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Autore: gneffoLif    29/03/2012    1 recensioni
Scusate il titolo, fa pena, ma era troppo che desideravo postare questa schifezza :D
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Si prospetta una bella giornata per Gerard e Frank ... ma non tutto va per il verso giusto.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’è così tanto zucchero in questa oneshot che se ci aggiungessi due uova e un po’ di latte uscirebbe fuori una torta perfetta.
I personaggi non mi appartengono, non fanno quello che ho scritto (ma io credo di sì) e bla bla bla.
Mandatemi il conto del dentista.
 
***
 
Anche questo tour era finito. Questa volta sul palco erano in quattro, non più in cinque, ma a Gerard andava bene, la band era serena, il nuovo album aveva dato i risultati sperati … e fra lui e Frank le cose andavano benissimo.
La storia dei quattro Killjoys aveva in qualche modo “guarito” i rapporti fra i due, che ora erano continuamente insieme.
Quella mattina Gerard era riuscito a trascinare Frank fino alla vicina New York per andare al Museum Of Modern Art, dove erano in mostra una serie di tavole originali di Stan Lee, il creatore di Spiderman.
“Dai Gee, sai che i musei mi annoiano …” protestò il piccolo.
Ormai era troppo tardi, erano già nella Grande Mela, e per Gerard fu sufficiente dargli un bacio per convincerlo a non fare storie e a seguirlo.
Camminarono a piedi per un lungo viale di Brooklyn non molto trafficato, la sezione staccata del museo era fuori dall’isola di Manhattan, ed era lì che c’era quella famosa esposizione. La strada era quasi deserta, circondata da enormi vecchi edifici che un tempo ospitavano delle fabbriche e che ora erano riadattati e divisi in loft.
“Gee … A che ora chiude la mostra?” disse Frank, controllando l’orologio sul cellulare.
“Alle sei, credo … perché?”
“Allora abbiamo ancora tempo” rispose, con uno dei suoi soliti sorrisi, che sembrava quasi brillasse di luce propria.
“Tempo per cosa?” chiese lui, mentre passavano davanti ad un vicolo deserto.
“Per questo!” esclamò l’altro, prendendogli la mano e trascinandolo nel vicolo.
Gerard non fece nemmeno in tempo a dire qualsiasi cosa che si ritrovò con le spalle al muro e le labbra di Frankie sopra le sue. Rispose al bacio, infilando piano la sua lingua nella bocca dell’altro, e accarezzandogli le spalle.
Frank non si accontentò di baciarlo: iniziò ad accarezzargli la schiena sotto la maglietta, per poi passare allo stomaco e più giù, sempre più giù.
Iniziò a baciarlo sul collo, mentre le sue mani si muovevano dentro ai pantaloni del cantante, che ormai iniziava ad avere la mente annebbiata, l’unica cosa a cui pensava era che voleva che tutto questo non finisse mai, fanculo la mostra e il museo.
 
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“Ehi voi.”
Una voce che non conosceva lo fece voltare, abbastanza seccato. Quel balordo non vedeva che era una situazione intima? O pensava che la gente mettesse tutti i giorni le mani nei pantaloni degli altri?
Si trovò di fronte un uomo sulla quarantina, coi capelli sporchi e i vestiti ridotti quasi a brandelli. In mano aveva un coltello.
 “Datemi tutti i vostri soldi. ORA!” urlò.
Frank non sapeva che fare, dietro di lui sentiva Gee respirare velocemente, il battito accelerato, un po’ per l’eccitazione, un po’ per la paura.
Erano soli nel vicolo. Si erano spinti un po’ troppo in fondo, e in strada non c’era nessuno. Non c’erano nemmeno persone alle finestre delle case, era orario di lavoro.
Decise di accontentarlo. Dopotutto quel poveraccio era armato, e non c’era motivo di provocarlo oltre.
L’uomo si avvicinò puntando il coltello e ripetendo la sua minaccia, guardando il chitarrista con gli occhi sgranati e rossi. Frank si mise la mano in tasca per prendere i soldi, sempre con lo sguardo del rapinatore addosso.
Gli allungò i duecento dollari che aveva e rimise in tasca il portafoglio. Aspettò che l’altro se ne andasse, ma quello continuava a fissarlo, minacciandolo con la lama.
“Anche quelli del tuo amico, se non ti dispiace” disse, con un sorriso beffardo.
Il moro si voltò verso Gerard, che era immobile, paralizzato dalla paura. Frank gli mise la mano in tasca per cercare il portafoglio, cercando di calmare il cantante con lo sguardo.
 
