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Autore: Vals Fanwriter    31/03/2012    4 recensioni
È chiaro, a volte si è così in sintonia con una determinata persona, da riuscire a capire cosa le passa per la testa, prima ancora che possa aprire bocca. E questo era quello che c’era tra di loro. Un filo sottile e invisibile che li collegava in ogni istante.
Kurtofsky | One-shot | Hurt / Comfort
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Dirò poche cose in questo piccolo spazio. La prima è che sono tre settimane che scrivo questa fanfiction (se consideriamo anche che nel mezzo c’è stata la Seblaine Week, che mi ha distratta a dovere) e che quindi mi auguro, con tutto il cuore, che lo sforzo di rendere piacevole questa fic non sia stato vano. Per secondo, vorrei scusarmi per la mole immane di parole di cui consta questo racconto. È una OS immensa e ciò non era previsto, ma non si poteva assolutamente accorciare. Avrebbe giovato a Kurt, certo – e leggendo sarete d’accordo con me – ma non ai sentimenti che spero trapelino ad ogni passaggio. Il terzo ed ultimo punto riguarda come al solito i miei ringraziamenti, perché ho scocciato terribilmente una persona in particolare, nella stesura di questa fic, Thalia, che nonostante le migliaia di preoccupazioni che mi sono fatta, ha continuato ad avere pazienza e a dirmi che “Sarà sicuramente stupenda”. Io non so davvero come avrei fatto farei senza di te. Forse a quest’ora sarei collassata sulla tastiera, in preda all’ansia, e invece boh… ci sei tu! ♥

I punti della premessa sono finiti, ma vi lascerò alcune note alla fine.

Un grazie enorme anche a chiunque leggerà, commenterà o preferirà (amerò qualunque cosa farete).

Buona lettura.

Vale

 

~

 

Come here

 

 

 

Dave ripose la penna sulla scrivania mentre rileggeva l’ultima frase del tema di spagnolo che aveva appena completato; dopodiché si stiracchiò per poi puntare lo sguardo sulla porta della sua camera. Ricordò come da uno spiraglio di essa era apparso il viso allegro di Kurt, il giorno precedente, quando aveva varcato quella soglia con un malloppo di appunti tra le braccia, rischiando addirittura di inciampare nel tappeto per la poca visibilità. Dave era quasi scoppiato a ridere, ma la quantità di quaderni, che si era portato dietro il più piccolo, lo aveva obbligato a trattenersi.

‹‹Devi tenerti al passo con lo studio›› gli aveva detto Kurt con un leggero rossore sulle guance, per la figuraccia appena fatta.

Dave ovviamente gli aveva risposto qualcosa come ‹‹Non mi serve la balia››, facendo sì che Kurt mettesse su un broncio troppo tenero da sostenere.

A ripensarci, la sua risposta era stata dettata dall’imbarazzo, occultato alla meglio con quella frase. Sì, perché Kurt era stato davvero premuroso a sistemare tutti quegli appunti per lui e a portarglieli. Non essendo ancora riuscito a convincerlo a tornare al McKinley, quello era un modo per riscattarsi e sentirsi, di conseguenza, più tranquillo.

E così ogni pomeriggio Kurt andava a casa di Dave: gli faceva compagnia, lo aiutava a studiare le lezioni a cui si era assentato, gli raccontava quello che gli era successo a scuola e si lamentava della scarsa quantità di assoli che riceveva; e a detta sua, non poteva raccontare quelle cose a Blaine, perché era soprattutto lui a rubargli le canzoni più belle, da un po’ di tempo a quella parte. Ma poi Kurt sorrideva e aggiungeva che l’importante era vederlo felice e, a dirla tutta, Dave ne sapeva più di lui a quel proposito.

Lui era il primo ad essere felice quando vedeva la felicità negli occhi di Kurt, perciò non poteva biasimarlo e dire che era uno sciocco a non lottare per i suoi assoli.

Ma poi perché avrebbe dovuto dargli consigli in merito al Glee Club? Certo, Kurt lo aveva cambiato, ma fino a quel punto proprio no.

Scosse la testa, togliendosi dal viso il sorriso stupido che gli era spuntato da qualche minuto e, proprio in quel momento, il suo cellulare squillò. Era appoggiato sul letto, perciò dovette alzarsi per raggiungerlo, afferrarlo e successivamente leggere il nome che lampeggiava sul display.

Kurt.

Pensò che fosse strano che lo stesse chiamando, visto che di lì a qualche ora si sarebbero visti, e ne dedusse che volesse informarlo che non sarebbe venuto, a causa di un qualche impegno improvviso, o che avesse una delle sue solite paranoie da ‹‹Stai bene, David?››.

Infatti, dopo quell’episodio, anche quando Dave era tornato a casa sua dall’ospedale, Kurt lo aveva chiamato spesso, anche solo per assicurarsi che non si sentisse solo, con una madre che ormai lo guardava in maniera diversa e con un padre che in realtà era sempre fuori per lavoro.

Perciò, con queste premesse ed esperienze, quando rispose alla chiamata, Dave disse, con un ghigno sul viso: ‹‹Vuoi sapere come sto o semplicemente dirmi che oggi sono libero dalla supervisione del mio babysitter?››.

Tuttavia quello che sentì non fu una risposta sarcastica in pieno stile Hummel, ma un suono indistinto, come uno squittio.

‹‹Kurt›› lo chiamò, per assicurarsi che non stesse parlando a vuoto, magari con la sua tasca, ‹‹Ehi, ci sei?››.

Un altro suono simile e poi un sussurro: ‹‹Dave…››.

Era la sua voce, ma quella singola parola fu pronunciata con tono fievole e tremante, al che Dave andò in panico: ‹‹Kurt, che hai?›› si affrettò a chiedere, i muscoli tesi per l’agitazione.

La persona dall’altro capo del telefono singhiozzò più forte, emettendo un lamento straziato: ‹‹Dave, vieni qui, ti prego…››.

‹‹Dove sei? Che succede?›› domandò l’altro. Ogni cosa nella sua mente si era distorta. Il sorriso di Kurt, sulla soglia di camera sua, era scomparso ed al suo posto si era posto il pianto. Il resto del mondo aveva perso importanza, i suoi compiti ne avevano persa, i suoi problemi di vita ne avevano persa, nel sentire la voce rotta di Kurt. Qualsiasi cosa era futile in quel momento.

‹‹Breadsticks… Vieni subito, ti prego… Ho bisogno di te…››.

Dave rimase per quasi un minuto in silenzio. Uno strano formicolio allo stomaco lo aveva invaso. Le mani gli tremavano. Quella spiacevole sensazione lo stava divorando. Voleva tanto sapere subito cosa stesse succedendo, ma sentire il racconto per telefono avrebbe voluto dire lasciare Kurt in quello stato, da solo, per ancora più tempo.

