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Autore: Mami Shimizu    01/04/2012    1 recensioni
Molto spesso essere deriso da tutti ti fa chiudere in te stesso se non chiuderti in casa. Questa cosa è successa a Yuuto, protagonista della storia e hikikomori che cerca, anche se non sembra, di uscire da questo suo stato.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Salve a tutti e ben trovati. Sono sempre io con un'altra storia. 
Diciamo che ho preso l'idea dell'hikikomori da un libro con questo soggetto però tutto il resto è originale e, in alcuni casi, reale. 
Spero solo che la storia sia abbastanza bella e che appassioni molti lettori.
P.S: A fine capitolo ho messo il significato di alcune parole (sottolineate) cosicché la lettura si presenti più semplice e facile da capire. 
Grazie per l'attenzione ^^





Come ogni mattina di quelle calde giornate di ottobre, mi svegliai molto presto in una pozza di sudore. Questo caldo è soffocante. Pensai, chiuso nel mio appartamento, alzandomi dal futon posizionato a terra. Dondolando, mi avviai verso il frigo. Lo aprii e ne tirai fuori una lattina di pepsi. Come colazione non è la migliore, però almeno mi sveglia. La bevvi tutta d’un sorso e iniziai a vestirmi. Camicia rosa a maniche corte, jeans che si fermavano prima delle caviglie, sandali ed il cappello. Non ci tenevo molto al mio aspetto e poi, finita la scuola, sarei tornato direttamente a casa. La mia vita era una cosa monotona. Stavo chiuso in casa quasi tutto il giorno. Uscivo di mattina per andare a scuola e di lunedì, mercoledì e venerdì sera per andare a lavoro al kombino sotto casa. In poche parole ero un hikikomori a metà, e non ne andavo per niente fiero. Comunque, uscii subito ed andai verso la fermata della metropolitana che arrivò poco dopo.
Salii sulla metro e scesi alla stazione un isolato prima della scuola. Superai l’enorme cancello di metallo nero che segnava l’ingresso nell’istituto e mi diressi in classe. Passavo velocemente tra le persone che mi guardavano con disgusto e che sparlavano di me. Altre ancora mi guardavano terrorizzate. Riuscivo a sentire tutto quello che dicevano: «Che schifo. Perché non se ne torna a casa?» Oppure: «Oddio! Proprio qui doveva passare?!» Io cercavo di non farci caso e continuavo a camminare. Perché non stanno zitti?!  Pensavo. Voglio tornare a casa… Voglio starmene chiuso in casa a guardarmi gli anime…  Aumentai il passo stringendo i pugni. Tremavo dalla rabbia e anche dalla paura. Avrei voluto dir loro di tutto. Avrei voluto sfogarmi davvero ma, in fin dei conti, avevano ragione. Faccio schifo.. Uno come me dovrebbe davvero starsene chiuso in casa senza mai uscire.. Ma..! Io lo farei anche, ma le circostanze che mi si sono presentate mi obbligano a uscire di casa, ad andare a scuola ed anche  a lavorare! Neanche mi si può chiamare hikikomori a me! Sono di più ad un freeter! «Aah» Sospirai. Anche etichettarmi come freeter mi fa sentire un rifiuto..
Continuai a camminare nel lungo corridoio in cui si trovava la mia classe e, arrivato davanti alla porta, sentii delle voci: «Ahahah! Quando lo vedrà, li passerà la voglia di venire a scuola.» Aprii lentamente la porta e, attorno al mio banco, vidi un paio di compagni che, vedendomi, si dispersero in tutta la classe. Mi avvicinai al mio banco e vidi cosa avevano fatto. Il banco era pieno di incisioni, disegni terrificanti, dei insulti scritti con l’indelebile,  prese in giro e paragoni con varie schifezze. Rimasi a guardare quelle cose e sentivo anche le persone che avevano scritto quelle cose ridacchiare. Cercai di mantenere un’espressione impassibile, cosa assai difficile, e misi la borsa sul banco per coprire il tutto. In classe entrò la professoressa di italiano, la Signorina Tilslitt, ed invitò tutti a sedersi. Appena mi poggiai alla sedia, caddi a terra, sbattendo il sedere al pavimento. In quel momento la classe scoppiò in risate e iniziarono a prendermi in giro. Guardai la sedia e vidi una gamba piegata. Mi rialzai lentamente. La Sign.Tilslitt mi chiamò fuori dalla classe. «Yuu-kun..Stai bene? Se mi dici chi è stato posso punirli.. » Mi disse lei preoccupata. «Sto bene..» Le risposi stringendo la borsa che mi ero portato dietro, pronto a tornarmene a casa. «Vuoi dirmi chi è stato, Yuu-kun?» «..Non so chi è stato, mi spiace..» Ovviamente mentivo ma, se lei li avesse puniti, la mia situazione sarebbe peggiorata. «…Potrei tornare a casa? Non mi sento bene..» Le chiesi. Lei sospirò. «..va bene..» Rispose mettendomi una mano sulla testa, sorridendomi. 
 
