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Autore: Melanto    03/04/2012    14 recensioni
[Prima Classificata parimerito allo "Yaoi Captain Tsubasa Contest", di Lily Blackrose]
[Partecipante al "And the Winner is...", di DarkAeris - Vincitrice dell'Oscar per la Miglior Descrizione]
«Tutti hanno una propria idea di come sono. Mi spiace deludervi ogni volta.»
«E come saresti, allora?»
«Pessimo. Come la foglia che si lascia sbattere dal vento fingendo sofferenza, ma che sa di non avere altro. E si accontenta.»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Taro Misaki/Tom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autore: Questa storia è stata scritta per il contest "Yaoi Tsubasa" indetto da Lily Blackrose sul forum di EFP - arrivando PRIMA parimerito con Kourin! ** - , e ha partecipato al contest "And the winner is..." indetto da Dark Aeris sul forum di EFP, ricevendo due nomination (Miglior Dialogo e Miglior Descrizione) e vincendo una statuettina *-* (Miglior Descrizione).

Oscar - - - Mela1

Lo scopo del contest di Lily era quello di scegliere un numero e un elemento. A ogni numero era assegnato un pairing su cui si sarebbe dovuto scrivere... e indovinate chi mi son toccati?! XD
Taro e Jun.
Ok.
La Morte, per me! XD MA!, penso che il Golden 23 mi sia stato terribilmente di aiuto nella focalizzazione del personaggio di Taro. Strano a dirsi, ma Takahashi lo ha approfondito molto più di quello che sembra (e secondo me manco se n’è accorto XD). Comunque, mi sono resa conto di come Taro soffra particolarmente il paragone con Tsubasa. Cerca in tutti i modi di staccarsi dall’immagine della Coppia d’Oro che altro non è che un ‘Tsubasa alla seconda’ e non un ‘Tsubasa e Taro’. In particolare, ogni volta che lo paragonano a Tsu, Taro reagisce in maniera… poco Tarosa, poco ‘pacata’. Anzi, diventa aggressivo (rivelatrice è la partita contro la Nigeria, nel Golden 23; se avesse potuto mangiarsi JJ Ochado l’avrebbe fatto e tante care cose XD). Gli rode, gli rode a morte! Però è anche vero che Taro non riesce a staccarsi da Tsubasa, perché ogni volta che si ritrovano a giocare insieme, la Coppia d’Oro resta sempre lì e lui nella sua ombra, come se non potesse farne a meno. E’ malinconico, il ragazzo, molto.

Nel mio immaginario ‘shonen-ai’, Taro e Tsubasa sono sempre stati la coppia canon per eccellenza XD, tanto che Tsubasa non riuscirei a vederlo slashato con nessun altro (al massimo con Roberto; mentre Taro è accoppiabile a chiunque nel lato francese di mondo XD. Questo è colpa di Chyko). E quindi mi son detta: “Quanto roderà a Taro il fatto che Tsu, alla fine, abbia sposato Sanae?”.
Poi, Jun.
*tossisce rumorosamente*
Non riesco a muoverlo troppo agevolmente, se non per poco. Anche lui è un personaggio ‘criptico’, per certi versi. E, a dirla tutta, non so come me la sia cavata in questa fic. XDDDD
La cosa bella è che questa fic l'ho scritta praticamente in un paio di giorni dall'iscrizione al contest, cioè a inizio Febbraio. XD E l'ho pure scritta senza difficoltà. TROLOLOL.

Partecipare a questo contest è stato divertentissimo *-*, perché mi ha permesso di scrivere l’inscrivibile e il risultato non mi spiace per niente. Bisognerebbe darsi più spesso ai pairing inusuali, giusto per staccare un po’ da ciò che si scrive di solito.
Faccio un grandissimo in bocca al lupo a tutti i colleghi di contest e alla giudice! :D
Buon divertimento a tutti!

