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Autore: Melanto    02/04/2012    7 recensioni
[Spartacus: Vengeance]
«Qual è il tuo nome?»
Come sempre, il bambino non aveva risposto ma si era preparato a essere colpito ancora. Stranamente, lo schiaffo non era arrivato, ma sul volto del dominus si era aperto un sorriso feroce.
«Sei orgoglioso. Sei testardo» aveva ghignato. «Sei uno sciocco. E io so come trattare gli sciocchi come te; i cani che si ribellano al padrone e che non obbediscono ai suoi comandi possono restare solo in un posto.»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nasir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo un nome'
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Nota Iniziale: della vita di molti dei personaggi di Spartacus, prima degli eventi narrati, si sa poco o niente. Di Nasir, ad esempio, sappiamo che aveva un fratello, ma ignoriamo tutto il resto. XD E visto che io mi diverto un sacco a ricamare, pensare e inventare sul non-detto o sul solo-accennato, beh, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di poter dare un corpo più solido al passato di Nasir. :3 (XD fino a che Padre DeKnight, del Convento DeKnight, non deciderà di raccontarcelo egli stesso. \O/ In tutto ciò, devo ancora vedere l'ultima puntata di "Spartacus: Vengeance" *-* e stasera sarà la mia serata-Sparty! XD).

Ho cercato di documentarmi un po' sulla colonizzazione romana verso i territori siriani. Io ero convinta che fossero già stati annessi alla Repubblica e invece, sorpresasorpresa, la Siria sarà occupata solo nel 64 a.C, quindi DOPO gli eventi che riguardano la rivolta servile capeggiata da Sparty. La notizia mi ha anche costretto a modificare lo svolgersi degli eventi nel primo paragrafo, per adattarli alla situazione dell'epoca.
A chi se lo chiederà leggendo le prime righe: sì, in Siria c'è il deserto (conosciuto, appunto, come Deserto siriano e che rappresenta una parte dell'Al-Hamad), e il villaggio di Nasir è ubicato lì vicino, al confine con le prima dune.
XD avrei preferito usare di più la lingua araba ma, ahimé, non la parlo neanche per sentito dire, quindi nisba. -----> NOTA: Mela - Ignoranza: 0 - 1. \O/ All'epoca non parlavano l'arabo, ma l'aramaico!!! Mi sento un culo per non averlo scoperto prima. °-° CMQ, ho risolto! :3 le frasi/parole in arabo sono state convertite in... aramaico XD Non saranno le lingue arcaiche a fermarmi!!! *MWHAHAHAHAHAHAHAH* #Questa suona come una minaccia. #Forse lo è. #Senza 'forse'. XD
*-* uh, e ci sono alcuni rimandini a "Spartacus: Blood and Sand"; una frase in particolare :3333, perché la amavo e perché amavo Andy (T_T).

Ah, sì, la storia si comporrà di soli due capitoli, neanche tanto lunghi (e l'altro è già pronto). :3
Grazie a tutti e buona lettura! :333


Solo un nome

 

