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Autore: mizuki95    30/03/2012    1 recensioni
La vita reale non è come un manga. Non tutte le cose brutte possono venire cancellate dalle cose buone, e Kisa lo capirà bene quando ripenserà ad una sua vecchia storia con un uomo che lo ha sconvolto nel profondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sto morendo di sonno, ma voglio spendere due minuti per parlarvi. Credo che questa sia in assoluto la mia prima one-shot che finisca in modo triste. Nelle altre, in un modo o nell’altro, la situazione alla fine si sistema; purtroppo, in questo tipo di storie non c’è verso che la cosa si risolva. In realtà avrei potuto farlo, tipo facendo ricomparire Satoshi e combinare una cosa simile a “Anno nuovo, vita nuova?”, la mia seconda one-shot YukinaxKisa (se non sapete di che parlo, correte a leggerla!), ma non ho voluto. Perché come dice Kisa stesso verso la fine, le ferite rimangono comunque. E’ stato il grosso numero di esperienze “amorose”, se così posso chiamarle visto che d’amare davvero lui non ha mai amato nessuno al di fuori di Yukina, a renderlo così com’è, con il suo lato insicuro e talvolta anche cinico. Per cui, ho preferito un finale malinconico al classico “E vissero felici e contenti”, perché bisogna dare la giusta importanza ad ogni cosa, come a questo lato di Kisa spesso e volentieri dimenticato dalla Nakamura. In realtà il cognome di Satoshi, “Koiwara”, in realtà è l’unione di “Koi” (=amore) e “Warui” (=cattivo, brutto), poi contratto in “Koiwara”. In pratica, significherebbe “Amore sbagliato”, quello che in effetti è. Non voglio professorini\e di giapponese, questo è solo un gioco di parole fatto dalla scrittrice, nulla di serio. La trama della one-shot è nata grazie due elementi non molto allegri: il libro “La casa del sonno” di Jonathan Coe (di cui adoro lo stile, ed il libro naturalmente), un racconto sul sonno e sulla suo essere una buona cosa o no, sotto forma di romanzo etero e lesbo, ambientato e scritto nell’ultimo ventennio del secolo scorso; e “The scar” dei Broken Iris, di cui mi piace solo questa canzone. All’inizio volevo fare la versione “Sekaiesca” della storia di Gregory e Sarah da universitari, ma poi ci ho ripensato perché l’argomento degli occhi è un po’ troppo delicato, soprattutto perché altrimenti non avrei potuto fare questo finale (mica Yukina è pazzo suonato come Gregory e si mette a premere le palpebre chiuse della persona che ama D:). Poi la trama della “cicatrice” me l’ha data la canzone. Non mi viene altro da dirvi per cui ora vi lascio, non senza ricordare a chi sta seguendo “Destiny” che a breve sarà completa e potrete leggere “Mizuki is awake and alive”, il sequel, per cui ricordatevi di passare dal mio profilo o dalla sezione “Junjou romantica” di EFP!
 
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Qualche anno prima che conoscesse Yukina, Kisa stava con un uomo più vecchio di dieci o quindici anni di nome Satoshi Koiwara.

 Il volto perfetto del bruno, i tratti del suo viso, il colore così scuro dei suoi occhi, la pelle chiara con un ombra di abbronzatura, il suo fisico scolpito e perfetto, tutto questo lo avevano reso desiderabile agli occhi dell’allora novello editore. Satoshi lavorava in uno studio psichiatrico un po’ lontano dalla Marukawa, ma i due avevano avuto modo di conoscersi tramite amicizie in comune.

 La relazione si avviò velocemente, giacché  al secondo appuntamento andarono a letto insieme. E fu in quell’occasione che Kisa si accorse di un difetto particolarmente fastidioso dell’uomo: aveva l’abitudine di mordere il partner dappertutto durante i preliminari ed il rapporto vero e proprio.