Si impose di stare calmo e, prima che Kurt lo pregasse ancora, rispose: ‹‹Arrivo subito. Tu non muoverti››. Chiuse la chiamata e si precipitò fuori dalla stanza. Afferrò le chiavi della macchina di sua madre e, senza neanche dire che stava uscendo, varcò la soglia di casa. Aprì la portiera, si sedette al volante, mise in moto e partì. Guidò frettolosamente e in una decina di minuti arrivò al locale indicatogli. Parcheggiò e scese dall’auto. Si avvicinò alla vetrina del ristorante e sbirciò all’interno, ma non vide Kurt, quindi si voltò ed esaminò i dintorni.

‹‹Ma dove cavolo è?›› imprecò, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni con l’intento di richiamare Kurt, ‹‹Gli avevo detto di non muoversi!››, cercò il suo nome tra le chiamate ricevute, ma prima che potesse pigiare il pulsante per chiamare, sentì di nuovo quel singhiozzo. Rimise il cellulare al suo posto, svoltò sulla strada adiacente all’ingresso di Breadsticks e lì lo vide.

Se ne stava accovacciato a terra, con le gambe rannicchiate, le braccia attorno ad esse e la testa china sulle ginocchia. Gli si avvicinò velocemente, chiamando il suo nome, e Kurt alzò il capo. Aveva le guance rigate dalle lacrime e imporporate, gli occhi arrossati ed un espressione distrutta.

‹‹Dave…›› disse, mentre le sue spalle sobbalzavano per i singhiozzi, poi si alzò in piedi, barcollando un po’, ed abbracciò il ragazzo più grande, affondando la faccia nella sua felpa.

Dave ebbe un tuffo al cuore, in un primo momento, nel sentirlo così vicino, col profumo dei suoi capelli che gli invadeva le narici e le sue braccia attorno al suo busto, ma poi lo strinse forte a sua volta. Gli accarezzò la schiena dolcemente più e più volte, non smise neanche un momento mentre gli sussurrava: ‹‹Calmo, sono qui…›› e dopo qualche minuto Kurt sembrò più tranquillo, nonostante le lacrime non fossero ancora cessate. Ma Dave non poteva aspettare oltre senza sapere e così esclamò, senza giri di parole: ‹‹Dimmi che è successo››.

Kurt tornò a guardarlo e rispose: ‹‹Blaine…›› senza riuscire ad aggiungere altro, senza riuscire a trovare la forza per farlo.

‹‹Che è successo a Blaine?›› insistette Dave, ma quando le lacrime dell’altro ragazzo diventarono più copiose di quanto già non fossero e lo sguardo quasi ferito irreparabilmente, si corresse: ‹‹Che cazzo ha fatto Blaine?››.

Kurt pianse forte, così forte da non riuscire a parlare, mentre stringeva la felpa di Dave tra le mani in maniera disperata. Quest’ultimo attese pazientemente una risposta. Il suo istinto gli diceva di fare tutt’altro, ma Kurt era distrutto e non poteva forzarlo, soprattutto perché c’entrava Blaine.

‹‹L’ho visto…›› disse ad un certo punto, ‹‹Stava baciando Sebastian…››.

E fu allora che tutto si fermò. Dave continuava a guardare Kurt con la fronte aggrottata, cercando di mettere insieme un significato diverso da quello che la frase realmente gli suggeriva. Kurt era terribilmente scosso e il solo vederlo in quello stato, associandolo alla causa di tutto quello, faceva sì che le mani di Dave prudessero per la voglia che aveva di prendere a pugni quell’ingellato di Blaine. Esse avevano perfino smesso di accarezzare la schiena di Kurt, mentre quest’ultimo continuava a versare lacrime, senza riuscire a smettere. E più Dave osservava quella scena, più la sua rabbia si faceva concreta e la sua espressione furiosa. Lui aveva lasciato Kurt nelle mani di Blaine, per poi vederlo gettato via in quel modo?

Serrò la mascella e riprese a muovere la mano sul dorso di Kurt, stavolta nel tentativo di calmare anche sé stesso, e borbottò: ‹‹Quel figlio di…›› ma si trattenne dal continuare.

Kurt strinse Dave più forte, mentre i suoi singulti diminuivano gradualmente, forse per la stanchezza o forse grazie alle attenzioni del più grande, ma le lacrime non si fermarono del tutto.

‹‹Non sono riuscito a tenere Sebastian lontano da lui… Non sono riuscito ad avere qualcuno di solo mio… Perché?›› bisbigliò Kurt. La gola gli faceva male ormai e la sua voce divenne roca quando aggiunse sofferente: ‹‹Sono così poco… interessante?››. E l’ultima sillaba divenne un cigolio flebile, mentre esplodeva di nuovo in un pianto lamentoso ed angosciato, ed affondava il viso nell’incavo del collo di Dave.

Quest’ultimo s’irrigidì al contatto con la guancia incredibilmente calda di Kurt, ma era troppo fuori luogo lasciarsi andare ai sentimenti, prendere tra le mani il viso di quel fragile ragazzo, agli occhi di Dave bellissimo, e baciarlo così intensamente da riuscire a stordire entrambi.

In quel momento, Kurt aveva bisogno solo di un amico che lo prendesse per le spalle, lo allontanasse con delicatezza per poterlo guardare in faccia e per dirgli: ‹‹Non dire stronzate! Tu sei perfetto così come sei!›› esattamente come accadde in realtà, e fu l’unica cosa che riuscì a zittire i gemiti del ragazzo e a farlo restare con le labbra dischiuse, occhi negli occhi con Dave, le guance ancor più rosse, colpito dalla frase dell’altro.

Ci fu un silenzio imbarazzante, tanto che anche Dave si ritrovò con le gote calde, e per distrarsi e, allo stesso tempo, far capire a Kurt che era sincero, continuò esclamando: ‹‹E se quella testa di cazzo non se n’è resa conto significa che non ha capito proprio niente della vita!››.

Lo stupore sul volto dell’altro svanì quasi subito e il suo sguardo, di nuovo cupo, ricadde sull’asfalto.

‹‹Ehi›› fece Dave in un sussurro gentile, chinando il capo per cercare di incontrare gli occhi di Kurt, ‹‹Dico sul serio… Ma l’hai visto come si veste? Non le sa apprezzare le belle cose››.

‹‹Le sa apprezzare eccome›› rispose l’altro di getto, stringendo le labbra con amarezza.

Dave fece scivolare i palmi dalle spalle su per il collo di Kurt, costringendolo ad alzare il viso, e quest’ultimo, accompagnato da un brivido inaspettato, immerse ancora una volta i suoi occhi nel verde di quelli di Dave.

‹‹Non sa cosa sta perdendo. Sebastian non è neanche la metà di quello che sei tu››.

Dave sapeva che con quelle parole stava intendendo molto di più. Forse stava cercando inconsciamente di mandare dei segnali a Kurt. Voleva che lui capisse che anche se la storia con Blaine sarebbe andata male, la sua vita non sarebbe terminata con essa, perché Kurt ne era così pieno, di vita, da donarne un po’ a chiunque incontrasse.