- PARTE I -

Era avvenuto tutto in fretta e nel momento peggiore: quando suo fratello non era al villaggio.
I predoni del deserto si erano riversati nelle strade polverose come sabbia durante una tempesta. Della rena avevano anche il colore che a ogni colpo di spada si tingeva di rosso come il sangue che lasciavano nella loro scia.
Arrivavano, uccidevano chi tentava di opporre resistenza, saccheggiavano e facevano prigionieri da rivendere.
E lui, che aveva solo dieci anni e non era veloce abbastanza per sperare di superare un cavallo lanciato al galoppo, era tra questi.
Ma non aveva paura, Nasir, non ne aveva neanche un po’, perché era sicuro che suo fratello sarebbe andato a riprenderlo e non l’avrebbe lasciato nelle mani di quei mercanti d’uomini, come li aveva sentiti chiamare dalle donne.
Per questo, chiuso nel carro con i polsi in catene, non aveva mai abbassato né lo sguardo né la testa. Le orecchie vigili e attente per cercare di sentire, tra il cigolare delle ruote e il ritmo degli zoccoli, l’arrivo degli uomini del villaggio e di suo fratello.
Attorno a lui, invece, gli altri bambini continuavano a piangere e a lamentarsi. Solo bambini. Quel carro ne era pieno. Avevano la sua età, circa; un po’ più grandi, un po’ più piccoli. Nell’altro barroccio, invece, erano state fatte salire le donne più giovani e belle.
Nasir spostò le iridi scure tutt’intorno, fermandole di tanto in tanto sui volti di chi lo osservava a propria volta pur senza vederlo. Tra le lacrime chiamavano i nomi dei loro genitori. Anche lui avrebbe voluto chiamare suo fratello, ma di certo non avrebbe potuto sentirlo, così rimase in silenzio.
Le ginocchia strette al petto e lo sguardo che venne spostato alle porte sprangate del carro.
«Fate silenzio, là dentro!» tuonò la voce di chi era alla guida e un colpo deciso contro il legno fece sussultare tutti. Anche lui, dovette ammettere suo malgrado.
Il lamentio scemò, ma non si spense e gli si aggrappò alle orecchie fino a che non giunsero a Damasco.

