di situazioni peggiori, e nessun vetro scheggiato avrebbe
potuto
rovinare il suo perfetto visino. Sei mesi da quando Kurt Hummel e David
Karofsky
avevano iniziato ad uscire allo scoperto, iniziando ad amare
l’uno i difetti
dell’altro. Non era facile per Dave accettare tutti i difetti
del ragazzo un po’
più piccolo di lui. Era difficile, soprattutto
perché i due erano molto
diversi. I loro universi non si sarebbero mai incontrati, nemmeno tra
un
centinaio d’anni perché le differenze erano troppo
abissali. Eppure, eccoli lì,
una sera, seduti al bar della stazione mentre Kurt sorseggiava il suo
succo al
lampone e Dave bevevo quel caffè troppo caldo. Si era
scottato la lingua, e
Kurt aveva sorriso dolcemente. In quel frangente di secondo, Dave si
ricordò
perché al liceo, si era preso una cotta per quel ragazzo. La
sua nobiltà d’animo,
ad esempio. Il suo saper perdonare le persone. Dave non sapeva se ci
sarebbe
riuscito al suo posto. Perdonare una persona che ti ha pestato solo
perché non
accettava se stesso, ma Kurt c’era riuscito. Era riuscito a
mettere apposto
tutti i cocci del vaso rotto, di quel cuore che aveva ripreso a
battere, se pur
lentamente, per una persona. Al momento batteva per Kurt Hummel, e ne
era
orgoglioso.
Il
primo ‘ti amo’ arrivò
un mese più tardi, in un bar in centro. Erano passati dalla
stazione al centro,
e Dave non aveva mai mostrato nessun segno di pentimento, anche se,
fino a quel
momento non aveva mai avuto un ragazzo del suo stesso sesso. Appariva
dunque
senza paura agli occhini blu del ragazzo con cui ormai stava
già due mesi.
Quando il gorilla gli disse queste parole, Kurt gli strinse la mano,
anche se
il suo cuore balzò all’altra parte del petto.
Nemmeno l’ombra di un ricordo di
Blaine Anderson. Nemmeno uno. Dave l’aveva sostituito
radicalmente. Ogni tanto,
Kurt, si chiedeva se Blaine so fosse rifatto una vita, con
un’altra persona che
non fosse lui, ma non ricevette mai una risposta. O forse non volle mai
cercarla.
Erano
passati tre mesi da,
quando Dave si era presentato a casa Hudson – Hummel con una
lettera. Gliela
sventolava in mano, come se da una parte ne fosse orgoglioso, ma in
cuor suo,
Dave voleva solo abbracciare il ragazzo e piangere. Era una lettera da
parte
dello stato. Ci fu un momento nella vita di Dave, quando ancora non era
illuminato dalla presenza di Kurt, in cui non vide un futuro diverso
per lui
dalle armi. Le armi lo avrebbero fatto sentire importante,
perché stava
difendendo il suo paese. Le armi gli avrebbero dato quella gloria che
cercava
da un tempo, una qualche medaglia che riconoscesse il suo coraggio.
Peccato,
perché col passare del tempo aveva imparato a fare a meno di
tutte quelle cose,
col tempo aveva ottenuto Kurt, e proprio ora che la sua vita andava a
gonfie
vele era arrivata quella lettera. Quella lettera gli annunciava che le
Armi
Americane erano liete di averlo a bordo di quello che era un grande
esercito,
destinato da sempre a fare grandi cose. Kurt lo intimò con
un cenno del capo a
sedersi, aspettando che l’omone – il suo ragazzo
– gli spiegasse cos’era quella
lettera, ma lui lo sapeva, lo sapeva bene. Erano passati tre mesi da,
quando
era partito, da, quando la vita aveva smesso di essere così
dannatamente
facile, si era fatta complicata, brutta senza Dave. E per quando
detestasse
ammetterlo, dipendeva da quel ragazzo. Si sentivano costantemente,
sì. Per
quanto potessero. Restavano circa una decina di minuti al telefono,
minuti nel
quale Kurt si stava zitto e ascoltava quello che Dave aveva da
raccontargli.