Certo, ora pensava che Blaine fosse tutto quello che aveva, tutta la sua vita, ma in realtà era solo una piccola parte di essa. Avrebbe voluto dirgli questo, dirgli che poteva essere felice con qualcun altro, magari con quello stesso ragazzo che stava stringendo disperatamente, perché in quel momento era l’unico a stare male per lui.

A Blaine non era importato. Lui era la causa di quel dolore e Dave voleva proteggere Kurt da esso, fargli dimenticare tutto, anche solo con un abbraccio. E così portò la mano destra dietro la sua nuca, avvicinandolo di nuovo. Kurt non protestò, lui che odiava vedersi toccare i capelli, sempre impeccabili, non disse nulla, anzi continuò ad aggrapparsi a lui e se Dave fosse stato un tipo gracile, probabilmente avrebbe rischiato di essere stritolato dal più piccolo.

‹‹Ti accompagno a casa›› sussurrò Dave contro la guancia di Kurt e lui scosse la testa, mentre il suo corpo ancora tremava.

‹‹Non voglio… E se scoppio a piangere davanti a tutti? Non posso far preoccupare papà…›› mugugnò.

‹‹E dove vorresti andare, scusa?›› chiese l’altro, fissando il capo di Kurt in attesa di una risposta.

Quest’ultimo tornò a guardarlo e la sua espressione era quasi supplicante.

‹‹Cosa…?›› poi Dave capì, ‹‹No, non se ne parla. Tuo padre mi ucciderebbe››.

‹‹Ti prego, Dave…›› cigolò Kurt – la voce ormai lo aveva quasi abbandonato.

‹‹Non puoi stare da me! Non ho neanche una camera per gli ospiti!››

Kurt tirò su col naso e si portò il palmo ad asciugarsi una guancia bagnata di lacrime.

‹‹Il fatto è che se torno a casa, sembrerà tutto troppo reale…››

Dave roteò gli occhi, ma non poté evitare di rimanere piacevolmente affascinato dalla faccia da cucciolo che aveva assunto Kurt. Senza accorgersene, si ritrovò a stringere un lembo del pullover del più piccolo, mentre aggiungeva: ‹‹Non puoi scappare dalla realtà››.

Kurt s’incupì di nuovo e Dave si affrettò ad aggiungere: ‹‹Ma se dovessi scoppiare a piangere, puoi sempre dire che hai preso un brutto voto al compito di francese››.

Il ragazzo dagli occhi chiari aggrottò la fronte: ‹‹Ma io sono bravo in francese!›› protestò.

Non c’era molto da fare. L’orgoglio degli Hummel valeva più di qualsiasi altra cosa.

‹‹Lo so. Per questo ci sei rimasto male›› disse Dave con un sorriso dolce in volto, mentre la sua mano destra si spostava sulla guancia di Kurt per poi carezzargliela con il pollice, ‹‹E se hai bisogno puoi chiamarmi… Anche stanotte o domani, quando sarai a scuola››.

Kurt ci pensò un po’ su, poi capì che la sua non era stata una richiesta sensata ed annuì, sussurrando: ‹‹Va bene››.

Dave contemplò per un po’ l’espressione sconfitta di Kurt, poi sciolse l’abbraccio, mentre quest’ultimo faceva lo stesso.

‹‹La macchina è parcheggiata là in fondo›› disse, indicando un punto poco lontano da Breadsticks, al che Kurt annuì nuovamente, senza però aggiungere nulla.

Entrambi presero a camminare e poi entrarono in macchina, il tutto in silenzio. Anche il viaggio non fu animato da nessun genere di discorso e questo non aiutò Dave a non pensare agli occhi tristi di Kurt ed alla chiazza di lacrime ancora visibile sulla sua felpa. Kurt guardava assorto il mondo fuori dal finestrino, mentre Dave lo osservava di tanto in tanto con la coda dell’occhio e cercava di immaginare quante volte ormai la scena del bacio tra Sebastian e Blaine fosse passata nella sua testa, come un flashback che si ripeteva all’infinito. E fu allora che chiese, senza pensarci due volte: ‹‹Blaine ha ricambiato?››.

Kurt si voltò di scatto, quasi sobbalzando a quella domanda improvvisa, e lo fissò con un’espressione stupita.

‹‹Il bacio…›› aggiunse Dave, temendo che Kurt non avesse recepito completamente quello che gli stava chiedendo, ma si pentì subito di aver fatto quella domanda. Era inopportuna e rischiava di far scoppiare in lacrime Kurt, di nuovo. Distolse lo sguardo dagli occhi spenti del più piccolo e si concentrò sulla strada, anche se non completamente. Temeva che la sua risposta avesse potuto nuocere alla sua guida.

Anche Kurt guardò altrove, le sue scarpe precisamente, e rispose con un ‹‹Sì›› sussurrato.

‹‹Scusami, non dovevo chiedertelo›› borbottò Dave, mentre stringeva più forte il volante tra le mani, colto dalla rabbia.

L’altro ragazzo scosse la testa: ‹‹Non ti preoccupare›› rispose, e poi tornò il silenzio.

Quando arrivarono a casa Hummel, Kurt scese dall’auto salutando velocemente Dave e ringraziandolo, e quest’ultimo, dal canto suo, gli ricordò di chiamarlo se avesse avuto bisogno di qualcosa. Poi lo guardò sparire dietro la porta d’ingresso e rimise in moto.

Nel tragitto che lo separava da casa sua, ripensò alle sensazioni che aveva provato vedendo Kurt così straziato e depresso, e giurò a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per rivedere il sorriso che tanto lo aveva conquistato e che un tizio di nome Blaine si era portato via. Giurò anche che se quell’ingellato avesse fatto qualche altra cazzata – detto in un gergo più garbato – si sarebbe ritrovato meno virile di quanto già non fosse.

 

 

 

Kurt parcheggiò l’auto, inserì il freno a mano e tolse le chiavi dal quadro. Rimase a fissare per un po’ l’edificio del McKinley con una spiacevole morsa allo stomaco e la stanchezza che gli gravava su tutto il corpo, a causa delle ore di sonno perdute e spese a piangere mentre se ne stava raggomitolato nel suo letto.

Alla fine, a cena non era crollato, ma sembrava che suo padre si fosse accorto comunque che c’era qualcosa che non andava. Tuttavia si era limitato a dirgli: ‹‹Hai una brutta cera. Cerca di non studiare troppo o ti rovinerai la salute›› senza guardarlo in faccia. Ed entrambi sapevano che Burt era a conoscenza dello stato d’animo di Kurt, pur non comprendendone perfettamente la ragione, ma suo padre non aveva cercato di scavare a fondo più di tanto. Solo aveva alzato lo sguardo quando Kurt aveva annuito, cercando di sembrare sereno, ed aveva studiato con attenzione l’espressione falsa del figlio, per poi aggiungere: ‹‹Se ti serve aiuto, chiedi pure a me. In francese non sono tanto bravo, ma con i calcoli me la cavo abbastanza››.

