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Autore: Canada    01/04/2012    0 recensioni
L'ossessione molto spesso porta alla pazzia. E se la vittima di queste attenzioni è la persona con la quale si ha una relazione, quando questa vorrà abbandonarci e lasciarci non potremo fare altro che imporle i nostri sentimenti. Ma per quanto noi amiamo tale persona, arrivati a questo punto, nulla ci impedirà di farle del male.
Lilith è sola. A farle compagnia sono rimaste solo la paura e la consapevolezza di quello che le accadrà in un futuro ormai sempre più vicino.
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Sonno d’oblio]

 
La lama del bisturi affondava nelle carni delle braccia di Lilith ad intervalli irregolari.
Vincent stava sfogando tutta la sua ira nei confronti della ragazza proprio verso di lei, verso il suo corpo. Quanto avrebbe voluto sfregiarle quel suo bel visetto, deturparlo fino a che non ne sarebbe rimasto nulla che avesse potuto ricondurre a lei. Non ci sarebbero più stati grandi occhi da cerbiatto, neri come la pece. Non ci sarebbero più state labbra piene, rosse come lamponi maturati sotto il sole d’estate. Nessun naso leggermente schiacciato, niente più guance rosee, niente più carne, niente di niente.
Le azioni dell’uomo erano tanto improvvise e scatenate quanto lo erano i suoi pensieri, che vorticavano nella sua mente, privi di una guida, privi del buon senso.
Vincent aveva perso il senno della ragione. E Lilith era convinta che non avrebbe avuto alcun senso chiedere perché. La mente umana è così difficile da capire, da prevedere, che persino noi stessi fatichiamo a comprendere le ragioni che ci spingono ad agire in determinate situazione. Questo, Lilith, lo sapeva bene. Esattamente come sapeva le motivazioni che avevano persuaso Vincent a trasformarsi in un pazzo furioso.
Il giovane si fermò, bloccando l’arma a mezz’aria, irrigidendo i muscoli. Preso da un ennesimo raptus di follia, lanciò il bisturi contro la parete dietro di lui, urlando e sbraitando, portandosi le mani sul viso. Gridava cose senza senso e i versi che fuoriuscivano dalla sua bocca a Lilith sembravano proprio singhiozzi. Che Vincent fosse riuscito a vincere per qualche attimo il proprio mostro interiore, mosso dal rimpianto?
Lilith non aveva mai studiato psicologia a scuola, e non le era mai interessata. Aveva sempre creduto, però, di essere in grado di capire le persone al primo sguardo.
Si era innamorata di Vincent perché era stato il primo che lei non era riuscita pienamente a comprendere. In particolar modo lo adorava per la sua imprevedibilità, per le sue sorprese inaspettate. Ma lo detestava profondamente per i suoi cambiamenti di umore improvvisi e per la sua gelosia. Soprattutto per quella.
Si ricordò, proprio in quel momento, di come era iniziata quella follia. Di come si erano messi a discutere, per l’ennesima volta, di Alan. Era solo un amico per lei, eppure, per lui era sempre stato difficile crederlo, quasi impossibile. Stava diventando un’ossessione, era diventata un’ossessione.
Si ricordò di come, presa dalla rabbia e dallo sconforto, gli aveva gridato di volersi prendere una pausa e poi, di come lui l’aggredì, per la prima volta, colpendola al viso.
Era stato come sentirsi mancare la terra sotto i piedi, come se la realtà si fosse improvvisamente attorcigliata permettendo che cose come quelle accadessero anche a lei. Lei, che aveva sempre promesso a se stessa che mai si sarebbe cacciata in brutte situazioni e che mai avrebbe lasciato ad un uomo l’opportunità di trattarla così. Mai avrebbe accettato un compromesso pur di stare insieme ad una persona. Mai se questo compromesso avesse significato rinunciare a se stessa.
Valeva la pena, quindi, tentare l’impossibile per quell’uomo, che tanto aveva amato ma che adesso odiava allo stesso modo? Più lo osservava, più provava orrore verso di lui. Non c’era nessun sentimento d’affetto nei suoi confronti. Non era rimasto più niente.
Spostò lo sguardo verso le sue nuove ferite, così profonde da non avvertirne neanche il dolore. Ne era diventata totalmente insensibile. Ciò nonostante, la vista le si stava annebbiando e la mente le si stava offuscando: anche se il suo cervello aveva deciso di ignorare le condizioni del corpo, il suo fisico non poteva fare altrettanto. Stava perdendo molto sangue.
Si domandò se quelle ferite si sarebbero mai rimarginate. Sicuramente, quelle del sue cuore sarebbero rimaste aperte per molto tempo.
Ma che sto dicendo?, non poté fare a meno di pensare Lilith, io non ho più tempo. Io sto per morire.
 