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Gee era terrorizzato. Un attimo prima pensava solo a quello che avrebbe fatto volentieri al suo Frankie e un attimo dopo uno sconosciuto li rapinava. Era sicuro che la sua eccitazione si vedesse, dannati pantaloni aderenti,  ed era arrossito per quello, chinando il capo. Quando il chitarrista gli mise la mano in tasca per un attimo pensò che fosse tutto finito, che l’uomo fosse andato via.
Alzò la testa e vide Frank che prendeva il suo portafoglio. Evidentemente i suoi soldi non bastavano.
Con la coda dell’occhio vide che il rapinatore stava alzando il coltello, lo scintillio della lama lo abbagliò per un secondo.
Fece appena in tempo a realizzare quello che stava succedendo. Urlò, indicando l’uomo, che aveva ancora il coltello alzato.
Frank si girò. La lama lo colpì sotto lo sterno, e un fiotto di sangue iniziò ad uscire dal suo corpo, mentre l’uomo scappava, portandosi via l’arma.
Fu come se stesse vedendo un brutto film al rallentatore. Frank che sgranava gli occhi, il fiato mozzato dal dolore,una mano che andava a coprire il taglio, Frank che cadeva in ginocchio, accasciandosi poi a terra.
“Gee …” sussurrò il moro, guardandolo negli occhi.
Frankie. Lo chiamava. Aveva bisogno di lui.
Gerard si buttò in ginocchio vicino al corpo del suo ragazzo, le lacrime iniziavano a rigargli il volto.
“Frank! Frank! Mi senti? Frank!” urlò, sconvolto.
“Sai cosa penso … Gee?”
“Cosa? Frank, cosa?” rispose, sollevato dal fatto che riuscisse a parlare.
“Che chiamare un ambulanza non mi farebbe tanto male” disse il chitarrista, sorridendo a Gerard come se non fosse successo niente.
Aveva ragione, perché era così stupido? Prese il cellulare dalla tasca … non c’era campo. Controllò quello di Frank: prendeva! Digitò in fretta il 911, il numero del pronto intervento, sperando che facessero in fretta, lanciando ogni tanto un’occhiata al ragazzo, steso per terra, che continuava a perdere sangue.
“Pronto?” disse una voce femminile dall’altra parte.
“Pronto, la prego, mandate un ambulanza … il mio amico … sangue dappertutto … presto!” rispose lui, ancora sotto shock.
“Si calmi, signore. Ci dia l’indirizzo e verremo subito”.
Balbettando diede l’indirizzo all’infermiera, lui nemmeno lo ricordava, era stato Frank a suggerirglielo, sembrava che non fosse lui quello steso a terra con una ferita profonda.
Terminò la chiamata e tornò ad inginocchiarsi accanto a Frankie. Era spaventatissimo, forse era il più spaventato fra i due.  Non voleva perdere Frank, non voleva, non ora che tutto fra loro due era tornato bellissimo, non ora che sapeva di amarlo davvero.
“Frankie … resisti, ti prego, l’ambulanza sta arrivando, starai meglio … vedrai …”.
Le lacrime gli offuscavano la vista, ma riusciva a vedere il ragazzo impallidire sempre di più, aveva paura, una fottuta paura. Prese il volto del chitarrista fra le mani, non capiva come poteva sorridere anche in un momento simile.
In uno slancio di disperazione appoggiò le labbra su quelle del moro, iniziò a baciarlo, notando con sollievo che Frank rispose al bacio, accarezzandogli il palato con la lingua.
Quando si staccò notò con terrore che perdeva troppo, troppo sangue. Cercò di tamponarlo, si tolse la maglietta cercando di usarla come una benda per fermare il sangue, cercando di sbrigarsi, di correre contro il tempo …
Era così concentrato che si spaventò quando il ragazzo gli toccò il torace con la mano pulita.
“Gerard …“ disse, sforzandosi di respirare “Io … tu sei sempre stato l’unico per me. Ti ho sempre amato. E anche Jamia lo sapeva. Solo … le andava bene di essere la seconda”.
Il cantante lo guardò … poteva leggere negli occhi di Frank quanto fosse vero il loro amore.