*** 
 
Uscii dall’istituto e mi incamminai verso casa. Anche per la strada di casa ne sentivo di tutti i colori. Perfino i bambini e gli anziani ridevano di me. Voglio mettere fine a questa mia miserabile vita ma, se lo facessi, riterrei me stesso un codardo.. «Aah..» Finalmente arrivai a casa. Chiusi subito la porta dietro di me, buttandomi sul futon al centro della camera iniziando a singhiozzare, cosa non molto virile, fino ad addormentarmi. Venni svegliato dalla sveglia puntata per le 16:30. Questo voleva dire che dovevo andare a lavoro. Mi alzai dal futon ed andai a sciacquarmi il fiso. Avevo gli occhi completamente rossi. Probabilmente ho continuato a piangere anche da addormentato. Non posso certo andare a lavoro così. Il capo potrebbe preoccuparsi.. Presi degli occhiali neri e li indossai, uscendo di casa. Arrivai subito dato che i kombini dove lavoravo era molto vicino al mio appartamento. Entrai e, dopo aver timbrato il mio turno, andai dietro la cassa, a leggere un po’. Passò molto tempo e i clienti entravano ed uscivano normalmente. Sempre volti nuovi, probabilmente persone che, passando di qui, ne hanno approfittato a comprare qualcosa. Fra tutti quei volti, ne spiccava uno. Ogni volta che andavo a lavoro e per giunta sempre alla stessa ora, entrava una ragazza dai capelli lunghi neri con la frangetta a mo di caschetto e dei grandi occhi neri. Comprava sempre le stesse cose e, molto spesso, lanciava delle occhiatine rapide verso di me. …anche lei mi prende in giro? Pensai. Finito il suo solito giro del negozio, si avvicinò alla cassa e vi poggiò le cose che aveva in mano. Chiusi il libro che tenevo sulle gambe ed iniziai a passare gli articoli sullo scanner. Passai il primo e mi accorsi che la carta per gli scontrini era finita. «..la carta per gli scontrini è finita. Se mi dai un attimo la cambio..» Le dissi alzandomi dalla sedia. «Ah? V-va bene..» Rispose lei, abbassando lo sguardo. Presi il ricambio per gli scontrini ed iniziai a cambiarlo. «Hai fretta?» Le domandai. «No no.. Prendi tutto il tempo che ti serve, non ti preoccupare..» Forse non è venuta per prendermi in giro… Ma se è così perché mi fissa intensamente coi suoi grandi occhi e poi, perché come mi giro verso di lei, cambia traiettoria di sguardo?! «Aah..» Sospirai. Proprio non capisco le persone. «Sc-scusami per il disturbo..!» Disse la ragazza squarciando il silenzio creatosi nel negozio. «..Eh? Perché ti scusi? Sono obbligato a fare gli scontrini se vuoi saperlo.» Risposi seccamente. «..N-non è per quello.. È che probabilmente stavi per tornare a casa..Esco da qui sempre verso la stessa ora e tu, ogni volta, stai timbrando il cartellino.. Quindi scusami se ti sto facendo perder tempo..» Continuò lei chinando la testa, arrossendo. «…» Non dissi nulla. «..Ho finito..» Dissi tornando a passare i prodotti sullo scanner per poi metterli in una busta. «N-non c’è bisogno che li imbusti pure..!» Disse lei, cercando di fermarmi. «Ti ho fatto perdere tempo anche io col cambio di carta no? Quindi è il minimo..» Finì di mettere le cose nella busta e gliela porsi. «Grazie…Ah! Io mi chiamo Kirino, se ti può interessare.. Tu invece come ti-» «Yuuto.» Le dissi interrompendola, porgendole la busta. «Torna subito a casa.. Camminare da sola a quest’ora non è conveniente..» Aggiunsi poi. Lei mi fece un cenno e mi sorrise leggermente, per poi uscire. 




Hikikomori: letteralmente «stare in disparte, isolarsi») è un termine giapponese che si riferisce a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento a causa di vari fattori personali e sociali delle loro vite. Il termine si riferisce sia al fenomeno sociale in generale che a coloro che appartengono a questo gruppo sociale.

Freeter: 
è un neologismo composto dalla parola inglese free (libero) e da quella tedesca Arbeiter (lavoratore).

Descrive la condizione dei giovani giapponesi di età compresa fra i 15 ed i 34 anni, che terminati gli studi cercano lavori precari e brevi per mantenersi senza perdere la propria libertà. Sono in contrasto con la radicata idea giapponese sul lavoro, spesso sono senza dimora fissa ma riescono ad organizzarsi tra loro ed organizzare dei cortei per far conoscere e portare avanti le loro richieste.

  
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