«Sei in ritardo, Sargon. Credi che le navi aspettino l’arrivo del tuo fottuto culo prima di salpare?»
Teleus aveva una cicatrice che gli mangiava interamente l’occhio destro e parte della guancia. L’orecchio era saltato via a metà e i capelli avevano smesso di crescere dove il fuoco aveva lasciato il segno sulla carne. Aveva un pessimo carattere e uomini al seguito armati di scudi e spade ed elmi che scoraggiavano qualsiasi replica sgradita.
Il predone calò il cappuccio, rivelando un guercio non dissimile da quello del mercante per carenza di fascino, ma di sicuro meno sfregiato.
Il metallo dei ninnoli che pendevano dalle orecchie tintinnò nel movimento.
La barba era acconciata in una treccina sottile lungo il mento, stretta in tre anelli di rame.
«Il mio fottuto culo arriva quando i fottuti zoccoli dei miei fottuti cavalli decidono di farlo arrivare» replicò a tono, masticando con calma ogni parola. La presenza dei soldati romani non l’aveva mai intimorito più di tanto e i suoi predoni erano in numero superiore, qualora fossero mai venuti alle mani. Eventualità che non conveniva a nessuno dei due.
L’altro grugnì. «Spero che quello che mi hai portato valga la pena d’avermi fatto aspettare, cazzo. E bada bene: se provi di nuovo a fottermi tentando di farmi passare per vergini delle puttane con la fica più larga di quella di tua madre, giuro che non ti salveranno nemmeno gli Dei.»
«Se non sbaglio sei riuscito a piazzarle lo stesso.»
«Sì, ma me le hai fatte pagare il doppio!»
Sargon si strinse nelle spalle, chiudendo la questione con un’espressione di sufficienza. Senza girarsi, fece un cenno con la mano che venne subito recepito da uno dei suoi uomini.
«Ecco i cuccioli che mi avevi chiesto. Roba di prima qualità, puzzano ancora di latte.»
«Lo spero bene. Questa merce è per l’Ellenico e ti ricordo che se io ho un carattere di merda, lui sembra che abbia costantemente il cazzo di Giove piantato nel culo.»
Sargon piegò le labbra in una smorfia divertita, prima di farsi da parte.
Trascinati giù con malagrazia dai modi rudi degli altri predoni, i bambini fecero la loro comparsa, tremanti e stringendosi tra loro.
Nel viavai all’interno del cassone, Nasir sentì solo una mano che lo afferrava rudemente per un braccio. Con uno strattone lo costrinse a scendere, ma quando la luce del sole tornò a ferirgli gli occhi dopo giorni passati nel buio, fu costretto a schermarsi il viso per non rimanerne accecato.
I rumori piovvero su di lui tutti insieme e le gambe quasi faticavano a tenerlo in piedi. Quando fu di nuovo in grado di distinguere forme e figure si sentì perduto. Non riconobbe il posto, non riconobbe la gente che gli passava intorno ed era così tanta, come non era abituato a vederne. Indossavano abiti strani, i colori della loro pelle erano più chiari e quando si trovò davanti quell’imponente scudo si immobilizzò. Lo sguardo salì adagio seguendo il grigio del metallo chiazzato di terra e sangue rappreso fino a incrociare l’uomo dall’espressione aspra e dura che lo impugnava. Il rosso sporco del mantello e dei lunghi crini che cadevano dalla sommità dell’elmo fu tutto ciò che riuscì a scorgere prima di venire spinto per tornare a camminare e unirsi ai suoi piccoli compagni di sventura.
Nasir arrancò, ma non emise un lamento, obbligandosi a stringere denti e labbra.
Erano tutti affiancati quando quello che riconobbe essere il capo dei predoni si avvicinò, accompagnato da un altro uomo che non aveva mai visto. Il bandito li indicava e parlava in una lingua che lui aveva sentito solo di sfuggita, rarissime volte. Aveva memoria solo di poche parole e non vi riconobbe quelle dei due uomini.
«Allora? Che te ne sembra, Teleus?»
Il mercante romano si passò una mano sul mento coperto da un sottile velo di barba incolta. Camminò adagio davanti ai piccoli, li guardò con attenzione strattonandone ora questo ora l’altro per non sfarsi sfuggire nulla – non voleva certo prendersi un’altra inculata –. Grugnì, annuì e infine emise una mezza risata rauca.
«Sta’ a vedere che stavolta mi hai detto il vero.»
«Io dico sempre il vero» precisò Sargon, ma Teleus grugnì di nuovo.
«Sì, certo. Quando non dici stronzate, forse.» Si portò le mani ai fianchi e volse il discorso alla parte pratica. «Quanto vuoi per tutti?»
Sargon tese le labbra in un ghigno che diceva chiaro e tondo che avrebbe sputato una cifra impossibile e che a Teleus sarebbe dovuta toccare una trattativa serrata per riuscire a portare le sue richieste su livelli più ragionevoli.
«Quaranta denari. E dieci cammelli, per ogni moccioso.»
Appunto.
«Dieci cammelli a marmocchio?! Apollo deve averti pisciato fuoco in testa per averti fatto dire una stronzata simile!» Teleus cambiò postura, l’espressione ancora più aspra e la vena che pulsava sul collo. «Venti denari e quattro cammelli a bambino!»
«Trentacinque e otto cammelli!»
«Venticinque e cinque cammelli!»
«Vada per i cinque cammelli, ma voglio trenta denari. È la mia ultima offerta o dovrai tornartene a mani vuote dall’altra parte del mare.» Sargon ghignò. «E non so quanto farà piacere all’Ellenico
Teleus ringhiò. Non aveva tempo di continuare le trattative, dovevano prendere la strada per il porto il prima possibile o avrebbero rischiato di perdere la nave per la Sicilia. E più di un affare poco vantaggioso all’Ellenico facevano imbufalire gli affari non conclusi. E quell’affare era anche di buona qualità.
Emise un verso di disapprovazione e sputò in terra. «E sia, maledetto siriano succhiasangue.» Dalla cintola pescò un sacchetto che gli lanciò così com’era, lasciando al predone l’onere di controllarlo. «Vai da Haziz per prendere i tuoi fottuti cammelli e prega gli Dei che io non abbia a che fare con te almeno per i prossimi quattro mesi.»
Sargon gli fece un ironico gesto a metà tra un saluto e un inchino e si allontanò, seguito dai suoi uomini.
Nasir guardò con apprensione la figura del predone che andava via mentre altri uomini, al servizio di quello sfregiato, presero a dar loro degli ordini, spingendoli, tirandoli, urlando parole che non riusciva a capire, ma il tono era chiarissimo e non ammetteva repliche.
Mentre venivano fatti salire su un nuovo carro, si rese conto che la discussione tra lo sfregiato e il predone non era stata che una trattativa e lui era appena stato venduto.