Nonostante questo la bellezza del suo corpo era abbastanza grande per sorvolare un dettaglio simile, pensò Kisa, e convincendosi di ciò continuò la relazione, prettamente fisica come lo erano sempre state anche quelle precedenti.

Una volta, dopo un lungo amplesso, mentre lui, seduto sul letto, si massaggiava la spalla morsa con forza dal bruno fino a pochi momenti prima con un ‘espressione infastidita sul viso, Satoshi gli chiese «Sai qual è la parte più bella del corpo di una persona?» «Il viso, penso» rispose controvoglia ancora infastidito dai morsi, ma l’altro lo fece ristendere sul letto e mentre lo sovrastava, gli bloccò i polsi contro la testa del letto.

 «Sbagliato. E’ la pelle. E’ morbida al tocco, così come gradevole alla vista e profumata per l’olfatto. E soprattutto, è davvero gustosa per il palato» e così dicendo, gli morse l’incavo del collo con delicatezza, passandovi sopra la lingua, per poi morderla con forza eccessiva.

 «Mi fai male, idiota!» gli gridò contro Kisa dandogli un calcio ed uno schiaffo appena l’altro gli concesse un po’ di spazio per muoversi. La questione finì lì, con il moro che andò a farsi una doccia e lo psichiatra che andò a riposarsi.

La situazione però degenerò sempre di più man mano che il tempo passava, e un giorno arrivò ad essere così insopportabile che si lasciarono. Quella volta Kisa e Satoshi si erano dati appuntamento in un locale vicino allo studio di quest’ultimo e dopo un po’ si diressero verso la sua casa, con un pensiero comune in mente.

 Ma la notte di passione non fu molto piacevole, soprattutto quando Satoshi prese a mordere, prima con moderatezza e poi con crescente decisione e forza, la base del collo dell’altro, che indispettito gli afferrò la testa con entrambe le mani per allontanarla da sé. Ma nonostante impiegasse tutta la forza che aveva nelle braccia, il capo del bruno non si spostò neanche di un millimetro e anzi le sue mani lo bloccarono, l’una imprigionandogli entrambi i polsi sopra la testa con una morsa esageratamente forte, mentre l’altra coprendogli la bocca per impedirgli di gridare o fare troppo baccano.

 «Sta tranquillo, è tutto come al solito» disse Satoshi con un sorriso sulle labbra che non piacque affatto al moro, il quale cominciò davvero a spaventarsi. Lo psichiatra, avendo entrambe le mani occupate, proseguì lo spogliamento dell’altro con i denti, mordendogli di tanto in tanto la pelle con una sempre più crescente ferocia.

Quando giunse alla cintura, uno dei calci che per tutto il tempo Kisa gli aveva tirato a vuoto lo colpì ben due volte consecutive alla tempia sinistra. Ma l’editor si sbagliò di grosso se pensava di potersi liberare in quel modo: al contrario, Satoshi s’imbestialì e gli morse con violenza il collo, facendolo gridare di dolore.

Si dimenò più di quanto non stesse già facendo senza però grandi risultati, mentre avvertiva la dolorosissima sensazione dei denti dell’altro che affondavano nella sua pelle.

Quando questi raggiunsero anche la carne e soprattutto avvertì il sangue uscire in superficie, Kisa non ci vide più dalla paura e con una forte testata riuscì a colpirlo abbastanza forte da staccarlo un poco da sé e cosa più importante, a fargli dimenticare per un istante del controllo che esercitava sulle proprie mani.

Appena avvertì la libertà sui polsi, gli diede un pugno talmente forte da spingerlo contro la parete parallela al letto, per poi scendere velocemente dal letto.

 «Che cazzo ti ha preso?!» gli domandò furente Satoshi tenendosi il viso con una mano, ma Kisa non gli rispose, occupato com’era a mettersi le scarpe all’uscio.