“Frankie …” iniziò, ma non sapeva cosa dire. Non sapeva come esprimere quello che provava in quel momento. Fece appoggiare la testa dell’altro sulle sue gambe, e iniziò a dargli dei piccoli baci sulla fronte, appoggiando appena le labbra socchiuse.
Sentì il moro che rideva, e alzò lo sguardo, continuando ad accarezzargli la guancia. Gettò un’occhiata alla benda improvvisata … sembrava funzionasse. Forse il sangue stava iniziando a coagulare.
“Perché stavi ridendo?” gli chiese prima di dargli un bacio leggero sulle labbra.
“Ho … Ho pensato che … ti ricordi quando abbiamo creato The Black Parade? Pensavamo che fosse davvero quello che ci aspettava, prima o poi. Beh, se abbiamo sbagliato tutto, vedrò di fartelo sapere” rispose, ridendo come un bambino.
Era una delle paure più grandi di Gerard, vedere una delle persone a cui teneva di più morire, e … ora sembrava più vera e reale che mai. Il terrore lo paralizzò ancora una volta, i suoi occhi, sgranati, cercavano una soluzione, un appiglio che potesse rassicurarlo, qualcosa che gli dicesse che non era vero, che Frank non era in pericolo.
“NO! NO!” urlò, fra le lacrime. “NO! Frank, NO! Tu … tu non … resisti cazzo, dannata ambulanza quanto cazzo ci mette?!”.
Non riusciva più a fermarsi, continuava a dire a Frank che sarebbe andato tutto bene, cercando più di convincere sé stesso che di rassicurare il suo amico, e ad abbracciarlo, non voleva lasciarlo andare.
Dopo alcuni minuti che a Gee parvero un’infinità, l’ambulanza finalmente arrivò, e lasciò il moro alle cure dei paramedici, mentre lui si rannicchiò per terra, tremante.
Riuscì a rispondere a fatica alle domande che il medico della vettura gli poneva, continuando a stringere le ginocchia al petto.
Poco dopo sentì che stavano per portare Frank in ospedale, forse c’era ancora qualcosa da fare per lui. Scattò in piedi. Non avrebbe mai lasciato il suo ragazzo, e salì nell’ambulanza, nonostante l’infermiere che cercava di fermarlo.
S’inginocchiò accanto alla barella, il moro aveva una maschera per l’ossigeno che gli copriva il viso, ma Gerard poteva vedere lo stesso il suo sorriso. Come facesse a sorridere anche in quel momento, anche a due passi dalla morte, era un mistero persino per lui, che pensava di conoscere il chitarrista fin nel profondo.
Frankie cercò la sua mano e gliela strinse. Gee portò la mano dell’altro alla bocca e vi appoggiò sopra le labbra. Rimasero così per buona parte del viaggio fino all’ospedale, fino a quando il moro allentò la stretta, chiudendo gli occhi.
Gerard si allarmò, non poteva essere, non ora che erano quasi arrivati all’ospedale, no, non …
Qualcuno gli toccò la spalla. Si voltò, e l’infermiere, vedendo la sua agitazione, lo rassicurò: era solo la morfina che faceva effetto, Frank era ancora vivo. Gli indicò l’elettrocardiogramma, che segnava un battito lento ma regolare.
Arrivarono all’ospedale. Gerard guardò l’orologio … era passata un’ora da quando si erano appartati nel vicolo. Sorpreso, controllò con gli orologi dell’ospedale: non poteva essere passata solo un’ora! E invece il suo orologio non era rotto, un’ora prima aveva davvero baciato Frank, stava ancora bene … quasi non ci credeva. Sembrava fossero passati secoli.
Portarono subito il ragazzo in sala operatoria, era grave, ma non tutto era perduto. Ovviamente lui non poteva entrare, quindi rimase fuori, seduto su una di quelle scomode sedie di plastica dell’ospedale, a piangere e a pregare.
Un’infermiera gli portò una coperta, visto che la maglietta era ancora lì, ancora legata a Frank. Decise di chiamare Mikey e Ray, almeno non sarebbe rimasto da solo. Non se la sentiva di chiamare Jamia, e nemmeno Lynz.
Aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino, ora più che mai, visto che la persona  che gli era sempre stata accanto, che lo aveva confortato nei momenti più difficili era appesa ad un filo tra la vita e la morte.
 