(Ok, le note son più lunghe della storia. XD
Ah! E l'elemento che avevo scelto era: il Vento. :3)

Il Vento e la Foglia

 

L’occhio fissava la finestra e il vento che smuoveva le chiome degli alberi.
L’aria scivolava sulle foglie e tra i rami, facendoli vibrare di passione. Una passione che si poteva percepire dall’ardore con cui le fronde andavano avanti e indietro, fuggivano e tornavano, fingevano di opporsi ma non era che una tattica per farsi toccare ancora. Come con un amante, le cui dita davano sollievo all’arsura estiva però gelavano nel freddo invernale.
Il vento non si poteva vedere, ma la sua voce, l’ululare dei suoi sentimenti arrivavano chiari anche attraverso i vetri chiusi e una parte di sé bramava d’esser foglia, per subire quel tocco impetuoso, nascondendo il piacere dietro la ritrosia, ma l’altra parte sognava d’esser vento. Essere amante. E non avere nemmeno un po’ di pietà. Prendere tutto, dare niente. Solo briciole.
L’occhio si chiuse piano scattando una foto di quelle fronde che, nell’immobilità della memoria, sarebbero rimaste solo foglie e rami, senza vento. Sole.
Respirò con forza nel cuscino in cui aveva affondato il viso. La posizione prona, il braccio abbandonato oltre il bordo del letto arrivava quasi a toccare il pavimento con la punta delle dita.
Non voleva vedere il vento che faceva ciò che più preferiva senza che nessuno potesse impedirglielo. Senza che la foglia si ribellasse.
Una mano non sua scivolò sulle lenzuola, arrivando a sfiorargli il fianco nudo. Dita risalirono sulla pelle e si aprirono sulla schiena, toccandola col dorso e le nocche in una carezza leggera e accennata.
«Sei sveglio?»
La voce di Jun aveva un suono più profondo al mattino, per poi addolcirsi durante la giornata.
«Sì.»
«Pessimo umore?»
«Pensieri.» Mormorava nel cuscino e la stoffa ovattava le sue parole.
«Non dovresti rimuginare così tanto ancor prima d’alzarti.»
Sbuffò un sorriso. «Forse non ho dormito.»
Non lo vide, ma capì che anche Jun stava sorridendo. «Forse.»
Riaprì l’occhio e lo stupro del vento sugli alberi gli ferì lo sguardo. Inspirò a fondo nelle lenzuola che avevano ormai il suo odore dandogli un senso di familiarità, anche se quella era una camera d’albergo che nel pomeriggio avrebbero entrambi abbandonato per tornare ognuno nella propria città d’adozione calcistica, prima di ritrovarsi ancora, e altre foglie e altri rami avrebbero sbattuto contro il vetro che rivestiva il suo cervello in cui il vento non smetteva mai di spirare e fargli male con la sua indifferenza.
«Cosa pensi?»
Jun aveva quei modi discreti, così simili ai suoi; gli piacevano più di quelli degli altri amici e compagni di squadra, che erano troppo espansivi e invasivi. Lo metteva a proprio agio facilmente col suo parlare poco, ma mirato, e chiedere ancora meno, ma senza pretendere risposta.
«Immagini di vento stupratore e foglie consenzienti.»
«La fantasia oscura del figlio di un pittore. Non poteva che essere ugualmente artistica.»
Risero entrambi.
La mano di Jun continuava a camminare sulla sua pelle misurando, secondo una propria metrica, la lunghezza della schiena. Indugiava di più sulla curva dei glutei e poi tornava indietro.
«Cosa cerchi nella tua oscurità?»
«Cosa?» fece eco, poi inspirò.
Qualcuno come lui.
Qualcuno che non avesse preferito lei.
Qualcuno che non avesse sorriso in quel modo senza cuore mentre gli chiedeva: “Vuoi farmi da testimone?”
Qualcuno che non tornasse sempre per bocca degli altri quando cercava di vivere la sua vita in quella fetta di calcio che mai si sarebbe incrociata con la sua, se non attraverso la Nazionale.
Qualcuno che la smettesse di paragonarli in ogni momento, in ogni sfida, in ogni traguardo raggiunto per scaraventarlo di nuovo indietro, al punto di partenza.
Qualcuno che non avesse niente a che fare con le ali, con il cielo. Col vento.
«Forse la domanda più corretta sarebbe ‘chi?’
La mano di Jun si fermò a metà schiena. Rimase immobile per un po’ e poi venne girata, per toccarlo completamente.
«Non è così che lo dimenticherai.»
«Potrei mai?»
«Dovresti.» Jun calcò sulla fermezza del tono. «E’ fuori dai giochi, metaforicamente parlando.»