Romani.
Era così che si chiamavano gli uomini vestiti di rosso.
Come lui era siriano, loro appartenevano a un’altra gente. Una gente rude e violenta, che sembrava volesse dominare su tutto e tutti. Almeno così aveva sempre sentito raccontare quando si trovava al villaggio e gli uomini tornavano parlando di guerre continue oltre il deserto e il mare, e di uomini coperti di rosso che sottomettevano chiunque osava ribellarsi ai loro voleri.
Romani.
Che parlavano una lingua che non capiva e che non facevano che urlar loro addosso per costringerli a stare zitti. Almeno così pensava, perché li sentiva sbraitare solo quando i lamenti degli altri bambini e i loro piagnucolii divenivano troppo forti e fastidiosi.
Romano era l’uomo con lo scudo, ora lasciato appoggiato al legno del fasciame di quella nave piena di acqua e freddo, che continuava a camminare avanti e indietro davanti a loro con espressione dura. Faceva la guardia, assieme a un suo pari, mentre Lo Sfregiato era sul ponte, all’aria aperta.
«Quando la smetteranno di squittire questi luridi topi?!» disse, ma Nasir comprese solo che doveva essere un qualche insulto, a giudicare dal tono usato.
L’altro sembrava essere meno nervoso e gretto, ma il suo volto non era ugualmente rassicurante. «E tu quando la smetterai di ripetere sempre le stesse fottute cose? Sono dei mocciosi, che cazzo ti aspetti che facciano? Che si succhino il pollice?»
«Se vogliono qualcosa da succhiare, gli do volentieri il mio cazzo! Almeno stanno zitti.»
L’altro sbuffò, agitando una mano prima di tornare a ignorarlo.
Il soldato robusto e dall’espressione guercia fermò d’un tratto il suo andirivieni. Gambe divaricate e braccia conserte. Nasir vide che li passava tutti in rassegna con i suoi occhi piccoli e vicini. Poi accennò un ghignetto e si piegò in avanti.
«Sapete quale sarà la vostra fine, scarafaggi? Sarete venduti a nobili domini romani per divenire i loro animaletti da compagnia. Una fine fin troppo degna, rispetto alla vostra sudicia provenienza.» Ridacchiò e i bambini tennero il capo chino, spaventati da quel viso minaccioso e dal tono cattivo. Ma Nasir continuò a fissarlo e il romano se ne accorse: i suoi occhi si fermarono su quelli neri che non sembravano intimoriti né spaventati, ma osavano rivolgergli quasi uno sguardo di sfida. Impudenza.
Il soldato fece sparire il ghigno dalle labbra. «Perché mi fissi? Smettila.» Ma il piccolo tenne le iridi puntate nelle sue senza spostarle di un millimetro. «Ti ho detto di smetterla, fottuto siriano!»
Lo stava minacciando, Nasir capì solo quello. Serrò la mascella e strinse le labbra, impuntato a non dargliela vinta. Suo fratello gli aveva sempre detto di pensare solo a sopravvivere, qualora si fosse trovato in pericolo, e di mettere da parte il suo orgoglio del cazzo; come lo chiamava lui.
Ma l’orgoglio era una bestia difficile da domare.
«Osi sfidare un legionario della Repubblica?! Ti insegno io come ci si comporta!» Con forza caricò il manrovescio e Nasir si preparò a riceverlo in pieno volto quando l’altro soldato intervenne, fermando il braccio prima che potesse calare su di lui.
«Ma che ti salta in testa, imbecille?!»
«Questo moccioso sta-»
«Questo moccioso è roba dell’Ellenico! Se scopre che qualcuno ha malmenato la sua proprietà ti farà tagliare questa fottuta mano!»
Nasir li vide ringhiare l’un contro l’altro come fossero due cani che si contendevano lo stesso osso, poi il primo abbandonò la contesa non prima di avergli rivolto un’occhiata che avrebbe voluto squartarlo lì dove si trovava. Ancora una volta, lui la sostenne, ma sentì le gambe sottili tremargli, nonostante fossero ben strette al petto.
«Sali sopra e fai prendere aria a quel cervello del cazzo che ti ritrovi. Imbecille.»
L’altro non se lo fece ripetere e abbandonò la stiva senza aggiungere una sola parola in più.
Nasir lasciò andare l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento, permettendosi di prendere un respiro più profondo, ma quando si volse a guardare il soldato rimasto, lo trovò che lo fissava con un sopracciglio inarcato e le labbra tese.
«Ti è andata bene solo perché ti ha comprato l’Ellenico. Fossi stato di qualcun altro, gli avrei dato una mano a sfigurarti quel bel faccino che ti ritrovi.»
Nasir pensò non gli avesse detto nulla di rassicurante, ma non abbassò comunque lo sguardo, con quella caparbietà per cui suo fratello l’aveva sempre rimproverato.
E fu proprio pensando a lui che, nel momento in cui il soldato si volse, soffiò quel sottile: «Verrà. Mio fratello verrà. E si prenderà le vostre teste.»
Ma nessuno lo udì.