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Sul sentiero le foglie secche dei cipressi vicini erano trasportate via dal vento del tardo pomeriggio, mentre la luce dell’ultimo sole colorava di un giallo-arancione il mazzo di gigli bianchi, appoggiato per terra.
Gerard si sedette per terra, intorno non si vedevano panchine, e non aveva voglia di sedersi su una lapide.
Si guardò intorno … il cimitero era quasi deserto a quell’ora, oltre a lui c’erano solo un paio di vecchiette che andavano a trovare i loro cari, andati via da troppo tempo ormai.
Alzò lo sguardo sull’edificio che aveva di fronte, dall’altra parte della stradina. Sull’ingresso del mausoleo era poggiato un mazzo di fiori freschi, bianchi come la neve. Aveva ancora il loro profumo sulle mani.
Una lacrima gli rigò il volto. Erano passati quasi tre mesi da quel giorno, e lui veniva qui appena poteva, spesso infischiandosene degli impegni che aveva.
Aveva bisogno di stare solo, a volte.
Continuò a percorrere l’edificio con lo sguardo, soffermandosi sulle decorazioni in stile barocco che avrebbe in genere adorato. Non riuscì a trattenere un sospiro quando lesse il nome inciso a lettere cubitali nel granito: “FAMIGLIA IERO”.
“Allora è qui che vieni quasi tutti i giorni, è qui che ti nascondi”.
Era una voce che conosceva benissimo, forse la voce che preferiva in assoluto.
Si voltò verso Frank, che sorrideva come suo solito. Si alzò in piedi e lo abbracciò di slancio, quasi per ricordarsi che Frankie, il suo Frankie, era ancora lì. Non era morto quel giorno, per una volta le preghiere di Gee erano state esaudite.
“Perché sei qui?” disse tutto d’un tratto il moro, indicando l’edificio di fronte a loro “Qui ci sono seppelliti i miei nonni …” continuò, con una punta di malinconia nella voce.
“E’ da quando sei stato dimesso dall’ospedale che vengo qui …”
“Questo lo sapevo,”  lo interruppe l’altro, “voglio sapere perché vieni qui. Ti comporti quasi come se fossi morto davvero”. Mentre parlava il chitarrista gli rivolse uno sguardo profondo, che cercava di scavare nel suo animo, come faceva sempre da quando si erano conosciuti …
“Io … “ iniziò Gerard, cercando di non far sembrare la cosa stupida come era in realtà, “… io vengo qui perché per una volta le mie preghiere sono state esaudite, e non riesco mai a dire grazie abbastanza per questo. Vengo qui e mi sembra più vero il fatto che tu sei ancora con me, e non sottoterra. E non posso desiderare niente di meglio”.
Frank tornò a sorridere ascoltando le parole del cantante, e lo baciò, un bacio lungo e calmo, quasi a ricordargli che erano lì, entrambi, abbracciati e con le guance in fiamme.
“Ammettilo che lo hai detto solo per portarmi a letto” disse Frankie ridendo, mentre cingeva la vita di Gerard con un braccio e lo portava via da quel posto, cancellando con la sua risata argentina il malumore del suo cantante preferito.
 
***
Questa fic è stata un parto. [cit.]
Ed in più è la prova schiacciante che la parmigiana della nonna non va mangiata la sera tardi, perché poi ti escono sogni strani da cui tiri fuori l’idea per una oneshot.
Beh, questa è la prima oneshot che scrivo in assoluto, così com’è la prima frerard.
C’è una prima volta per tutto, no?
   
 
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