Lui strinse l’occhio, cercando conforto nell’illusione che si raccontava solo per non farsi troppo male.
«Anche i matrimoni finiscono.»
«Ti facevo più realista, Taro.»
Sorrise, ma questa volta c’era amarezza nella piega delle labbra che l’altro non poteva vedere. «Tutti hanno una propria idea di come sono. Mi spiace deludervi ogni volta.»
«E come saresti, allora?»
«Pessimo. Come la foglia che si lascia sbattere dal vento fingendo sofferenza, ma che sa di non avere altro. E si accontenta.»
Sentì Jun inspirare profondamente. «Il vento non ha pietà.»
«Nemmeno Tsubasa ha pietà quando ci vediamo, quando mi telefona. Quando mi cerca. Non ha proprio pietà.»
«Tsubasa…» Jun sembrò cercare le parole più adatte per descriverlo. «Non vede certe cose. Non è mai stato portato per l’osservazione al di fuori dell’ambito calcistico.»
«Lo so com’è fatto.» Si lasciò sfuggire un tono più stizzito di quanto avrebbe voluto. Lo stemperò. «Non gliene faccio una colpa. Quella spetta solo a me.»
«Dovresti uscire da questo circolo.»
«Ma il suo sorriso mi perseguita…» L’occhio si chiuse del tutto sulla luminosità che emanavano quelle labbra piegate verso l’alto, sullo sguardo che brillava di tante cose e su quella forza di volontà che nessuno avrebbe mai potuto spezzare. Nessun rivale, nessun alleato, nessun amico. «Il suo sorriso è vento.»
Ciò che lo uccideva e di cui non avrebbe potuto fare a meno.
Le dita di Jun ripresero a scorrere sulla pelle nel tentativo di infondere conforto e piacevolezza che però non erano in grado di passare oltre la superficie dello spirito, ma si limitavano a soddisfare solo il corpo.
«Anche tu dovresti uscire da questo circolo, Jun» disse Taro a un tratto e la carezza si fermò. L’occhio rimase serrato per non vedere il vetro e ciò che si consumava all’esterno. «Cos’è che cerchi, tu? Pensavo avessi tutto ciò che potessi desiderare…»
«Quello che cerco…» Gli parve che assaporasse le parole, misurandole con calma. «Non l’ho ancora trovato e quello che abbiamo non è sempre ciò che vogliamo, ma solo ciò che ci è dato avere.»
Taro si rese conto di quanto facesse male, al giovane, quella ricerca senza risultati, perché non riuscire a capire quale fosse il vero problema che albergava dentro sé stesso equivaleva a non poter trovare neppure una soluzione e l’insoddisfazione avrebbe continuato a divorargli l’anima un po’ alla volta.
Anche Jun era diverso dall’immagine che gli altri avevano di lui.
Si erano proprio trovati, per consolarsi nel modo sbagliato. Ma la consolazione non si sceglieva, si accettava, perché era ciò che rimaneva quando gli altri sceglievano prima di te. Senza di te.
Con un movimento fluido, Taro si rotolò sul fianco. Gli occhi si aprirono, entrambi, per inquadrare il profilo del Baronetto rivolto al soffitto.
Baronetto.
Le elementari erano così lontane e senza vento né foglie.
Seguì la linea del ventre con un dito, risalendo fino alla cicatrice sul petto che diceva che c’era un cuore pulsante, lì dentro, che non aveva ancora trovato una direzione da seguire o un vero motivo per battere. Un cuore che chiedeva, in silenzio, di essere toccato a piene mani senza la paura di potersi rompere, d’essere afferrato e stretto affinché si ricordasse ogni istante di essere vivo e perché.
Un cuore che aveva bisogno di consolazione, fino a che non avesse trovato la sua strada. Come lui, che conosceva la strada ma era incapace di imboccarla.
Si sollevò sul gomito e baciò la cicatrice. Poi fece scivolare le labbra verso il ventre, mentre sentiva le dita di Jun insinuarsi tra i capelli in una carezza.
Lentamente salì a cavalcioni su di lui, avvicinandosi per baciargli fugacemente le labbra.
«Abbiamo ancora un po’ di tempo, prima di andare via» soffiò sulla sua bocca, gli occhi socchiusi e la mano di Jun che scivolava lungo la spina dorsale.
Sesso, un’ultima volta, sotto lo sguardo di quello spiraglio di finestra che dava sul mondo esterno, sugli alberi.
Perché lui era la foglia che oscillava e viveva al soffio vitale del vento.

 

Fine

   
 
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