Il sorriso di Kurt si era allargato un po’ e poi aveva risposto: ‹‹Grazie, papà››.

E non lo aveva ringraziato per l’aiuto che gli aveva offerto per lo studio, ma per quella traccia di preoccupazione che aveva intravisto nelle sue parole, e per il significato che avevano e che potevano percepire solo loro due.

Era un legame indissolubile il loro. Burt sapeva quando era il caso di intervenire e suo figlio era cosciente del fatto che quello non fosse il momento giusto. Per questo era stato forte davanti al resto della famiglia, ma poi una volta salito in camera, mille pensieri si erano affacciati alla sua mente e quelle gocce di afflizione erano esplose tutte insieme.

Blaine… Era lui l’unico pensiero. Immaginare che lui non sarebbe stato più suo, immaginare a come sarebbe stato rivederlo a scuola e sentirlo inventare scuse su scuse per restare insieme… Tutto quello gli faceva male.

Si era buttato sul letto e aveva continuato a versare lacrime, senza più muoversi di lì.

E poi il suo cellulare aveva vibrato. L’aveva lasciato in tasca, ignorandolo, ma cinque minuti dopo aveva vibrato di nuovo. Lo aveva preso, aveva sbloccato la tastiera e aveva aperto il primo sms che gli era arrivato. Non era riuscito a riconoscere il mittente per gli occhi appannati e pieni di lacrime, così se li era asciugati con una manica e poi aveva iniziato a leggere:

 

Da: David Karofsky

A: Kurt Hummel

Sxo ke tuo padre nn t abbia diseredato x il brutto voto in francese.” [1]

 

Kurt aveva abbozzato un sorriso, mentre un’altra lacrima gli andava ad accarezzare una guancia e poi aveva aperto il messaggio successivo.

 

Da: David Karofsky

A: Kurt Hummel

“Asp. Nn dirmi ke stai piangendo d nuovo.”

 

E mentre Kurt stava per aprire la schermata per rispondere al messaggio, ne era arrivato un altro.

 

Da: David Karofsky

A: Kurt Hummel

Nn permetterti d fare stronzate, Kurt! Risp!”

 

Il ragazzo dagli occhi azzurri aveva scritto velocemente una risposta, dicendogli di non preoccuparsi e che gli sarebbe passata, ma poi avevano finito per messaggiare fino a notte inoltrata.

Erano le 3:00 passate quando Dave si era addormentato con il cellulare in mano e Kurt, non vedendolo rispondere più, gli aveva scritto un ultimo messaggio che recitava:

 

Da: Kurt Hummel

A: David Karofsky

“Buonanotte e grazie di tutto, Dave. Ti voglio bene… davvero.”

 

L’aveva riletto un paio di volte, perché gli era sembrato così strano digitarlo, ma poi si era detto che Dave se lo meritava e aveva inviato.

Come se fosse stato dettato dall’istinto, mentre pensava alla notte precedente, tirò fuori il cellulare dalla sua tracolla, poggiata sul sedile al suo fianco, ed aprì la casella dei messaggi inviati. Scorse di nuovo le parole di quell’ultimo sms e, ad ogni lettura, gli sembrò sempre più appropriato. Grazie ad esso, quella mattina, Kurt si sentiva decisamente meglio. Certo, non tanto da poter dire di stare bene, ma abbastanza per poter sostenere lo sguardo di Blaine. Almeno il suo sguardo, perché se avessero intrapreso un discorso, probabilmente sarebbe scoppiato di nuovo a piangere e gli avrebbe urlato contro, in preda all’ira ed in maniera estremamente patetica.

Fu quello il motivo per cui, una volta sceso dall’auto ed entrato a scuola, evitò con fare strategico tutti i posti in cui avrebbe potuto incontrare Blaine. Non si fermò nemmeno davanti al suo armadietto. Sfrecciò in classe, dove avrebbe dovuto seguire la prima lezione della giornata, e successivamente fece lo stesso per tutte le altre, fino ad arrivare all’ora di pranzo, durante la quale si andò a rinchiudere in biblioteca, sedendosi ad un tavolo molto isolato. Spense il cellulare, in modo tale da impedire a Blaine di ritracciarlo, ed attese che il tempo passasse.

Aveva un piano preciso da attuare. Le parole non sarebbero state il suo forte, visto lo stato in cui era, e dunque l’unica cosa che poteva fare era riversare in una canzone tutta la rabbia che sentiva nei confronti di Blaine.

Arrivò addirittura in ritardo al Glee Club di proposito, pur di non veder distrutti i suoi propositi di vendetta.

Esatto, quello non era solo un modo per esprimersi, serviva anche per far sapere a tutti chi si celasse dietro al viso angelico del suo ragazzo.

Così quando giunse nella sala canto e vide l’impazienza negli occhi di Blaine, che probabilmente l’aveva cercato per tutto il giorno, si diresse subito verso il professor Shuester, in piedi vicino alla lavagna. Quello interruppe il suo monologo e si concentrò su Kurt, che si affrettò a dirgli sottovoce: ‹‹Professor Shue, so di essere in ritardo, ma devo chiederle di farmi cantare una canzone… è importante››.

Will studiò attentamente le occhiaie del suo studente e l’espressione supplicante che aveva assunto, e poi acconsentì, andandosi ad accomodare accanto a Quinn, su una delle sedie libere.

Kurt si avvicinò al pianoforte e bisbigliò qualcosa all’orecchio di Brad, scoccando delle occhiate fulminee al suo ragazzo, il quale sembrava si stesse preparando ad una serenata romantica, dato il sorriso enorme che ostentava in volto. Brad annuì e posizionò le dita sui tasti del piano, mentre Kurt si allontanava per prendere posizione al centro della stanza e chiudeva gli occhi.

La musica iniziò. Era un motivetto orecchiabile, simpatico ed abbastanza movimentato. Dalle facce degli spettatori, sembrava che non fossero molti, coloro che conoscevano quella canzone. Infatti, soltanto Tina aveva un’espressione stranita, mentre cercava di accertarsi dell’identità di quel pezzo, mimando titoli di canzoni a Mike, che si dimostrò più impreparato del previsto. Anche Puck, seduto in fondo all’aula, pareva aver capito di che canzone si trattasse, tanto è vero che aveva la fronte aggrottata e le labbra dischiuse.

Quando Kurt fu in vista della prima strofa, spalancò le palpebre, assunse un cipiglio serio e poi prese un bel respiro per iniziare a cantare. [2]

 

‹‹I’m rolling the dice, got the wind in my hair,

I’m gonna kill my boyfriend, yeah…

‘Cause he’s only nice, when there’s somebody there,

I’m gonna kill my boyfriend!››

 

Nel cantare quell’ultimo verso le sue iridi chiare si posarono sulla figura di Blaine, il cui sorriso si era spento gradualmente, intanto che gli occhi dei loro compagni si furono spostati su di lui, scioccati.

 

‹‹It’s been a minute love,

wish we’d never broke it off.

