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Autore: Distorted Soul    31/03/2012    3 recensioni
[...] Lui continuava a suonare la stessa sequenza di note, come il disco rotto di un giradischi; iniziava sempre con un Sol e terminava con un altro Sol, poi dopo una breve pausa ricominciava da capo come in un loop senza fine e la melodia non trovava mai la sua conclusione.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gone

 

 

 

 

Faceva dondolare le gambe in un gesto quasi meccanico. Le braccia erano poggiate sulla superficie lucida del pianoforte su cui era seduta e la testa leggermente inclinata a sinistra. Gli occhi erano chiusi.

Lui continuava a suonare la stessa sequenza di note, come il disco rotto di un giradischi; iniziava sempre con un Sol e terminava con un altro Sol, poi dopo una breve pausa ricominciava da capo come in un loop senza fine e la melodia non trovava mai la sua conclusione.

Alzò il proprio volto su quello disteso di lei che, come se l’avesse percepito nonostante gli occhi chiusi, si girò a scrutarlo. Non riuscì a guardare troppo a lungo quelle iridi verdi così diverse dal solito, così spente. Abbassò il capo.

« Perché ti fermi sempre a metà? » gli chiese con quella voce che lui non riusciva nemmeno a riconoscere come sua.

Non rispose.

Concluse la sequenza e ricominciò. Ancora.

Strinse gli occhi e si morse il labbro inferiore. Avrebbe continuato a suonare quelle stesse note senza smettere, finché la sua anima non avrebbe ceduto.

« Soul... devi lasciarla andare. » il tono perentorio lo illuse. Ma lei non era più lì.

« Io... non posso. »

« No. – lo contraddì lei – Tu non vuoi. »

Il ritmo aumentò; le sue dita si muovevano sempre più veloci sui tasti lucidi d’avorio.

Già, non voleva. Per questo non terminava la melodia.

Quello che sembrava un rantolo uscì dalla sua gola, che bruciava di parole non pronunciate; gli occhi pizzicavano di lacrime a cui non aveva permesso di fuoriuscire. La mente vacillava tra senno e pazzia.

Una nota stonata lo costrinse a fermarsi. Spalancò gli occhi prima di sbattere violentemente i pugni chiusi sulla tastiera. Come aveva potuto sbagliare?

Portò i palmi al capo immergendo le dita nei propri capelli.

« Soul. » lo chiamò. Lui rialzò il viso fissando quel volto tanto familiare, ma senza espressione. Senza sorriso.

Si mise in piedi a fatica, a causa del lungo tempo passato seduto, continuando a fissarla con sguardo sconfitto. Preso da qualcosa che non seppe definire se non come disperazione si gettò su quel corpo sottile che tante volte aveva stretto per un motivo o per l’altro, abbracciandolo ancora una volta. Illudendosi.

Era freddo.

Nascose il viso nell’incavo del suo collo, ispirando un profumo che non c’era ma che era vivo nella sua memoria.

« Non puoi andare via. Maka... non posso lasciarti andare via. »

Si rivolse a lei pur sapendo che quello che stava abbracciando non era altro che il frutto di un suo ricordo e degli ultimi residui dell’anima di lei, quelli che gli erano rimasti legati. Quelli che lei stessa gli aveva donato insieme alla propria fiducia anni addietro.

« Ma devi. »

« No! » urlò stingendola più forte. Era tutto ciò che gli rimaneva, solo una sorta di fantasma a cui era forse connesso il suo ultimo barlume di lucidità. Lasciarla andare avrebbe significato il vuoto. Di nuovo.

Si allontanò da lui, permettendogli di guardarla in viso. Gli pose una mano sulla guancia destra, accarezzandogli lo zigomo, la mascella e la mandibola fino a giungere all’angolo delle sue labbra.

« Lei vorrebbe che la lasciassi andare. E che tu uscissi da qui. »

Lui scosse lentamente il capo, ponendo la propria mano sulla sua. Fredda.

« Non posso. »

« Non sono realmente lei. »

« Lo so! – esclamò quasi urlando. Strinse gli occhi. – Ma non posso. »

Gli prese l’altra mano e lo ricondusse al pianoforte facendolo sedere. La lasciò fare, mentre un enorme senso di resa lo pervase: non c’era davvero altra alternativa?