Il sole di quel luogo chiamato Sishilia era molto simile a quello che picchiava sulla sua terra, così vicina al deserto. E forse quello era l’unico appiglio che riusciva a trovare per non sentirsi troppo solo e lontano da casa.
Casa. A volte si domandava se l’avrebbe più rivista, nonostante si sforzasse costantemente di non pensare al peggio. Ma il passare dei giorni nel mare aperto prima e in vere e proprie gabbie poi stavano minando seriamente tutte le convinzioni e le speranze di Nasir.
Suo fratello non era ancora arrivato, ma quando i dubbi si facevano troppo insistenti, lui scuoteva il capo e si ripeteva che era solo questione di tempo.
Tempo e avrebbe rivisto suo fratello.
Tempo e avrebbe rivisto il suo villaggio.
E il tempo non aveva né scudi né mantelli rossi, quindi non era un nemico.
Da quando erano arrivati, poi, avevano conosciuto colui che li aveva comprati. Lo Sfregiato era stato solo un tramite, il vero padrone era un altro.
Basso, grasso, con la pelle sempre lucida e umidiccia e lunghe stoffe che lo avvolgevano. Emanava un odore dolciastro che lo stomacava ogni volta che gli era vicino. Era talmente penetrante che lo precedeva nel suo arrivare, e Nasir sapeva che era nei paraggi ancor prima di vederlo.
L’Ellenico.
I capelli chiari scendevano appiccicati attorno alla fronte in due riccioli, mentre dietro erano tirati e unti, immobili sulla testa qualsiasi movimento facesse. Gli occhi piccoli, il naso dritto e le labbra che, quando guardava loro, erano sempre tese, fin quasi a sparire, e nelle sue iridi si poteva leggere una cattiveria che faceva tremare le gambe.
Da lui aveva preso il suo primo schiaffo che era stato talmente forte da farlo ritrovare a terra. Come al soldato romano prima di lui, non gli era piaciuto il modo indisponente in cui lo aveva guardato.
Quella era stata la prima volta che Nasir aveva sentito il sapore del proprio sangue e non gli era piaciuto.
Da quell’evento – corrispondente con il loro arrivo in quella terra straniera – erano passati quattro giorni e, come ogni mattina, erano stati portati al mercato. Il loro numero si assottigliava a ogni calare del sole.
Gente flaccida e piena di profumi come l’Ellenico arrivava e portava via uno, due a volte anche tre di loro, e ora erano rimasti in otto.
Nasir aveva preso il fatto che non fosse stato ancora venduto quasi come una benedizione dagli Dei: in questo modo, suo fratello avrebbe potuto trovarlo prima e in un mercato era anche più facile. Il suo modo di impuntarsi e guardare ogni probabile acquirente dritto negli occhi era stata la scelta migliore per venire scartato: nessuno avrebbe mai voluto un piccolo cane sciolto come lui e in questo modo avrebbe potuto guadagnare ancora un po’ di tempo.
Quel giorno non sembrava essere dissimile dagli altri. Come sempre erano stati messi in mostra, esposti tra puttane e guerrieri provenienti da posti totalmente differenti tra loro e le lingue che parlavano si fondevano e accavallavano rendendogli quella dei romani ogni giorno più familiare e vicina a discapito d tutte le altre.
L’Ellenico arrivò con il suo odore pestilenziale e Nasir storse la bocca, nauseato, puntando lo sguardo al suolo. Ma l’uomo non era da solo.
«Ah, gli Dei ti sono stati propizi, buon Flaccus. Quel vino vale decisamente ogni denaro che hai speso.»
«Per una volta si sono ricordati di me, allora» rise l’ennesimo, sconosciuto acquirente vestito con lunghe tonache lucide dai colori sgargianti.