I hated that we separated, can’t forget you no.››

 

Il moro boccheggiò un paio di volte e si guardò intorno, notando Mercedes che cercava di chiedergli con un paio di gesti cosa significasse quell’esibizione, al che il ragazzo fece spallucce, con un’espressione confusa.

 

‹‹But now I got an another, I got a ring,

I got a lover, I’m about to have a mother in law.

And things are kinda perfect, but I know you’re fucking worth it.

There’s only one thing I can do to break it off, come on!

I’m rolling the dice, got the wind in my hair,

I’m gonna kill my boyfriend, yeah…

‘Cause he’s only nice, when there’s somebody there,

I’m gonna kill my boyfriend!››

 

Blaine tornò a guardare Kurt e lesse nei suoi occhi tutto ciò che voleva sapere.

C’era dolore in quell’acquamarina e il formicolio allo stomaco gli diceva che lui aveva scoperto tutto, che sapeva di lui e Sebastian, che era quello il motivo per cui voleva ucciderlo.

 

‹‹Kill, kill, kill, I’m gonna, Kill, kill, kill,

So we can run away just like we said.

Kill, kill, kill, I’m gonna, Kill, kill, kill,

So we can be together like we planned.››

 

Finn assunse un’espressione sconvolta, mentre il soprano emetteva quella serie di parole rabbiose, battendo a tempo il piede destro sul pavimento, con altrettanto fervore. Rachel, seduta al suo fianco, gli afferrò un braccio con entrambe le mani, quasi spaventata dalla forza di quella canzone.

 

‹‹You’re the one I want, everything I’m dreaming off.

Don’t make me break his heart into million pieces, no.

But every time I’m with him, I imagine that we’re kissing,

and I’m wishing he was you all along.

And boy I’m so committed, I’m so deep, there’s no more digging.

There’s only one thing I can do to solve this mess, come on!

I’m rolling the dice, got the wind in my hair,

I’m gonna kill my boyfriend, yeah…

‘Cause he’s only nice, when there’s somebody there,

I’m gonna kill my boyfriend!››

 

Kurt riprese col ritornello e sembrava che ad ogni frase venisse fuori più odio. Sembrava che avesse immagazzinato all’interno di quel motivo tutto sé stesso, tutto ciò che non riusciva a dire.

Il cuore di Blaine batteva veloce, quella brutta sensazione gli si era aggrappata addosso.

La musica rallentò e la voce del ragazzo raggiunse note più alte. Le sue labbra cominciarono a tremare. Stava per crollare, ma prima doveva finire. Doveva mostrarsi forte.

 

‹‹And I’ll do the time, you’re my sweetest crime,

You know that I’ll wait for you, baby…

And we’ll be apart, but you’ll have my heart,

I’m saving it all for you, baby…

And I’ll do the time, you’re my sweetest crime,

You know that I’ll wait for you, baby…

And we’ll be apart, but you’ll have heart,

I’m saving it all for you, baby…››

 

Ripeté ancora una volta il ritornello, respirando tra una pausa e l’altra, ma la gola cominciava a fargli male e gli occhi ad appannarsi.

 

‹‹I gotta kill my boyfriend…››

 

Brad smise di suonare, mentre gli sguardi attoniti di tutto il Glee Club fissavano alternativamente Kurt e poi Blaine. Ci fu silenzio per quasi un minuto intero, poi fu Santana a rompere il ghiaccio.

‹‹Deve averlo fatto proprio incazzare›› sentenziò, gli occhi puntati sul moro.

‹‹Kurt, era molto bella ma…›› fece Rachel, ancora terrorizzata.

‹‹Non abbiamo capito per chi era›› concluse ingenuamente Finn, ‹‹Insomma, se è per me, mi dispiace. Non volevo mettere i calzini sporchi nella tua biancheria››.

Ammesso che tutti si stessero chiedendo o meno cosa ci facessero i calzini di Finn nella biancheria di Kurt, nessuno si espresse per saperne di più. Qualcuno si limitò a scoccare occhiate scettiche al ragazzo che aveva appena parlato, ma nulla di più.

Kurt fissò il suo fratellastro e disse con una smorfia, dopo aver deglutito: ‹‹No, non era per te, ma per una persona importante››.

Blaine trattenne il respiro senza trovare le parole giuste da dire.

‹‹O almeno per me lo era›› concluse. La sua voce era diventata più acuta e tremante, ed i suoi occhi avevano preso a lacrimare.

Non doveva piangere, non lì.

Fece qualche passo indietro e poi scappò via dalla sala canto.

Blaine scattò in piedi e fece per seguirlo, ma Mercedes lo afferrò per il colletto della camicia.

‹‹Prima di svignartela, devi spiegarmi che cavolo è successo››.

‹‹Non è il momento, Mercedes!›› sbottò Blaine, sfuggendo con violenza dalla presa della ragazza di colore. A quel punto, intraprese una corsa sfrenata. Doveva raggiungere Kurt.

Fece slalom tra un gruppo di studenti che stavano chiacchierando in corridoio e successivamente si precipitò fuori dal McKinley, nel parcheggio.

‹‹Kurt!›› lo chiamò, ma quello aveva già spalancando la portiera della sua auto e vi si era introdotto, ‹‹Kurt, ti prego, aspetta!››.

Il ragazzo dagli occhi chiari chiuse lo sportello e cercò di infilare le chiavi nel quadro, con mano tremante, fallendo miseramente per almeno tre volte.

Blaine raggiunse la vettura ma, proprio in quel momento, quella si mise in moto e sfrecciò via, quasi sfiorandolo.

‹‹Kurt…›› sussurrò, a mo’ di resa, mentre fissava il veicolo allontanarsi sempre di più, con un grande senso di colpa a gravargli sul cuore, ‹‹Perdonami…››.

 

 

 

Non appena il suono del campanello echeggiò in casa Karofsky, Dave spalancò la porta di camera sua e scese le scale a due gradini alla volta, finché non giunse all’ingresso ed aprì la porta. Kurt stava sull’uscio con lo sguardo basso e l’espressione vuota, le mani intrecciate l’una all’altra davanti a sé.

Dave emise un sospiro sollevato nel vederlo.

‹‹Cazzo, Kurt, dov’eri finito?›› imprecò, mentre l’ansia cominciava ad andare via dal suo corpo, ‹‹Ho provato a chiamarti tutto il gio…›› ma si interruppe.

Il ragazzo dagli occhi chiari si era buttato tra le sue braccia, le palpebre serrate per cercare di dimenticare ogni cosa avvenuta quella mattina. Dave strinse le labbra, ma non riuscì comunque ad impedirsi di dire: ‹‹No, ti prego… Non ricominciare a piangere…››, e pensò che fosse il caso di riguadagnare un po’ di punti, dopo quell’affermazione, e quindi gli avvolse le braccia intorno alla vita, con un gesto delicato e rassicurante.

Kurt sollevò il viso, prima immerso nell’ampio petto del ragazzo più alto, per potergli rivolgere un’occhiata abbastanza truce e allo stesso tempo offesa.