Lei gli si pose alle spalle, i palmi su di esse.

« Per favore, termina la melodia. Fallo per lei. »

Ancora una volta strinse gli occhi. Alzò le mani per posarle sui tasti bianchi e neri e ricominciare a suonare.

La melodia dell’anima di Maka. C’erano la sua tenacia – o testardaggine, come aveva sempre preferito definirla – la sua forza, il suo coraggio in essa. C’era lei.

Ma stavolta non si arrestò al solito Sol; il motivo trovò la propria continuazione mentre le note si mescolavano ad un’altra melodia più cupa e caotica, la propria, andando a formare quella che era la musica che ogni volta guidava la loro risonanza. Ora non avrebbe più potuto fermarsi...

Il tempo dapprima andante si faceva sempre più veloce, fino a divenire allegro, poi vivace e poi rallentare nuovamente. Quante volte aveva sentito quella musica sprigionarsi dalla loro eco? Eppure nemmeno il suo pianoforte riusciva a riprodurla perfettamente, e ora non avrebbe più potuto riascoltarla allo stesso modo.

Il pezzo raggiunse la fine, concludendosi con un Do.

Tirò un sospiro sofferto prima di voltarsi verso la figura alle sue spalle.

Gli sorrideva.

« Grazie. » gli disse, mentre un’unica lacrima bagnava la sua guancia. La sfiorò con un dito: era di nuovo calda.

« Maka... » pronunciò il suo nome in un sussurro appena percepibile. Lei annuì sorridendo accarezzandogli il volto.

« Mi dispiace. »

« Anche a me. È colpa mia, se avessi- » gli pose un dito sulle labbra zittendolo. Non gli avrebbe permesso di prendersi colpe che non gli spettavano.

Lui si beò di quel contatto così vero, ma anche così leggero. Il suo tempo stava finendo. Le afferrò il polso e le baciò le dita.

« Per favore. Non puoi... lasciami. » la implorò con un tono che forse lei non gli aveva mai sentito usare. Disperato.

« Mi dispiace. » gli disse di nuovo.

Avvertì il suo tocco farsi sempre più impercettibile e la sua presenza divenire flebile. Spalancò gli occhi mentre la paura lo assaliva.

« No... » sussurrò un’ultima volta, prima di vederla scomparire lentamente; sul suo volto c’era un sorriso, che non lo consolò. Provò ad abbracciarla ancora, forse in un ultimo tentativo di tenerla con sé, ma trovò solo l’aria.

Crollò sulle ginocchia e batté con rabbia i pugni sul pavimento a scacchi. E le lacrime che aveva fino a quel momento trattenuto sgorgarono fuori con violenza, mentre un urlo strozzato si levava nell’ambiente scuro.

Si rimise in piedi solo per riposizionarsi di fronte al suo pianoforte e ricominciare a suonare. Le note si fondevano alle sue urla e tutto ciò che otteneva era caos e dolore.

Avrebbe continuato, ancora e ancora. Per paura di dimenticare quella melodia, lei. E se questo l’avesse portato a perdere se stesso non gli sarebbe importato, perché il suo ricordo avrebbe continuato a bruciare nella sua memoria. Che gli avrebbe fatto male lo sapeva, ma la sua anima era già lacerata. E avrebbe lasciato la follia divorarlo – per quel che ne sapeva lo stava già facendo.

Non gli importava.

Perché non ci sarebbe stato più nessuno ad aspettarlo oltre la soglia di quella stanza cupa.

 

Sol.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~ ~ ~ ~

 

Esperimento. Anche mezzo nonsense.

Tentativo di scrivere qualcosa di anche solo vagamente triste.

Ho paura che sia OOC, non sono così convinta che Soul possa avere una reazione simile. Certo, dipende anche dalle circostanze – che non sono state specificate apposta.

Il Sol corrisponde alla nota G nella notazione dei paesi in lingua inglese e tedesca – Wikipedia docet – che è la nota che Maka sceglie nel capitolo 42.

Mi auguro che sia piaciuta, almeno un po’.

Saluti, torno nel mio oscuro e angusto angolo, sperando di riuscire a tornare presto.

 

 

   
 
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