 Lo psichiatra lo raggiunse quasi subito, e afferrandogli la spalla domandò voltandolo, gridando dalla rabbia «Mi rispondi sì o no?!» «Lasciami in pace, pazzo!» gli rispose con lo stesso tono di voce l’altro, dandogli una forte spinta sul petto con ambedue le mani

 «Non sono il tuo fottuto osso e tu non sei uno stramaledetto cane!» e così dicendo corse via dall’appartamento, senza guardarsi indietro neanche una volta.

Quando tornò nel suo di appartamento, nonostante fosse molto scosso il suo cervello riuscì a fargli capire che la priorità era medicare la ferita ed in bagno trovò tutto l’occorrente. Mentre disinfettava e tutto il resto la ferita, rifletté meglio sulla sua relazione con Satoshi, decidendo definitivamente di lasciarlo: per una bella faccia non valeva la pena di finire nelle mani di un simile psicopatico.

Ma al termine della medicazione, la paura che aveva provato nell’essere morso in modo tanto animalesco dall’ex-partner tornò a fargli visita, gettandolo nel terrore più buio e in uno sconforto senza fine. Seduto sulla tazza del water, con le ginocchia appoggiate al petto e le mani sulla testa, iniziò lentamente a dondolarsi in avanti e dietro per calmarsi, mentre amare lacrime di paura e pentimento per la sua superficialità uscivano copiose dagli occhi.

Col passare del tempo, comunque, capì che il morso non era poi così grave: non ne sarebbe rimasta neanche la cicatrice.

Con Satoshi si era lasciato il giorno dopo quel fatto, approfittando della folla per dirglielo. Nonostante non fosse nel suo stile lasciare un partner in pubblico, aveva troppa paura di rimanere di nuovo da solo col lui.


 Ma perché ci stava ripensando adesso, a distanza di così tanto tempo?

 E soprattutto, come poteva Yukina guardarlo con uno sguardo così pieno di stupore e al contempo tristezza?

 Tutto era iniziato quando, dopo aver aspettato la chiusura del negozio dove il giovane lavorava, erano tornati nel loro appartamento e avevano deciso di fare cose intime. Il problema era venuto quando il bruno, mentre lo spogliava, gli aveva mordicchiato leggermente l’orecchio sinistro per eccitarlo, scatenando invece in Kisa il ricordo di Satoshi e ancor di più il sonoro schiaffo sul volto perfetto di Yukina, che ora lo guardava con quell’espressione così stupita, così triste, così…pentita.

 «Kisa-san, ho fatto qualcosa…?» gli stava chiedendo, ma lui lo interruppe bruscamente alzando di molto il volume della voce «No! Ti sbagli, tu non hai fatto niente!» e quasi sussurrando «Mi dispiace. Sono io…scusami, ma oggi non ho voglia di farlo».

Dopo aver detto ciò scese in fretta dal letto e dirigendosi fuori dalla stanza, lasciò solo Yukina con queste parole «Domani devo alzarmi presto. La cosa vale anche per te, vero? Quindi andiamo a letto, che è meglio. Puzzo, vado a farmi una doccia».

Appena entrò nel bagno chiuse a chiave la porta, e ridendo istericamente a bassa voce per non farsi udire dal coinquilino si accasciò a terra, con la schiena rivolta contro la porta.

 «E’ proprio vero che la vita non è come un manga» pensò «Non basta scoprire l’amore per dimenticare tutto. Le ferite del passato, quelle che fanno di me chi sono adesso, fanno male comunque…fanno male…!»

e silenziosamente iniziò a piangere, trattenendo i singhiozzi per sentire se Yukina fosse davvero andato a dormire.

Pensiero errato perché il ragazzo era dietro la porta, separato da lui da poco più di quattro centimetri di porta; lo sapeva perché avvertiva il calore del suo corpo.



Sulla sua pelle non c’era traccia di alcuna cicatrice. Ma nella sua anima c’era eccome una cicatrice, una grande cicatrice che non sarebbe mai scomparsa.

THE END

 
  
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