‹‹Non ne avevo intenzione›› mentì, ma i suoi occhi parlavano da soli e Dave se ne accorse.

‹‹Sì, come no›› replicò e Kurt mise su un broncio.

‹‹La mia sensibilità è già devastata a dovere. Non puoi essere così cattivo con me››.

Dave distolse lo sguardo dall’altro ragazzo. Era decisamente troppo per lui, con quell’espressione sul volto.

Si schiarì la voce e poi continuò: ‹‹Scherzi a parte, io non sono cattivo, sono semplicemente obbiettivo. E tu non puoi stare male per questa storia!››.

Kurt aggrottò la fronte.

‹‹Dave, è passato solo un giorno…›› ribatté.

‹‹Ma puoi superarlo›› insistette l’altro e il ragazzo dagli occhi chiari abbassò lo sguardo.

‹‹Tu non capisci…››.

‹‹Invece sì!››.

Dave esitò un attimo. Quella conversazione stava prendendo una piega inaspettata, ma non poteva fermarsi al primo ostacolo, non poteva ostinarsi ad impedire a quella piccola parte del suo cuore di lottare contro la ragione.

Sospirò sonoramente e poi cercò di riprendere un tono di voce calmo nel proseguire, dicendo: ‹‹Capisco benissimo quello che stai provando. Ed è difficile, lo so, ma… Pensa alle persone che ti ritengono veramente importante››.

‹‹Mio padre?›› sbuffò ironicamente Kurt.

‹‹A parte tuo padre…››.

‹‹Blaine era l’unica persona alla quale pensavo di importare…››.

Il ragazzo più alto indossò un sorriso amaro e poi posò le mani sulle spalle di Kurt, allontanandolo con un movimento abbastanza brusco.

‹‹Blaine…›› scandì Dave, con quella stessa espressione, e Kurt si ritrovò a boccheggiare più volte, senza sapere come proseguire quella discussione.

‹‹Se dovessi restarci male di nuovo, quando l’avrai perdonato, non dire che non ti avevo avvertito›› sbottò il più grande, prima di voltarsi ed incamminarsi verso la cucina.

Kurt inspirò profondamente, per trattenersi dal dire qualche efferatezza al suo interlocutore, ma quello che venne fuori, subito dopo, non fu meglio di quanto avesse previsto: ‹‹Non ti preoccupare. Non ti disturberò la prossima volta che sarò in crisi!››.

Dave si bloccò nel bel mezzo del corridoio, dopo quella sfuriata, ma Kurt non ci diede peso e fece per andarsene.

Prima che potesse oltrepassare l’ingresso però, si voltò un'ultima volta per prorompere nuovamente: ‹‹E scordati le battaglie pomeridiane contro il sottoscritto, a quegli orribili videogame!››, poi afferrò la maniglia della porta d’ingresso ed uscì, chiudendosela con forza alle spalle.

Fantastico. Non aveva nemmeno provato a sostituirsi a Blaine, che lui e Kurt avevano già litigato come una stupida coppietta.

‹‹Fanculo…››. [3]

 

 

 

Kurt lanciò la sua tracolla sul letto e si lasciò cadere a faccia in giù su di esso. Buttò fuori tutta l’aria che aveva in corpo e quasi rischiò di rimanere soffocato, con il viso affondato nel piumone. Quando si rese conto che era il caso di tornare a respirare, alzò il capo; poi allungò la mano verso la sua borsa, frugandoci dentro e tirando fuori il cellulare, rimasto spento da quella mattina.

Lo accese svogliatamente, trovandovi qualcosa come sette chiamate e tredici messaggi. Le prime ovviamente erano quasi tutte di Blaine, tranne un paio il cui mittente era Dave.

Passò alla casella dei messaggi, eliminando rapidamente tutti quelli provenienti dal suo ragazzo, senza prestare la minima attenzione al contenuto. Tra essi vi era anche un messaggio preoccupato di Mercedes. Lo lesse in fretta, ma non rispose.

Chiuse la schermata e passò all’ultimo messaggio non letto, di Dave, risalente a quella mattina.

 

Da: David Karofsky

A: Kurt Hummel

“Pure io, anke se in modo un po’ diverso…”

 

Era la risposta all’sms che Kurt gli aveva inviato la sera prima.

Il suo cuore iniziò a battere inaspettatamente veloce e le sue guance si fecero calde. Rimase a fissare, per diversi minuti, lo schermo del suo cellulare, con un’espressione stupida sulla faccia.

‹‹Pensa alle persone che ti ritengono veramente importante››.

Non poteva credere a ciò che quelle frasi gli suggerivano.

Possibile che Dave pensasse ancora di essere innamorato di lui?

La schermata si oscurò, ma Kurt rimase ancora così, con gli occhi puntati esattamente dove prima vi era il messaggio. Qualcosa dentro di sé gli diceva che stava sbagliando tutto con Dave. Il fatto era che lui non lo pensava soltanto… Lui era maledettamente innamorato di Kurt, per davvero, senza ogni ombra di dubbio; ma quest’ultimo, non si sapeva il motivo, era restio ad accettarlo. Forse perché lui e Dave avevano fatto parte di due mondi diversi per troppo tempo e si erano legati l’uno all’altro solo in seguito a quell’avvenimento.

Se ci ripensava, Kurt sentiva ancora il terrore addosso, di quando gli avevano riferito ciò che aveva fatto Dave. Si rivedeva andare su e giù, per il corridoio dinanzi alla presidenza, in attesa di notizie, e poi risentiva il sollievo che aveva provato, nel venire a conoscenza che era salvo.

Ma tutto quello non significava niente. Lui era preoccupato perché si sentiva in colpa, e non perché ricambiava i suoi sentimenti. Oltretutto Dave aveva accettato la loro amicizia, non si aspettava nient’altro da lui.

E mentre quel dubbio si accingeva a fare capolino nella sua mente, la stanchezza di quei due faticosi giorni prese il sopravvento e Kurt cadde addormentato, col cellulare in mano, lungo disteso, a pancia in giù sul suo letto, e con l’immagine di Dave a popolargli i sogni.

 

 

 

Kurt posò con cura alcuni libri nel suo armadietto. Le lezioni si erano appena concluse e l’umore mite, che si era portato dietro tutto il giorno, sembrava essere rimasto invariato, in particolare perché Blaine non si era visto, anche se si era aspettato che lo pedinasse, pur di riuscire a parlargli a quattr’occhi. Vero che lui aveva fatto di tutto per non incontrarlo, anche quella mattina, ma comunque non era preparato a tutta quella tranquillità.

Tuttavia il silenzio e la pace durarono poco, perché a sostituire Blaine ci pensò la sua migliore amica Mercedes, che apparve al suo fianco, proprio nel momento in cui chiuse l’armadietto.

‹‹Prima che tu riesca a smaterializzarti col pensiero, voglio sapere che è successo tra te e Blaine›› lo interrogò, con un cipiglio crucciato in volto.

