Catherine
Fahlenbock si torceva nervosamente le mani,
seduta nella piccola sala
d’attesa: era stata chiamata nel cuore della notte da
un’infermiera che si era
categoricamente rifiutata di lasciare che, come l’aveva
testualmente definito,
“quel ragazzo punk poco raccomandabile”
accompagnasse Gwen a casa.
Poche ore dopo, la donna aveva visto passare
l’altra ragazza del reality,
quella mora con i capelli lunghi e un colorito notevolmente cadaverico,
scortata da due ragazzi ispanici; dentro di sé si domandava
se anche Gwen fosse
in quelle condizioni…
La ragazza comparve faticosamente: un ragazzo con
stupefacenti occhi
verdi la supportava, mentre un flebile sorriso increspava le labbra
della figlia.
Catherine deglutì dolorosamente,
scrutando con affanno il viso della ragazza
e catalogando quasi per un riflesso involontario, affinato in anni di
normali
preoccupazioni materne, tutti gli inquietanti elementi che, sul viso di
Gwen,
sembravano urlare dolore e morte: il pallore, per esempio,
paragonabile a quello dell’altra ragazza o le occhiaie,
più simili a lividi; il
tutto venne incassato da sua madre come fossero pugni nello stomaco.
Catherine aprì la bocca, forse per dire
qualcosa, ma, mentre le parole le
sfioravano la lingua, decise di recidere ogni possibile discorso; la
abbracciò
e la riaccompagnò a casa, stringendo le mani fredde della
figlia come se non ci
fosse un domani.
***
Alejandro risalì sulla macchina sportiva
del fratello ancora un
intontito, un po’ per il sonno e un po’ per gli
assurdi avvenimenti di quelle
ultime ventiquattro ore.
Nell’abitacolo riecheggiavano sorde le
parole di una canzone spagnola,
attutite dai sedili e dall’agrodolce pensiero che Heather era
ancora viva.
<< Come sta la chica?
>> domandò Carlos, cercando di sembrare
disinvolto.
Alejandro sollevò pigramente la testa, inclinandola un poco da un lato, e rispose con altrettanta disinvoltura: << Bene. Spero solo che non muoia per mancanza di ossigeno nel suo letto o nella doccia. >>.
Il tono delle sue parole era freddo, ma Carlos percepì la sofferenza graffiante che dilaniava il fratello come fosse sua.
<< Casa sua dista venti minuti di macchina dalla nostra… >> sussurrò, soppesando attentamente le parole << posso prestarti la mia macchina o accompagnarti, se vuoi >>.
Il ragazzo gli scoccò uno sguardo di sincera gratitudine.
<< Grazie, Carlos. Lo apprezzo davvero. >>
***
Duncan attraversò i corridoi dell’ospedale con le mani affondate nelle tasche, fischiettando distrattamente per cancellare dalla sua mente l’immagine di Gwen che si allontanava e il suo volto pallido, riflesso nel vetro dell’auto.
All’uscita scorse Trent a pochi passi dalla porta, seduto su una panchina, che fissava con consapevole tristezza il punto da cui la macchina della signora Fahlenbock era frettolosamente partita; il suo sguardo amaro, che sembrava specchiarsi in quello di Gwen, lo colpì, sorprendentemente, come uno schiaffo in pieno viso.
**
Una figura sogghignò, nascosto dalla penombra, mentre ripiegava con cura delle buste di carta; scrisse lentamente i nomi sul retro e lasciò che l’inchiostro asciugasse all’aria, mentre osservava pigramente il liquido trasparente in una boccetta, che bolliva emettendo di tanto in tanto sbuffi di vapore.
La sua mano guantata afferrò una busta di carta, che recava l’indirizzo dell’ospedale; sapeva che cosa voleva fare quel fastidioso, inopportuno dottore: Gregory House era una spina nel fianco, la sua curiosità e la sua testardaggine lo infastidivano non poco.
Si premurò di spedire la suddetta lettera alla direttrice Cuddy la sera stessa, sperando che il Dr House non si fosse già intromesso in una situazione che non lo riguardava.
Le ragazze dovevano seguire il percorso che aveva preparato per loro, e uscire dall’ospedale era la prima tappa; non poteva permettere che uno sciocco dottore intralciasse il suo piano.
Un poco infastidito, prese i due fogli di carta e, controllando che l’inchiostro fosse asciutto, aggiunge un post scriptum che lo tranquillizzò un po’; conosceva il potere di quelle lettere.
Sorrise appena: sapeva di aver escogitato il delitto perfetto.
Nessuno lo avrebbe fermato.
Note dell'autrice (ritardataria!)
... sono in ritardo. Un tremendo ritardo.
... Perdono! ç.ç So bene di non avere scuse, ma in mia difesa posso dire che la scuola ci ha massacrati e che non ho avuto un momento libero... mi sono dileguata da questo fandom per troppo tempo, era ora di tornare! xD.
Che posso dire di questo capitolo? Avevo voglia di un po' d'introspezione... e di dedicare qualche riga al fantomatico lui; vi è piaciuta l'idea? ^^
Vi ringrazio tanto per la vostra costanza nel seguire questa ff, nonostante venga aggiornata in modo tutt'altro che costante xD
Un grazie speciale anche ai recensitori! <3
A presto (spero xD), Luna.