«Gli Dei si ricordano sempre di chi è generoso con noi mercanti.»
Quando parlava con i clienti, l’Ellenico cambiava totalmente espressione; diveniva affabile, tutto sorrisi e cortesia. Secondo Nasir era ancora più disgustoso.
«E allora, di cos’altro hai bisogno di preciso? Un nuovo cucciolo per la tua signora?» riprese il mercante, ma l’altro scosse il capo, agitando velocemente il ventaglio in quella giornata afosa.
«La mia signora preferirebbe che tornassi a casa con qualche nuovo gioiello, piuttosto.»
«Donna saggia e di buoni gusti.»
«E tu sei il solito adulatore affarista.»
L’Ellenico rise, allargando le braccia senza smentire.
Il cliente continuò. «Devo fare un regalo. Domani partirò per Capua e lì, nelle campagne, ho un amico cui devo svariati favori. Oltre al vino, volevo portargli anche un piccolo schiavo da addomesticare e crescere.»
Il sorriso dell’Ellenico si allargò d’estasi. «Ne ho di tutte le razze e le età, ti basta solo chiedere.»
L’altro non titubò. «Un siriano. Maschio.» Agitò il ventaglio scacciando un paio di mosche. «Questo amico ha gusti molto precisi.»
«Gli Dei continuano a passeggiare al tuo fianco, allora, me ne sono rimasti giusto una decina freschi freschi dall’ultimo sbarco, avvenuto qualche giorno fa.» Con un gesto mellifluo e fluttuante indicò proprio loro e Nasir seppe che alla fine di quella giornata il loro numero sarebbe nuovamente calato.
Con il solito orgoglio, sollevò il capo e strinse i piccoli pugni pronto all’ennesimo controllo da parte di mani sconosciute che li toccavano, li valutavano, li facevano girare su loro stessi, strattonandoli rudemente. Li controllavano come fossero state delle bestie qualunque.
La sfilata cominciò. Il cliente camminava lento, ma, diversamente dal solito, sembrava essere più rapido nelle sue valutazioni come se sapesse perfettamente cosa stesse cercando e gli bastasse un’occhiata per capire se ce l’aveva davanti o no.
Fu il suo turno. Nasir lo guardò con il solito atteggiamento sfrontato che, alla fine della giornata, gli sarebbe valso l’ennesimo ceffone e che faceva allontanare subito gli acquirenti, disegnando sui loro visi espressioni di puro sdegno.
Stavolta, però, qualcosa andò storto perché invece di allontanarsi, borbottando insulti, il cliente si fermò. Un lampo di interesse e un mezzo sorriso guizzarono sul suo volto tondo e sudato e Nasir riuscì a sentire un brivido gelido graffiargli la schiena nonostante il sole battesse a picco sopra di loro.
«Questo qui…» iniziò l’uomo smettendo addirittura di farsi vento. Si avvicinò, gli prese il mento tra due dita e lo strattonò affinché sollevasse il viso.
Nasir, caparbiamente, non demorse. Quando l’altro parlò di nuovo sentì d’essersi messo nel sacco con le sue stesse mani.
«…ha il fuoco negli occhi.» Flaccus distese un sorriso ampio e soddisfatto. Girò il volto dello schiavo da un lato e dall’altro, gli abbassò le labbra per valutarne la dentatura e poi fece scivolare rudemente una mano tra i capelli corvini. «Bel colore, bei denti, bei capelli.»
Gli occhi di Nasir corsero svelti dall’uomo all’Ellenico con la sensazione d’essere in trappola.
«Hai scelto proprio il meno docile di tutti» affermò il mercante. «Un piccolo ribelle selvatico.»
«Ah sì?» L’altro non parve preoccuparsene. Anzi.
«Sei davvero convinto che sia il regalo giusto?»