Kurt roteò gli occhi, sospirando e sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla.

‹‹Mercedes, ti prego… Non mi va di parlarne›› borbottò, sorpassandola con nonchalance.

‹‹Perché? Io e te ci diciamo sempre tutto›› gli ricordò lei, seguendolo a ruota.

‹‹Sì, ma ora è diverso. Se inizio a parlarne rischio di allagare la scuola con una quantità immane di lacrime››.

‹‹Addirittura? E meno male che era una cosa passeggera!››.

Il ragazzo si fermò e la guardò stranito.

‹‹E chi ha mai detto che lo era?›› domandò.

‹‹Il tuo ragazzo… ieri›› rispose lei, con una smorfia.

‹‹Il mio ex ragazzo, vorrai dire›› puntualizzò Kurt, riprendendo a camminare.

‹‹Allora è definitivo?›› chiese l’amica.

Il ragazzo espirò di nuovo, stanco di rimanere su quell’argomento.

‹‹Lui può vederla come vuole, ma io non lo perdonerò mai›› dichiarò deciso.

‹‹Non sarà che… Non ti avrà mica…›› Mercedes trattenne il respiro e poi concluse, portandosi una mano davanti alla bocca sconvolta, ‹‹…tradito?››.

Kurt strinse i denti, ma non rispose.

Mercedes lo guardò con un’espressione rammaricata e disse: ‹‹Oh, Kurt… Perché non me ne hai parlato?››.

‹‹Semplicemente perché non sapevo nemmeno io cosa fare›› rispose lui calmo, ‹‹E poi non c’era molto da dire…››.

‹‹Kurt, se hai bisogno di…››

‹‹Ho già pianto abbastanza, grazie… ›› la interruppe lui e, proprio quando Mercedes stava per informarlo di quanto fosse acido nei suoi confronti, giunsero in sala canto.

Stavolta era Blaine a stare al centro della stanza, con un gomito poggiato al pianoforte, e sembrava quasi che stesse attendendo il suo arrivo. Kurt non lo degnò di uno sguardo e si diresse insieme a Mercedes ad occupare un paio di posti in prima fila. I loro compagni intanto se ne stavano in silenzio, col fiato sospeso, senza permettere che nessun movimento sfuggisse loro.

Il moro si drizzò e si volse verso il ragazzo appena entrato, schiarendosi la gola.

‹‹Kurt…›› iniziò a parlare con voce incerta e dispiaciuta, ma il diretto interessato sollevò il mento e distolse lo sguardo, ignorandolo, ‹‹So che non vuoi parlarmi, ma… Ascolta quello che ho da dire››.

Blaine fece una pausa per studiare i lineamenti di Kurt ed, in particolare, i suoi occhi. Non ci fu alcun cambiamento in essi, quindi proseguì, sperando di stare agendo nel modo giusto.

‹‹Io ho sbagliato, me ne sono reso conto, ma non puoi negare di amarmi, così… all’improvviso››.

Si interruppe. Kurt gli aveva rivolto uno sguardo truce, ma rimaneva comunque in silenzio.

‹‹Visto che le parole non ti convincono, te lo dirò con una canzone e allora capirai che in realtà, anche se in questo momento vorresti che tacessi, noi due restiamo comunque anime gemelle››.

Come se tutto fosse stato programmato, al concludersi di quella frase, Puck iniziò a suonare la chitarra, dal fondo dell’aula. [4]

Kurt riconobbe le note iniziali di quella melodia e già gli si cominciava a formare un groppo alla gola, anche se non riusciva a distinguere bene tra la rabbia e il dolore, in quell’istante. Semplicemente nella sua testa cominciavano ad affollarsi una marea di immagini: il suo primo incontro con Blaine, sulle scale della Dalton, i loro duetti, il primo bacio, la loro prima volta ed erano così tante da fargli percepire tutto quello che aveva sentito per Blaine, durante il corso della loro storia.

Tuttavia dopo c’era quella scena, quel bacio traditore che guastava ogni cosa e gli mozzava il respiro in maniera inevitabile.

Strinse i denti, mentre l’oscurità lo inghiottiva e le parole della canzone iniziavano ad echeggiare nella stanza.

 

‹‹Incompatible, it don’t matter though, ’cos someone’s bound to hear my cry.

Speak out if you do, you’re not easy to find.››

 

Tuttavia non ebbe alcun crollo, nonostante lo avesse previsto, perché come una luce in fondo ad un corridoio buio, nei suoi pensieri apparve Dave, e sentì il suo abbraccio, il suo calore, quello che aveva fatto per lui nei due giorni precedenti, e tutte le lacrime che aveva asciugato. La sala canto del McKinley sparì e rimasero soltanto le parole di quel motivo… e Dave.

 

‹‹Is it possible Mr. Loveable is already in my life?

Right in front of me or maybe you’re in disguise.››

 

Era strano come non riuscisse ad associare quelle strofe a Blaine, che era stato la persona più importante in assoluto, fino a quel momento.

Ma era più forte di lui. Ogni frase, presente in quella canzone, gli ricordava Dave e la sua figura lo faceva stare bene. Non c’era più la paura di rimanere da solo. Perfino la rabbia era sparita e il suo cuore batteva forte, in vista di sentimenti sconosciuti anche a lui stesso.

Blaine era lì, davanti a lui, che cantava, ma avrebbe potuto esserci benissimo qualcun altro. A Kurt non sarebbe importato.

 

‹‹Who doesn’t long for someone to hold? Who knows how to love you without being told?

Somebody tell me why I’m on my own, if there’s a soulmate for everyone.››

 

Chi non desidererebbe ardentemente qualcuno da stringere?

Chi sa come amarti senza che gli venga detto?

La risposta era chiara e sentirla echeggiare dentro il suo petto, confusa ai suoi battiti, lo fece quasi star male. Che stava combinando? Perché era lì a perdere tempo ad ascoltare una canzone così vera, ma cantata dalla persona sbagliata?

Come se i suoi pensieri stessero seguendo i suggerimenti del destino, in quel preciso momento, il suo cellulare vibrò. Lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni, mentre Blaine lo squadrava accigliato, mentre snocciolava per la seconda volta il ritornello e Kurt non si preoccupava di prestargli attenzione. Aprì l’sms che era apparso sulla schermata e sapeva già che era di Dave, prima ancora di scoprirne il mittente.

 

Da: David Karofsky

A: Kurt Hummel

“Qualunque cs tu stia facendo, esci. Sn davanti scuola e devo parlarti.”

 

Il ragazzo dagli occhi chiari accennò un sorriso e scosse leggermente la testa, mentre studiava la quantità di vocali mancanti nel messaggio dell’altro ragazzo. Dopo di che, non attese neanche che il suo cervello metabolizzasse il senso di quella frase. Forse un paio di settimane prima sarebbe stato riluttante dal confrontarsi sentimentalmente con Dave, ma in quella situazione, con Blaine che cercava di farsi perdonare con un pezzo inadeguato ed i suoi pensieri concentrati su altro, non indugiò affatto sul da farsi.