Mentre Vincent si era abbandonato alla depressione in un angolo di quella che le era parsa una specie di cantina, Lilith si mise a tastare il tavolo su cui era ancora parzialmente legata. Strisciava a fatica le sue belle mani, parzialmente sanguinanti, sulla superficie ruvida del legno su cui giaceva. Alcune schegge le si conficcarono nelle carni, ma non vi badò, vinta com’era dal suo istinto di sopravvivenza. Non si lasciò sfuggire nessuno spazio e prese anche ad esplorare, entro i limiti permessi dalle cinghie, il lato inferiore della tavola. Cercava disperatamente quella cosa. Doveva esserci. Nel posto in cui era, sarebbe stato d’obbligo.
Si allungò fino a che poté e, proprio quando si ritrovò nella posizione più scomoda, lo sentì: la piccola estremità di un chiodo conficcato nel legno. Le venne da piangere, felice che la dea bendata non l’avesse del tutto abbandonata. Usò tutte le forze che aveva, pur di toglierlo da lì, e si aiutò disperatamente con le unghie. Ancora una volta la fortuna l’assistette, permettendole di vincere contro il tavolo su cui era legata. Si riposizionò più comodamente e osservò l’oggetto che era riuscita a recuperare con tanta fatica: era più grosso di quel che si aspettava, per niente arrugginito, ed era lungo quasi quanto il palmo della sua mano. Non era piegato ed era ancora abbastanza affilato.
“Perché mi hai detto quelle cose?” Lilith sussultò: si era completamente dimenticata di Vincent.
Lui si voltò verso di lei, guardandola con occhi arrossati, probabilmente a causa del pianto.
La ragazza prese coraggio e disse: “E ‘u ‘e moivo aei di ‘armi ‘uesto? ‘Uardami!1
A fatica riuscì a ribellarsi al gonfiore della sua bocca e rispose al suo sguardo con lacrime amare.
“Te lo sei meritato, invece. Ti avevo detto di non frequentarlo più, ma tu hai voluto fare di testa tua.” proseguì a dire con tono stranamente pacato.
“Per me è ‘empe ‘ato un amico...3” non riuscì ad aggiungere altro che Vincent le si lanciò contro.
Lilith ebbe la prontezza di nascondere il chiodo nella mano e l’uomo iniziò prenderle a pugni non solo il viso, ormai livido e dolorante, ma anche il busto e il ventre. La giovane donna cercava di urlare il meno possibile, pur di non dargli alcuna soddisfazione. Purtroppo, non era così semplice fare finta che tutti quei traumi fisici non stavano avvenendo.
“È solo un amico, non c’è niente tra noi e bla bla bla! Pensi che ci creda?! Sei una bugiarda!”.
Le attorcigliò le mani attorno al collo e prese a stringere, sempre più forte. Stringeva e stringeva e faceva pressione nel tentativo di strangolarla. La ragazza non ce la faceva più a sopportare tutto quello e, allo stremo delle forze, impugnò saldamento il chiodo colpendo a sua volta Vincent. Dapprima il colpo fu casuale e abbastanza blando, ma subito dopo la rabbia prese il controllo del suo corpo e Lilith iniziò ad affondare quella piccola arma nella testa del giovane uomo, cercando di conficcarlo nel cervello con più potenza possibile. Eppure, l’uomo non dava segno di voler allentare la presa e sembrava, anzi, come ipnotizzato dal suo scopo ripugnante. La fissava con uno sguardo folle, da animale imbizzarrito, e sul suo volto si stava sempre di più delineando un ghigno. Mentre le stringeva il collo, un filo di saliva fuoriusciva dal suo sorriso maligno. Più lui non allentava la presa, più lei colpiva.
“Puttana...”. Quella parola, pronunciata flebilmente, le diede ancora più forza da concentrare contro quell’uomo che le aveva rubato tutto. Finalmente Vincent cedette e, ritornato improvvisamente alla realtà, si allontanò da lei, barcollante e dolorante, premendosi la ferita che aveva alla base delle tempie e dalla quale stava spillando sangue a fiotti.
Lilith si sollevò sul tavolo, cercando mettersi seduta, per quanto le gambe glielo permettessero.
Si osservò stremata ma felice e si rivolse trionfante verso il ragazzo ai suoi piedi.
“Io ‘on ‘ono una ‘uttana2”. Affermò determinata.
“Oh, sì che lo sei”, sentì pronunciare a pochi centimetri dal suo viso.
La giovane donna aprì gli occhi e quello che vide la terrorizzò. L’orrore fu tale che non poté trattenersi e velocemente il suoi pantaloni si macchiarono di orina.
Vincent era lì, la osservava. Non c’era nessuno squarcio sul capo, nessun chiodo tra le sue mani.
Le sue ferite alle braccia dolevano tantissimo e lei aveva già ripreso a piangere.
L’unica cosa che era rimasta tale e quale era il suo ghigno terribile.
“Per quello che hai fatto ti meriti tutto questo”.
Che patetica che sono,si disse Lilith. Davvero ho creduto di potermi salvare?
A volte so essere davvero ingenua.
Vincent impugnò nuovamente il bisturi e lei chiuse gli occhi.
Era stato solo un sogno.
 
 
1 “E tu che motivo avevi di farmi questo? Guardami!”
2 “Per me è sempre stato un amico”
3 “Io non sono una puttana”
  
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