Flaccus si strinse nelle spalle e, finalmente, lasciò il mento di Nasir che arretrò meccanicamente di un passo. «Il bello di questi cuccioli sta nell’addomesticarli. Un cagnolino già mansueto fa perdere tutto il divertimento al padrone.»
L’Ellenico allargò nuovamente le braccia, esibendo un mezzo cenno di assenso. «E sia allora, vediamo di dare un prezzo a questo dono. Venti denari.»
«Oh! Non essere ingordo. Nemmeno per un gladiatore chiedono tale cifra di partenza.»
«Ma qui non siamo a un’asta.» Ci tenne a sottolineare il mercante, con un mellifluo sorriso. «E stiamo parlando di un pezzo pregiato-»
«Che ti resterà sul gozzo se non dovessi trovare qualcuno con amici particolari quanto i miei. Sette denari.»
«Ignorerò la tua scortese mancanza di fiducia, caro Flaccus, e te lo venderò per dieci denari. Un prezzo speciale per un cliente affezionato.»
Flaccus ci pensò un po’, riprendendo ad agitare il ventaglio e valutando un’ultima volta il piccolo Nasir che, immobile e con gli occhi spalancati, si ritrovò a pregare tutti gli Dei che conosceva affinché l’uomo rifiutasse.
Gli Dei non lo ascoltarono, come non l’avevano ascoltato fino a quel dannato momento tutte le volte che gli si era rivolto.
«D’accordo, d’accordo. Dieci denari.»
Il sorriso dell’Ellenico si fece raggiante. «E’ tutto tuo!»
Nasir riconobbe quell’espressione. L’aveva sempre quando l’affare si concludeva bene e quando vide un soldato avvicinarsi a lui per afferrarlo, ritrasse d’istinto le mani, dai polsi stretti in catene, e mostrò i denti, ringhiando, ma non era sufficiente a intimidire un legionario.
Come fosse stato niente più di un fuscello, il romano lo strattonò in avanti, agguantandolo per la vita e caricandoselo sottobraccio.
In quel momento, nonostante di solito non spiccicasse mezza parola con nessuno, Nasir diede fondo a tutta la voce che aveva in corpo. Negli occhi aveva la paura di veder allontanarsi l’ultimo filo che lo teneva legato alla sua terra e che restava avvolto attorno ai polsi dei suoi compagni di sventura.
«Lasciatemi! Lasciatemi andare! Non voglio! Non sono uno schiavo! Non sono lo schiavo di nessuno! Lasciatemi!»
Ma le sue parole non erano che suoni in una lingua che nessuno di quegli uomini conosceva e tutto ciò che fecero fu ignorarlo e raggiungere luoghi più freschi.
Nasir aveva visto giusto, al calare del sole il loro numero sarebbe diminuito ancora, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe stato lui il prossimo a essere venduto.

***

Continua e si conclude nel prossimo capitolo... :) stay tuned.

***

Ciarle randomiche: Nasir ci viene presentato fin da subito con un caratterino niente male, alternato a slanci più miti e pacifici (es: quando vorrebbe consolare Crixus, ma viene fermato da Agron). Con l'andare avanti, beh, XD gli slanci miti sono scomparsi eccetto rarissssssime occasioni e sempre rivolte per lo più o a Agron o a Naevia. Ho avuto come l'impressione che tutto il suo orgoglio, costretto a rimanere compresso a causa del suo ruolo di schiavo, fosse esploso con l'acquisita libertà e quindi mi piaceva l'idea che l'essere battagliero e aggressivo fossero appartenuti anche al suo passato e non solo al presente. Sono stati i suoi atteggiamenti nella serie a permettermi di muovermi attraverso la sua caratterizzazione.
XD Come si dice da me, Nasir è: curto, zico e malecavato (XD in senso positivo, però!).

:3 vi rimando al prossimo e ultimo capitolo. Grazie a chiunque si fermerà a leggere.

   
 
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