Fuori c’era un altro mondo, completamente diverso dal suo,
completamente
diverso da quello in cui Kurt stava vivendo, e Dave, senza mai
lamentarsi, con
un fucile in mano ed un casco in testa, andava lì fuori e
combatteva anche per
lui. Non poté fare a meno, la fatina, si sentirsi orgoglioso
del suo uomo.
Se
ne stava nel divano,
con le mani in mano, il giorno del suo compleanno, Kurt. Aveva poggiato
il suo
portatile sul tavolino davanti al divano. Non lo degnava di uno
sguardo. Aveva
rifiutato ogni sorta d’invito da parte dei suoi amici, per
uscire quella sera,
per concedersi una sorta di riposo da quella che sembrava una vita
infernale.
Non voleva vedere nessuno. Voleva solo stare con Dave, ma lui non
c’era, tanto
valeva stare solo. Quando lo schermo del computer si
illuminò, il ragazzo si
voltò di scatto. Rachel doveva smetterla di confondere il
suo indirizzo e-mail
con quello di Finn, tutte quelle foto erano imbarazzanti. Quando
però,
lampeggiò il nome di Dave, una stretta si
impossessò del suo cuore. Iniziò a
provare un senso di beatitudine, come se, ogni cosa che stesse turbando
il suo
animo in quel momento fosse svanito. Era un video, e Kurt lo
aprì di corsa,
strinse a se il cuscino giallo e mise play. In quel momento le parole
di Dave
partirono, lui in quella divisa mimetica. Gli seccava ammetterlo, ma
quei
colori così scialbi gli stavano bene, lo facevano
più bello di quanto in realtà
era. Un senso d’orgoglio, di nuovo, lo pervase. Comunque,
smise di pensare, e
rimase in silenzio, proprio come quelle chiamate che si facevano
durante la
settimana.
“Ciao, Kurt. Sono molto emozionato, oggi
è il tuo ventiseiesimo
compleanno, d’accordo? Stai invecchiando ogni giorno di
più.” Kurt
storse quasi impercettibilmente le
labbra, quando Dave pronunciò queste parole. “Scommetto che ora, proprio in questo preciso
istante, ti si stanno
formando delle piccole rughe d’espressione sopra le
sopracciglia.
Fortunatamente, sono riuscito ad ottenere un momento da solo per poter
registrare questo messaggio. Ti dirò la verità,
Kurt. Stare qui è così
difficile, in ogni posto in cui ti giri è pieno di
sofferenza, pieno di gente
che invoca la tua pietà. Non possiamo provare
pietà, Kurt. Non possiamo provare
quel sentimento. Abbiamo tutti paura di perdere la nostra
umanità, e forse,
pian piano la mia mi sta scivolando dalle mani, come fosse un
po’ di sabbia.
Oltre questo, Kurt, è difficile stare lontano da te.
E’ difficile sentire la
tua mancanza ed è difficile dover vivere con una tua
fotografia. E’ una di
quelle che avevo strappato dall’annuario, quelle che ti
raffigurano ancora
senza rughe, dolci diciassette anni.” Kurt rise in
quel preciso momento,
sentì le lacrime calde scendere dai suoi occhioni blu,
incapace di fermarle. Non era
vecchio, lui lo era. “Mi manca
sentire la tua testa appoggiarsi
al mio petto, mi manca quella sensazione di volerti stringere per
sempre tra le
mie forti braccia. Non parlo con nessuno di noi, o di me. Non riesco a
confidarmi con nessuno, perché questo mi ricorda le grandi
chiacchierate che
facevamo io e te, e nessuno è in grado di prendere il tuo
posto. A volte, non
sento nemmeno il bisogno di parlare di me, perché nessuno
capirebbe come mi
sento. No, non è vero. Anche loro provano l’amore,
provano quel senso di
lontananza dalle persone che amano. Ma nessuno conosce il nostro amore,
nessuno
ne ha mai vissuto uno così intenso. Oggi sono ventisei, no?