Scattò in piedi, mettendosi la borsa in spalla, al che Brad trasformò la sua espressione gioviale in una basita, per la prima volta in tutta la sua vita, e smise di suonare, nel momento in cui Kurt iniziò a percorrere a grandi passi la distanza che lo separava dall’uscita della sala canto.

Blaine si interruppe a metà della strofa finale e, prima che l’altro ragazzo potesse raggiungere il suo obbiettivo, lo fermò, afferrandogli un polso.

‹‹Kurt, ti prego… Non andartene›› lo implorò.

Ma lui non si voltò, gli rispose soltanto: ‹‹Mi dispiace…›› e fece scivolare via il braccio dalla presa del suo ex ragazzo.

L’intero Glee Club aveva mostrato stupore a quella scena, perché sicuramente avevano intuito che fosse stato Blaine a commettere qualche sgarro a discapito di Kurt, ma quest’ultimo aveva replicato in quel modo, come se ad avere torto fosse lui. Anche il moro aveva assunto un cipiglio simile. Era lui a doversi rammaricare, non Kurt. Era stato lui ad aver ceduto a Sebastian.

Eppure Kurt non riusciva ad evitare di sentirsi in colpa, perché senza accorgersene si era ritrovato a mentire. Senza accorgersene aveva tradito Blaine, anche se non fisicamente. Non c’era stato un bacio o altro, come nel suo caso, ma tantissimi altri fattori che li avevano allontanati: il tempo trascorso a casa di Dave, le risate che si erano fatti insieme dopo quel brutto episodio, il modo in cui parlavano, si guardavano e le sensazioni che gli riempivano il cuore quando si abbracciavano. Infine a monitorizzare tutto quello vi era solo un interrogativo: come sarebbe stata la sua vita senza Dave?

Era strano chiederselo, perché senza Dave non avrebbe incontrato Blaine e senza entrambi non avrebbe capito cosa significasse essere innamorati. Avrebbe continuato a prendere cotte assurde per soggetti come Finn o Sam, e ciò non era minimamente paragonabile a quello che provava adesso, nell’uscire di corsa da scuola e nel vedere Dave, appoggiato al muro, con le mani nelle tasche dei pantaloni, e lo sguardo illuminato dai raggi del sole.

Il ragazzo più alto fece uno scatto, quando lo avvistò, scostandosi dalla parete all’improvviso, e poi si avvicinò a lui con passo traballante e incerto. Nel parcheggio non c’era nessuno, c’erano soltanto loro due e forse fu per questo motivo che, quando Dave lo raggiunse, non perse neanche un secondo e lo abbracciò stretto stretto, come mai aveva fatto nei due giorni precedenti, nei quali Kurt era stato male.

‹‹Dave…››

‹‹Non permetterti di tornare con quell’ingellato›› borbottò al suo orecchio, ma più che sembrare un ordine, parve di più una supplica, ‹‹Se ti vedo di nuovo piangere, non rispondo delle mie azioni››.

Kurt sorrise, accoccolandosi meglio sul suo petto e poggiando le mani sulla sua schiena.

‹‹Non lo farò›› bisbigliò e Dave arrossì, nel sentirlo in pace con sé stesso, tra le sue braccia, ‹‹Anche perché ho un motivo in più per non farlo›› continuò Kurt.

‹‹E sarebbe?›› chiese il più grande con voce tremante.

Chissà perché, una piccola parte di sé sapeva già cosa stava per dirgli Kurt. È chiaro, a volte si è così in sintonia con una determinata persona, da riuscire a capire cosa le passa per la testa, prima ancora che possa aprire bocca. E questo era quello che c’era tra di loro. Un filo sottile e invisibile che li collegava in ogni istante.

Kurt sollevò la testa, per poterlo guardare negli occhi mentre gli dava una risposta. Aveva di nuovo il suo solito sorriso radioso in volto e le guance teneramente colorite. Il cuore di Dave rischiò di esplodergli in petto, in quel frangente, soprattutto perché l’altro si era sporto verso di lui, alzandosi sulle punte.

‹‹Perché è di te che sono innamorato›› soffiò Kurt, congiungendo le labbra con quelle di Dave. Quest’ultimo chiuse gli occhi, quasi simultaneamente a quel contatto, ed inspirò a fondo temendo che, se non l’avesse fatto, sarebbe collassato al suolo per l’emozione. Si abbassò un po’, per permettere a Kurt di non rimanere in quella posizione scomoda, ed allo stesso tempo spostò una mano dietro la sua nuca. Le loro labbra si accarezzarono dolcemente per diversi minuti, ma quando il più piccolo le dischiuse per poter sentire meglio il sapore di quelle di Dave, quest’ultimo si allontanò di qualche spanna dalla bocca di Kurt.

‹‹Aspetta… Tu ami Blaine, stai soffrendo per Blaine e… sicuramente sei confuso. Non posso approfittare di questa situazione››.

‹‹No, è questo il problema›› rispose Kurt, respirando più velocemente del normale, ‹‹Io non amo più Blaine… e non perché mi ha tradito, non solo per questo almeno››.

Dave continuò a studiare la sua espressione, trattenendo il respiro e aspettando che Kurt continuasse. Era certo che i suoi pensieri non finissero lì e che volesse, con tutto sé stesso, metterlo al corrente di quello che sentiva.

‹‹Io sono innamorato di te… Non so dirti se da San Valentino, dal tuo incidente, dai pomeriggi passati insieme, o da molto prima… Non so dirlo››, fece una pausa, cercando le parole giuste con cui continuare, ‹‹Ma se ripenso a tutti quei momenti, io non riesco a negarlo o a dire che non provo niente… Perché per me sei tutto e senza di te io… mi sento perso››.

E non c’erano parole più vere di quelle, talmente tanto vere e bellissime da udire, che Dave non ebbe più dubbi. Portò anche l’altra mano dietro il capo di Kurt e lo avvicinò, tornando a baciarlo con più sicurezza e ardore. Il ragazzo dagli occhi chiari si strinse maggiormente a lui, lasciandosi trasportare dalla deliziosa battaglia che avevano intrapreso le loro lingue.

Entrambi si sentivano al posto giusto, erano felici ed erano finalmente insieme.

 

Fine.

 

~

 

Note:

[1] No, non ho sbagliato a scrivere, sto davvero usando il linguaggio sms per i messaggi di Dave. Non me ne vogliate, ma lui è Yoghi ed è figo, e quindi può. xD

[2] Natalia Kills, Kill my boyfriend. Al solito, vi consiglio di ascoltare la canzone, mentre leggete.

[3] Lo so, il mio Dave è abbastanza scurrile, ma non riesco a immaginarlo diversamente. È una fic, quindi lasciatemi fantasticare. :P

[4] Natasha Bedingfield, Soulmate. Mettete play mentre leggete, perché questa è la canzone Kurtofsky per eccellenza!

   
 
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