Sono anche sette
mesi Kurt. M’immagino tutte le sere, quando sto per andare
nella mia scomoda
brandina, che tu sia vicino a me. Mi piace immaginare il tuo sorriso
che mi
consola, soprattutto quando l’unica cosa che vorrei fare
è piangere. Allora,
sento la tua calda voce implorarmi di non farlo, che devo avere fede,
che tutto
andrà per il verso giusto. Stavo pensando, l’altra
notte, quando i
bombardamenti nel campo affianco erano troppo rumorosi
affinché prendessi
sonno, a come sarebbe stato se io non fossi partito, se io non ti
avessi
lasciato. L’amore vero dura per sempre, no? Solo gli amori
impossibili durano
per sempre, però.” E detto questo,
alzò le braccia al cielo, lo faceva
sempre quando sentiva di aver detto una cosa con senso e intelligente.
Kurt
scoppiò a ridere, mentre si passava una mano sulla guancia
rossa, dove una
lacrima stava scivolando via. “
Quindi siamo destinati a non vivere per
sempre assieme perché il nostro è un amore
fattibile? Mi sono convinto a
pensare un’altra cosa allora : il nostro è solo
amore. Siamo due persone che si
amano. Vedo qui, attorno a me, persone che non credono in niente, come
se non
avessero niente a cui attaccarsi quando la nostalgia è
troppa. Credo che quelle
siano le persone più tristi. Non hanno passione in cuor
loro, non hanno voglia,
nemmeno di terminare questa dannata esperienza. Vanno lì
fuori come se fosse l’ultima
volta, come se non gli importasse di morire, mentre io, prima di andare
lì
fuori imbracciando il mio fucile prego, prego per rivederti. Ho
conosciuto un
ragazzo qui alla base. Ha una figlia, si chiama Grace e una moglie, si
chiama
Allie. Non mi ha detto il suo nome intero, lui si chiama Arnold, ma si
fa
chiamare Harry. Capisco ora, cosa sia la vera amicizia, ci guardiamo le
spalle
l’uno con l’altro prima di uscire lì
fuori. La mia vita dipende da lui, la sua
da me. E’ un concetto di fiducia. Una volta mi ha detto che
sentiva la sua
famiglia così vicina da provare tristezza ogni volta che ci
pensava. In quel momento
avrei avuto voglia di abbracciarlo, e così feci. Lui mi
sorrise sincero.
Comunque, scusa.. Mi sono lasciato trasportare troppo.” Si
grattò, con fare
imbarazzato, il collo, come faceva di solito, quando Kurt gli parlava
dei
musical che avrebbe dovuto riprodurre a teatro, quando sapeva benissimo
che lui
non li conosceva. Kurt sorrise e sfiorò lo schermo del
computer come se questo
potesse avvicinarlo di più a quell’amore
così lontano da lui. “Avrei
voluto chiedere almeno tre giorni, per
starti vicino oggi. Oggi è il tuo compleanno, oggi sono
ventisei anni, fatina. Stare
con Harry non è brutto, abbiamo un sacco di cose in comune,
ma non è come stare
con te. E’ interessante stare con lui, ma non mi sento mai
pienamente a mio
agio. E’ come se mi mancasse qualcosa. Poi, ad un tratto, ho
aperto il mio
portafoglio e ho guardato la tua foto.. Ho capito, improvvisamente, che
l’unica
cosa che mi mancava era stare con te, l’unica cosa che mi
mancava eri tu Kurt
Hummel. Spero che il tuo amore, in questo periodo non sia diminuito,
perché il
mio si è solo fortificato. Ti amo, Kurt Hummel. Ogni giorno,
ogni ora, ogni
momento che passa qui. Ti amo e non vedo l’ora di entrare in
quella dannata
licenza per tornare da te e abbracciarti come non ho mai fatto e
sfiorare le
tue labbra così morbide. Ti amo, sì.. E ti auguro
altri mille altri giorni come
questo, da trascorrere assieme. Ah, comun –” Ma
il messaggio si interruppe.
Kurt non sapeva cosa avesse voluto dirgli Dave in quel momento e solo
ora si
rendeva conto di quanto stesse singhiozzando silenziosamente. Quelli
erano
stati gli auguri più belli di sempre. Stringeva a se quel
cuscino, come se
potesse essere la mano destra di Dave, come se il militare in quel momento fosse
lì con lui a guardarlo con
quella tenerezza che solo lui aveva. E ora, Kurt, dopo aver ascoltato
quel messaggio si sentiva vivo. Vivo come non era mai stato in
quet'arco di tempo senza Dave.